La sua decisione di lasciare lo sci di fondo a ventisette anni ancora da compiere (lo farà il prossimo 4 luglio, ndr) ha fatto scalpore, soprattutto alla vigilia di una stagione con diverse novità e un Mondiale alle porte su una pista molto adatta a lei. Gaia Vuerich, però, aveva già fatto la sua scelta, al termine di un’annata nella quale era riuscita anche a tornare nelle dieci in una gara di Coppa del Mondo dopo due anni.
L’abbiamo chiamata per capire cosa l’ha spinta a lasciare e ricordare insieme a lei alcuni momenti della sua purtroppo breve carriera. Come sempre la trentina ha parlato apertamente, senza peli sulla lingua, dimostrandosi piuttosto delusa dall’ambiente dello sci di fondo italiano e puntando il dito verso coloro che, secondo la sua opinione, l’hanno in qualche modo spinta a prendere questa decisione.
Ciao Gaia. La tua scelta di lasciare il fondo a soli 27 anni ha sorpreso un po’ tutti, visto che nell’ultima stagione sei entrata nelle dieci in una gara di Coppa del Mondo e il prossimo anno è in programma il Mondiale a Seefeld, una pista a te adatta.
«Se avessi tenuto conto di queste cose, effettivamente, non avrei smesso quest’anno e sarei andata avanti almeno fino al Mondiale, perché a Seefeld è in programma una sprint in skating e quella pista mi piace molto. La mia decisione è legata ad altro. Ero stanca di trovarmi in un ambiente in cui negli ultimi quattro anni sono stata molto male, perché c’erano persone che, anziché considerarci delle atlete, pensavano a noi soltanto come dei semplici numeri. Si era arrivati al punto in cui l’allora allenatore della squadra maschile nemmeno ci salutava. In più penso che quest’anno si sia raggiunto il limite in occasione della convocazione olimpica. È stata una barzelletta».
Ti riferisci alla pubblicazione della lista dei convocati con le gare ancora in corso?
«Si. Il mio nome era assente, poi qualche ora dopo è uscita una nuova lista nella quale ero presente anch’io al posto di Giulia Stürz che è rimasta fuori. Qualcuno ha detto che l’errore è stato del CONI ma non è così. La realtà è che il direttore sportivo Sandro Pertile e l’allenatore responsabile Chenetti non volevano portarmi a PyeongChang, nonostante meritassi di esserci per i risultati ottenuti. Non fosse stato per l’intervento del Centro Sportivo Carabinieri, che si è fatto giustamente sentire impugnando le classifiche della stagione, non mi avrebbero mai convocata. In fin dei conti quella non è stata l’unica occasione in cui hanno provato a lasciarmi a casa. Mi è poi dispiaciuto anche per Giulia Stürz, perché lei si è vista convocata e successivamente esclusa. Una situazione ridicola! Ma volete ridere? Vi racconto cosa è accaduto quando siamo arrivati in Corea del Sud. All’ingresso del villaggio olimpico si è scoperto che il mio accredito non andava bene e non riuscivo a passare. Sono quindi andata ai banchi dell’accoglienza per capire cosa fosse accaduto e il mio nome non risultava tra gli accreditati. Al mio posto avevano messo proprio quello di Giulia Stürz».
Riesci a spiegarti questo comportamento nei tuoi confronti?
«Da una parte credo sia legato ai giochi di potere tra i corpi sportivi. Una volta subentrato Chenetti, delle Fiamme Oro, gli equilibri sono in qualche modo cambiati e alcuni atleti dei Carabinieri sono stati un po’ penalizzati. Mettiamoci poi il mio carattere, che a molti non piace. Una persona come me è sempre meglio non averla lì, perché tendo sempre a dire le cose in faccia, non sono capace di stare zitta se vedo qualcosa che non mi va bene. Per questo motivo sono sempre stata penalizzata. Pensate che quest’anno sono state le atlete stesse a ribellarsi per alcune esclusioni che avevo ricevuto. Tra noi atlete c’è ovviamente rivalità ma sappiamo riconoscere i meriti di una compagna di squadra. I tecnici non volevano portarmi nemmeno al Tour de Ski, nonostante avessi appena vinto il titolo italiano nella sprint di Feltre. Per fortuna sono intervenute loro».
