Una chat di un gruppo sportivo, come tante ce ne sono sui nostri cellulari, il mezzo che tutti, a seconda delle età, utilizziamo per coordinare le attività lavorative, scolastiche o di qualsivoglia gruppo, si è trasformata in uno spazio di condivisione di materiali e commenti che difficilmente avrebbero potuto essere più lontani dai valori trasmessi dallo sport: «foto e video di ragazze minorenni in intimo, materiale di tipo razzista e xenofobo».
Una storia che si fa fatica a non definire squallida e che ha come protagonista una squadra di sci nordico in Veneto, finendo sotto il vaglio degli inquirenti per un gruppo Whatsapp che sulla carta sarebbe dovuto servire come canale di comunicazione tra giovani atleti e allenatore ma è degenerato ben oltre la produzione e condivisione di contenuti goliardici. I magistrati, come riporta il Corriere del Veneto, parlano di «contenuti illeciti e sconvenienti», con «divulgazione di materiale pedopornografico e pornografico, foto e video anche di atlete minorenni e maggiorenni tesserate FISI, senza il loro consenso».
Oltre alle immagini rubate alle ignare vittime, alcune delle quali filmate durante gli allenamenti, con inquadrature allusive, o negli spogliatoi, anche filmati che ritraevano immigrati vittime di insulti e violente, con citazioni e effigi evocanti fascismo e nazismo. Il tutto sotto l'egida dell'adulto del gruppo, l'allenatore, il quale, che anziché bloccare sul nascere questa “chat degli orrori” e indirizzare i suoi allievi verso ideali più consoni allo sport, è diventato “complice” dei comportamenti choc, trasformandosi ben presto in uno dei membri più attivi del gruppo.
Il tecnico, una volta che i vertici del Comitato regionale FISI sono venuti a conoscenza della chat è stato immediatamente sostituito, ma la vicenda non si è chiusa: questi atteggiamenti da vero e proprio “capobranco” gli sono costati l'apertura di ben tre inchieste: una di natura penale, una militare a Verona (essendo il tecnico in forze all'Esercito) e una sportiva.
In quest'ultima, di cui è da poco arrivato il primo verdetto, l'accusa è di violazione del codice di comportamento del CONI e lo statuto della FISI: dei dodici atleti coinvolti nell'incresciosa vicenda, tutti tra i 19 e 21 anni, metà sono stati assolti, agli altri sono state comminate pene molto miti, come l’ammonizione o la squalifica per un mese. Solo all’allenatore sono stati inflitti sei mesi di stop con ritiro temporaneo della tessera in quanto, per i giudici, la responsabilità del tecnico «è ancora maggiore per la sua posizione di riferimento dei giovanissimi atleti, assimilabile a un insegnante».
Sebbene nell’ambiente degli sport invernali questa brutta vicenda stia suscitando comprensibilmente clamore così come era accaduto per la storia delle Farfalle nella ginnastica si rischia, almeno a livello federale, che possa chiudersi con un esito ridimensionato rispetto alle richieste del Procuratore Federale Stefania Cappa; la Procura federale però non è intenzionata a chiudere qui la storia e farà appello.