La seconda tappa di Coppa del Mondo di sci di fondo è andata in scena lo scorso weekend a Lillehammer, nella patria dello sci di fondo. Quando si pensa alla località norvegese, che ha ospitato i XVII Giochi Olimpici Invernali del 1994, si pensa a distese innevate quasi rese invisibili dalla folla ammassata ai bordi delle piste. Nulla di tutto questo però si è ripetuto nel weekend, neanche lontanamente; non è una novità che gli sport invernali, in particolare quelli nordici, soffrano di una carenza di pubblico negli ultimi anni, tolta qualche rara, felice eccezione: è sempre più evidente come ad Oslo, per esempio, dove la 50km e le gare di salto da trampolino di Holmenkollen scarseggino di spettatori, più interessati a far festa e baldoria nel Festival organizzato in concomitanza con le competizione che a seguire le gare.
Ma una scena desolante come quella offerta da Lillehammer nello scorso fine settimana è sintomo di una “malattia” ormai endemica per le discipline FIS, al punto che tanti atleti e dirigenti iniziano a parlarne apertamente. Oltre a parenti e amici degli atleti arrivati a sostenere i loro beniamini, per il resto la situazione era davvero pesante sia nello stadio che lungo il percorso, nonostante fosse una delle tappe di Coppa del Mondo più importanti della stagione, con una sprint a skating che sarà format iridato e molti atleti iniziano a giocarsi il pass per i Mondiali di Trondheim.
Chi non ha avuto paura di esporsi sull’argomento è Alvar Mylback, in un’intervista rilasciata a Langrenn.com dopo la 20 km skiathlon di domenica. «Sono un po’ preoccupato dell’interesse per lo sci di fondo quando vedo quanta poca gente c’è qui. Questa è Lillehammer, ma qui ci sono solo gli atleti» ha dichiarato, non nascondendo la speranza che le abitudini delle persone siano semplicemente cambiate e molti preferiscano guardare le gare dal divano.
Eppure il giovane talento svedese, con un “carriera” parallela di successo in Ski Classics, il circuito delle lunghe distanze, sa bene che il suo è in realtà un pio desiderio, e l’atmosfera di Lillehammer è in netto contrasto con quella che si respira nelle gare Ski Classics e che conferisce a questa specialità una marcia in più.
«Basti pensare alla Strada della Cascata, l’ultima salita della Marcialonga: lì c’è un’atmosfera incredibile! Come atleta alla fine non fa grande differenza, ma ovviamente è più bello e divertente quando si fa una gara di Coppa del Mondo come quella che ho fatto a Falun quest’inverno, dove c’è tutta la città, è completamente diversa da questa. Ma probabilmente non è così divertente guardare otto norvegesi che combattono tra loro, mi rendo conto che ci si annoia».
Ad ammettere che nello Stadio Olimpico di Lillehammer non c’era quasi nessuno in confronto ad altri appuntamenti come quello di Drammen, tanto per restare in Norvegia, o Falun e altri in Europa centrale, interviene Erik Valnes, interrogato sulla questione da Nettavisen.no.
«Non ha senso mentire. È un numero esiguo. Mi sarebbe piaciuto vederne di più. È qui che l’affluenza è più scarsa. È un po’ triste»
Peggio ancora è andata alla Combinata Nordica, che ha condiviso le piste di Lillehammer con lo sci di fondo nel fine settimana. Non appena Johannes Høsflot Klæbo ha vinto lo sprint, infatti, la folla ha iniziato a lasciare lo stadio, lasciando i combinatisti a gareggiare tra loro, con le auto in coda per uscire dall’impianto come testimonia l’emittente norvegese TV2. Contro il pubblico si è schierato Lasse Ottesen, race director della FIS.
«È una vera e propria mancanza di rispetto» ha detto Ottesen a NRK, precisando che tra la cerimonia di premiazione della sprint maschiel e il segmento di fondo di combinata femminile sono passati solo 20 minuti. «In quel lasso di tempo, il 95% del pubblico se n’è andato. Non mi era mai capitato all’estero. Mi sarei aspettato che i norvegesi avrebbero sostenuti i loro big come Ida Marie Hagen e Jarl Magnus Riiber, che sono i migliori al mondo»
L’ex saltatore con gli sci è certo che la stessa cosa non sarebbe accaduta in Paesi come Germania, Italia e Austria. «In Germania, il pubblico sarebbe uscito a comprare un würstel e una birra, per poi tornare a guardare la gara di combinata.»
La domanda che sorge spontanea su questo punto è: di chi è la responsabilità? Degli organizzatori? O forse bisogna tornare direttamente alla fonte, cioè a chi è nelle sfere più alte delle dirigenze sportive internazionali, chiamato al compito arduo di rendere gli sport attraenti per il pubblico? Certo, in entrambe le discipline lo strapotere norvegese è manifesto e le altre nazioni riescono a strappare qualche podio con difficoltà e l’assenza degli atleti russi – particolarmente nello sci di fondo – si fa sentire. Se si guarda al femminile, la vicenda di fa ancora più complessa: laddove fino alla scorsa stagione c’era più spazio per atlete non norvegesi, il ritorno di Therese Johaug ha avuto un effetto curiosità accompagnato, però, soprattutto nelle due gare distance in terra norvegese, da distacchi siderali che non lasciano molto “divertimento” allo spettatore.
Nella combinata nordica, dopo un inizio di stagione che aveva fatto sperare se non altro in un duopolio tedesco/norvegese al maschile, Jarl Magnus Riiber è tornato a dominare. E se anche in Norvegia si sono stancati di vedere il dominio dei propri atleti, il problema è ben più radicale e sarà difficile trovare una via d’uscita da questa soluzione.