Lo scorso anno non è stata organizzata la squadra femminile di fondo: questa decisione ha influito sulla tua scelta?
«La loro è stata una decisione sbagliata. Nell’ultima stagione ci hanno lasciate completamente sole, nelle gare di Coppa del Mondo eravamo allo sbando. Per fortuna c’era almeno il fisioterapista Einar Prucker che ci seguiva durante le prove e ci dava anche consigli, per quello che poteva fare, visto che non è un allenatore. Ora hanno compreso l’errore e hanno fatto una squadra numerosa. Purtroppo non si può tornare indietro nel tempo ed evitare che facciano la scelta dello scorso anno».
Tutte queste difficoltà hanno contribuito ai risultati negativi della squadra femminile?
«L’errore è stato fatto quattro anni fa, quando diedero a Chenetti anche la responsabilità della squadra femminile, nonostante lui avesse chiaramente detto di voler allenare solo gli uomini. Da lì siamo diventate quasi delle indesiderate e si è sfasciato tutto. Così nel giro di un quadriennio, siamo passate dalla stagione di Sochi nella quale avevamo ottenuto diversi piazzamenti tra le dieci in Coppa del Mondo, ai bruttissimi risultati dell’ultima. Almeno secondo me la causa dei risultati negativi è questa, poi non sono un allenatore e posso sbagliarmi».
Oggi però è cambiato tutto, alla guida della squadra femminile c’è Simone Paredi. Perché non sei tornata indietro sulla tua decisione?
«Paredi mi ha anche chiamata quando gli è stato dato l’incarico di allenatore. Secondo me lui potrà fare bene, perché è un allenatore molto giovane che ha comunque già tanta esperienza. Elisa (Brocard, ndr) ci ha sempre parlato bene di lui, era molto contenta del suo tecnico. Nonostante ciò non sono tornata indietro, avevo già comunicato al Centro Sportivo Carabinieri la mia decisione. Inoltre, al di là della figura di Paredi, che è un ottimo allenatore, per il resto è cambiato poco nello sci di fondo italiano. Può sembrare brutto dirlo, ma secondo me a guidare la nostra disciplina dovrebbero mettere delle persone al di fuori dei corpi sportivi che non possano così essere condizionati nelle scelte da essi e dagli atleti più importanti».
Guardando indietro nel tempo: qual è la gara che ricordi con maggior piacere?
«Senza dubbio il quarto posto nella sprint di Nove Mesto nel 2014. Non me l’aspettavo proprio di arrivare così avanti».
Invece il rammarico più grande?
«La semifinale alle Olimpiadi di Sochi, perché per un nulla sono rimasta fuori dalla finale. Ho fatto tutto quello che potevo per conquistare un posto tra le migliori sei e invece sono rimasta fuori di poco, arrivando settima. Al termine della gara ero molto delusa perché consapevole che difficilmente avrei avuto un’altra occasione del genere. Purtroppo quella gara si disputa una volta ogni quattro anni e si alterna skating e classico».
Dopo quei risultati ottenuti nel 2014, a 23 anni ancora da compiere, come mai non hai fatto il salto di qualità? È colpa dell’ambiente?
«No, ovviamente qualcosa è mancato anche a me, non sono stata in grado di fare il salto di qualità per colpe mie, non solo a causa dell’ambiente. Non cerco alcuna giustificazione, anche se non era facile affrontare le gare con serenità, quando noi donne ci ritrovavamo in un ambiente che sembrava non volerci».
Cosa farai adesso?
«Ho lasciato il Centro Sportivo e farò un corso per passare a carabiniere effettivo. Quindi immagino che farò servizio in qualche stazione, poi nel 2019 seguirò il corso per cinofili, che è sempre stato il mio sogno extra sportivo. I miei ex colleghi di Selva, su tutti il Maresciallo Davide Carrara, mi stanno aiutando».
Allora uscirai completamente dal mondo del fondo?
«Non smetterò mai di sciare ed allenarmi, lo sto facendo ancora perché è la mia passione. Seguirò sempre le gare in tv e mi auguro di cuore che nella prossima stagione le mie ex compagne possano raccogliere quanto meritano. Sicuramente, però, per un po’ starò lontana dall’ambiente, perché mi ha proprio stancata».