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Biathlon , Interviste

Biathlon – Luca Bormolini: “Anche in un top team come la Repubblica Ceca, il bagaglio costruito nelle piccole squadre è per me fondamentale”

“Ovviamente stiamo ancora imparando a conoscerci perché è diventato nostro allenatore da poco, ma posso dire che è bello lavorare con lui, perché è una persona sempre molto ottimista ed è bello avere gente così nel team. Inoltre è una persona che sta sempre dalla tua parte ed è importante per noi”.

Tereza Vobornikova sorride mentre risponde alla nostra domanda su Luca Bormolini, che da questa stagione è allenatore della nazionale ceca femminile di biathlon, per quanto riguarda la parte sci di fondo.

“Sono soddisfatta di quanto stiamo facendo con lui e spero davvero di averlo con noi anche nei prossimi anni – ha aggiunto – perché possiamo ricevere tanta esperienza da lui e crescere ancora. Per me è molto importante il fatto che con lui stiamo lavorando tanto sulla parte tecnica, perché è un aspetto su cui ho avuto delle difficoltà e dove posso migliorare tanto. Averci lavorato molto in estate, insieme alle altre ragazze, è molto positivo soprattutto per me”.

Sempre in disparte e lontano dai riflettori, Luca Bormolini ha però accettato di incontrarci per raccontarci questi suoi primi mesi nel team della Repubblica Ceca. Da giramondo, sempre alla guida di nazionali minori, con la stessa passione l’allenatore livignasco ha ora approcciato questa sua nuova avventura in una delle nazionali più importanti nel biathlon internazionale, la Repubblica Ceca: «Quando ho concluso il mio lavoro con la Corea de Sud – ci ha raccontato – sono stato contattato dalla federazione della Repubblica Ceca per avviare questa collaborazione. Volendo cambiare lo staff tecnico, mi hanno chiesto se fossi interessato. È tutto nato da Ondřej Rybář, direttore tecnico della Repubblica Ceca, con il quale ci siamo incontrati più volte durante l’IBU Academy. Da lì ci siamo conosciuti, abbiamo iniziato a parlare, a scambiarci idee sul biathlon ed evidentemente è stato ben impressionato dalle mie domande, le mie conoscenze e il mio lavoro. Così mi ha fatto questa proposta».

Per la prima volta si trova quindi ad allenare con un top team. Un’esperienza nuova. 

«Sicuramente è un’esperienza diversa, visto che ho sempre lavorato per piccole squadre. Devo dire che ci sono alcuni aspetti più semplici ed altri più difficili. Per esempio, in una grande squadra come questa, ci sono tantissime posizioni, professionisti in qualsiasi ambito, mentre nei piccoli team devi arrangiarti a fare un po’ tutto. Qui ci si può quindi concentrare sul proprio ruolo. Io preparo il programma di allenamento delle atlete, ci lavoro anche sulla parte tecnica sugli sci, ma con Lukáš Dostál, che si occupa più nello specifico dell’aspetto tiro, collaboriamo parecchio, anche perché in questo sport è tutto collegato. Inoltre, essendo lui ceco, conosce meglio l’ambiente e può aiutarmi sotto questo aspetto.  Riusciamo sempre a confrontarci tra noi, anche per capire quale possa essere il metodo migliore per aiutare le atlete a rendere al meglio. Anche io mi reco spesso al poligono durante la preparazione, mentre in stagione sono in pista. Per me è un po’ una novità, perché per dieci anni sono sempre stato dietro al cannocchiale».

Che squadra ha trovato?

«Il team non veniva da una stagione positiva, forse anche a causa delle tante pressioni provate dalla grande attesa del Mondiale casalingo. È certamente una squadra che vuole fare bene, ma che ha anche sempre lavorato in un determinato modo. Noi stiamo cercando di cambiare un po’ le cose e provare qualcosa di nuovo, per vedere se vi sono progressi. Le atlete sono abbastanza collaborative. Ovviamente all’inizio facevano tante domande, come normale che fosse. Per noi è stato importantissimo iniziare subito la stagione con la vittoria di Davidova a Kontiolahti e lo stesso è stato anche per lei, perché da tempo la aspettava. È servito sicuramente a tutta la squadra.
Al di là di Markéta, tecnicamente abbiamo a disposizione un’ottima squadra, di un livello alto. Ci sono atlete molto competitive sugli sci ed altre che sono molto forti al tiro. Abbiamo delle atlete interessanti tra le giovani, anche se c’è un piccolo buco generazionale alle spalle di Voborníková e Otcovská. Tra le giovanissime, ci sono però dei prospetti interessanti e abbiamo quindi deciso di aggregarne alcune durante la preparazione, anche per comprendere i loro margini di miglioramento e farle già allenare con le più forti».

È per lei emozionante, dopo anni di gavetta, trovarsi alla guida di una squadra anche da oro mondiale?

«Sono contento della carriera che sto facendo. Per me è stato importante partire dal basso per imparare e capire come funziona, in quanto la vita da allenatore è diversa rispetto a quella da atleta. Non è scontato che se sei stato un bravo atleta lo sarai anche da allenatore. Io mi ritengo fortunato di aver avuto la possibilità di partire dal basso, proprio dalle basi, perché in una squadra piccola ho dovuto imparare a fare tante cose, dalla logistica ai colpi, fino a preparare gli sci. Alla fine, in una squadra grande ci sono persone specializzate in questi ruoli, mentre nella piccola devi sapere fare un po’ tutto. Inoltre trovo bello scoprire che anche una persona che inizia dalla squadra più debole al mondo, possa riuscire ad arrivare in una delle più forti. È importante lanciare questo messaggio anche ai giovani che si affacciano a questo lavoro, far capire loro che non si deve partire per forza dall’alto, ma serve l’esperienza che maturi solamente con squadre piccole o seguendo allenatori o skiman più esperti di te. Personalmente sono ancora super legato a Fausto ed Emil Bormetti, che collaboravano con me nella vecchia squadra. Ho imparato tantissimo da Fausto nella preparazione degli sci e riesco a utilizzare queste conoscenze anche adesso, quando magari anche io aiuto gli skiman a testare alcuni sci. Certe cose le impari meglio nella squadra piccola senza la pressione del risultato. Qui la situazione è diversa, abbiamo tanta pressione, ma questa esperienza alle spalle aiuta».

Ha nominato i due Bormetti, ma sono tanti gli italiani negli staff tecnici o nei service. Come se lo spiega?

«Noi italiani non siamo solo bravi, ma abbiamo la capacità di essere anche flessibili, di capire la cultura del paese in cui lavoriamo, comprendere l’ambiente dove siamo ed adattarci così al meglio. Inoltre, la scuola italiana è di alto livello, perché nei corsi da allenatore si danno delle grandi basi, che non trovi ovunque».  

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