La Coppa del Mondo di Sci di Fondo ha appena concluso il primo blocco di gare, quello che comunemente precede il Tour de Ski, che prenderà il via il 29 dicembre a Dobbiaco. L’occasione è quindi propizia per tracciare qualche bilancio e commentare quando visto a Davos nel terzo appuntamento della nostra rubrica Lo spunto di Zorro, in compagnia della competente voce di Cristian Zorzi. I punti all’ordine del giorno erano sicuramente il terzo posto di Johaug nella 20 km in classico, il bel podio di un ‘outsider’ come Lapalus e ovviamente un giudizio sul comportamento degli italiani in pista; come al solito, Zorzi ha risposto alle nostre curiosità con la sua proverbiale franchezza, forte della sua esperienza sia di ex-atleta che di attuale allenatore di Andorra.
RIFLESSIONI SULLA 20 KM: “Nella gara con partenza a intervalli il tracciato era davvero duro ed effettivamente il podio maschile non mi ha sorpreso, in particolare il terzo posto di Lapalus. Già l’anno scorso aveva dimostrato di essere quello che in gergo definiamo un “duraccio”: inoltre, le condizioni di neve lenta e il leggero nevischio hanno reso la gara ancora più dura e in queste condizioni particolari esce fuori proprio chi ha la caratteristica di essere un “cagnaccio” in pista. Il risultato non brillante degli italiani nella distance era abbastanza prevedibile e inoltre, per quello che ho visto, il materiale dei nostri nel finale potrebbe essere calato; va comunque detto che hanno ceduto secondi fin dall’inizio. Ad esempio, quando Lapalus ha ripreso Pellegrino si è visto che il nostro aveva sci un po’ lenti nell’ultimo tratto di gara. Tra le donne può apparire un bel risultato aver chiuso nelle 20 o subito vicino, ma va detto che hanno corso in 42 e le nazioni che ci sono arrivate dietro sono in molti casi nazioni che ambiscono a partecipare, magari in caccia del pass olimpico o dei mondiali; il distacco di quattro minuti alla fine era prevedibile, in linea con quanto abbiamo visto nelle 10 km. Concludendo, negli ultimi anni sto vedendo un andamento progressivo quasi verso il basso invece che in alto; io continuo a dire che noi italiani patiamo il fatto di stare fuori casa troppo tempo e quindi avrei un altro approccio soprattutto nei raduni e nello stare più di tanto al nord, ma ogni allenatore ha le proprie idee e ho grande rispetto per un allenatore come Cramer”.
I CONTINGENTI E I GIOVANI: “Abbiamo già parlato del fatto che spesso, anche in passato, atleti meritevoli e con carte in regola non sono stati convocati. In quest’occasione penso a una Veronica Silvestri che poteva essere convocata nella 20 km in classico dopo il bel terzo posto nella 10 km in classico di Slingia; le si poteva dare la possibilità di fare questa gara per vedere come poteva reagire soprattutto a livello emotivo. Il contingente disponibile a Davos lo permetteva, e la località non era così distante da casa. Alla fine, abbiamo fatto partire solo due atlete nella 20 km e quindi si poteva darle un’occasione per vederla in azione in gara e avere un confronto a pari condizioni di sci con Ganz e Comarella. Dico questo perché in FESA Cup a Slingia ho visto alcuni atleti, soprattutto ragazze, con questo fuoco negli occhi e tanta voglia di far bene: in effetti nella sprint si sono subito comportati molto bene due giovani come Carollo e Cassol, oltre a Monsorno, segno che qualcosa di buono si muove.
LA TEAM SPRINT IN OTTICA OLIMPICA: “Comincio dicendo una cosa: ho trovato che le dichiarazioni di Federico Pellegrino sull’importanza di questa Team Sprint in ottica olimpica non si colleghino molto bene con quanto poi vedremo alle Olimpiadi del 2026. A livello di tracciato, Davos ha caratteristiche completamente diverse, molto più corto e meno impegnativo rispetto a quello di Lago di Tesero, e sono diverse anche le dinamiche tattiche che si creano. Chiaramente per tutte le nazioni questa può essere una gara utile in ottica Olimpiadi, ma in fin dei conti non è detto che lui, come magari tanti altri atleti, prendano parte a quella gara. Io resterei con i piedi per terra e penserei solo a prepararmi bene, senza troppe previsioni. L’allenatore ha delle idee e ottiche completamente sue e fa dei lavori in prospettiva delle olimpiadi per tutti gli atleti della squadra ed eventualmente per atleti fuori squadra che il prossimo anno potrebbero fare il balzo e ritrovarsi alle Olimpiadi; non c’è niente di sicuro per nessuno. Se poi devo dare un giudizio su quanto visto in gara, devo dire che il duo italiano nel complesso ha convinto”.
JOHAUG E LE ASSENZE SVEDESI: “La scorsa settimana avevo dato Johaug come possibile favorita ma ha effettivamente pagato un po’ dazio nel finale della 20 km, finendo dietro a Slind e Niskanen, anche se per pochi secondi. Ma io direi che è andata comunque bene, in questo momento della stagione ci sta non essere ancora al meglio nelle distanze più lunghe. Negli ultimi tempi per forza di cose si sarà allenata diversamente da chi era atleta a tempo pieno. Trovo che sia stata complessivamente una bella gara anche se mancavano molte atlete, soprattutto tutte le svedesi di punta. Da una parte le capisco, il calendario è strutturato male, anche il Tour De Ski comincia a non aver più molto senso e si riduce a uno spostamento di carovana; ne ho parlato anche con il Race Director della FIS, Michael Lamplot, ma ogni volta il discorso ricade sempre su fattori che non hanno niente a che vedere con lo sport. L’impressione è che si mastichi troppa politica e troppo poco sport”.