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Sci di fondo

Sci di fondo – Marco Selle: “Orgoglioso e commosso di quanto abbiamo fatto come Fiamme Oro. In Italia ricordiamoci che al centro del progetto devono esserci gli atleti”

È stato un finale di stagione emozionante per la squadra di sci di fondo delle Fiamme Oro. Gli addii di Federica Sanfilippo e Mattia Armellini, un altro titolo italiano giovanile vinto da Maria Gismondi, che in stagione ha conquistato anche il titolo mondiale juniores nella mass start, ma soprattutto una clamorosa doppietta in staffetta. L’allenatore responsabile della squadra, Marco Selle, era quindi giustamente molto orgoglioso quando lo abbiamo incontrato per parlare della stagione della sua squadra.

Ex direttore tecnico della nazionale italiana di sci di fondo, dopo tanti anni all’interno dei quadri FISI, ormai tre stagioni fa Marco Selle è ripartito dalla squadra di sede, quando nell’ennesima dannosa rivoluzione all’interno dello sci di fondo italiano, è stato indicato lui come il capro espiatorio da sacrificare, come è poi accaduto anche al suo successore in un ambiente che dimentica quale dovrebbe essere il reale obiettivo.

A Fondo Italia, Selle ha quindi parlato della stagione delle Fiamme Oro, dell’addio di Sanfilippo, del futuro di Gismondi, di una serata tra saluti, emozioni e momenti di cultura, di una squadra di sede che in questi tre anni è salita di livello. L’allenatore della Polizia ha lanciato anche un messaggio che, ci si augura, venga colto dallo sci di fondo italiano, quando ha ricordato che al centro deve esserci sempre l’atleta.

Buon pomeriggio Selle. L’abbiamo visto molto emozionato e orgoglioso sul podio nel giorno del ritiro di Federica Sanfilippo.

«Si. Ero emozionato per lei, perché è arrivata in Fiamme Oro a 19 anni, che era una bambina un po’ spaventata dall’ingresso in un mondo diverso dal suo. Allora, dal momento che non ero coinvolto nei quadri FISI dello sci di fondo, venne affidata a me che non ero un tecnico del biathlon. Le nostre strade, malgrado lei sia entrata in squadra nazionale ed io nuovamente nei quadri FISI, sono rimaste collegate perché lei ha continuato ad aver fiducia in me e, pur essendo nel biathlon, soprattutto nei momenti di difficoltà ci sentivamo spesso. Tre anni fa, è stato poi un caso che io mi sia dimesso da direttore tecnico del fondo e nello stesso momento lei sia uscita dalle squadre nazionali. Allora, l’ho convinta a continuare. Si è trasferita in una mansarda di casa mia. Rispetto agli inizi, il nostro rapporto è diventato quello tra due persone adulte, amici oltre che collaboratori, così è entrata un po’ a far parte della mia famiglia. È quindi inevitabile emozionarsi, quando vedi smettere qualcuno che per tanti anni ha fatto parte della tua famiglia e soprattutto farlo anche con il podio. La sera precedente la gara è stata bellissima, perché anche Zanetel, seppur in pensione, era venuto a darci una mano, così abbiamo trascorso una serata bella, emozionante e profonda, tutti insieme. Zan (Zanetel, ndr) è mio amico e con lui abbiamo condiviso tante soddisfazioni sportive e personali.
Grazie anche a Francesco Filizzola, che ormai conoscete bene, che ci ha regalato un monologo che vorrei far leggere a tutti perché ha fatto emozionare loro e anche me».

Sanfilippo a parte, a Pragelato si è chiusa benissimo la stagione della vostra squadra di sede.

«Sono orgoglioso di quello che ho visto come Fiamme Oro, perché chiudere in prima e seconda posizione nella staffetta è qualcosa di straordinario. Senza sottovalutare che anche la terza squadra è arrivata settima a poco dal podio. Se penso a quando sono entrato in Fiamme Oro o anche a un decennio fa, un risultato del genere sembrava impossibile perché eravamo l’ultima ruota del carro, la cenerentola che non riusciva ad arruolare atleti oppure lo faceva dopo gli altri gruppi militari. Adesso, invece, un po’ alla volta siamo riusciti ad arrivare al loro livello. Tanto ci è servito Pellegrino nell’essere nostra punta di diamante e anche di più, ma dietro siamo riusciti a costruire un gruppo che rende orgoglioso me e le Fiamme Oro in toto. Essendo anche io nell’ultima fase della mia permanenza nel gruppo sportivo, pensare a dove eravamo in passato e confrontarlo con oggi mi fa emozionare».

Due anni fa avevate dato vita a una squadra di sede che univa giovani aggregati e arruolati esperti. Alla fine di questo ciclo, vedendo i risultati ottenuti dai giovani Gismondi e Carollo, ma anche dai nazionali Ticcò e Daprà, fino a Nöckler, Armellini e Sanfilippo, credo possiate essere davvero orgogliosi di quanto fatto.

«È stata la dimostrazione che atleti di diversa esperienza ed età, se messi in un gruppo motivato, formato da atleti sempre presenti in ogni seduta di allenamento o nella maggioranza degli allenamenti, possono lavorare molto bene ed evolversi. Non a caso tanti sono ritornati nelle squadre nazionali o hanno conquistato il posto per la prima volta, altri si sono tolti delle gran belle soddisfazioni, se penso a Daprà, Ticcò, Gismondi, Carollo, lo stesso Nöckler, praticamente a tutti loro. È stato impegnativo, perché seguire più circuiti lo è, ma allo stesso tempo molto coinvolgente ed emozionante. Adesso il problema è quasi opposto, che non essendoci più nessuno in sede, magari farò il giornalista (ride, ndr)».

Lei ha sempre creduto molto in Maria Gismondi, ha contribuito a farla aggregare nelle Fiamme Oro e l’ha anche allenata. Cosa ha significato per l’allenatore e l’uomo la sua vittoria del titolo mondiale a Planica?

«Per quanto riguarda Maria, il discorso è molto particolare, in quanto la conosco da quando aveva dodici anni, tanto che si è creato un rapporto anche con la famiglia. Si è trasferita in caserma, la sua è stata una sorta di adozione a distanza (ride, ndr). È un rapporto che è diventato via via più maturo, perché è diventata più grande e più consapevole, magari anche più difficile da gestire, da convincere su certi aspetti tecnici o metodologici, perché è una persona molto competente. Maria ha un lato divertente e giocoso legato alla sua età, ma è anche molto matura e competente, quindi farle cambiare idea è complicato. È molto capace di selezionare le persone, tenere quelle che le servono, coinvolgerle molto spesso per poter continuare a crescere. Per me è stato un orgoglio enorme vederla vincere a Planica, non me lo sarei mai aspettato e lo sa. Non mi nascondo, quando è arrivata speravo che riuscisse almeno a diventare una professionista, quindi vederla vincere il titolo mondiale juniores è più di quanto pensassi. Quando gliel’ho detto, ovviamente, mi ha risposto, che allora non avevo fiducia in lei (ride, ndr). Non è così, ma sono consapevole che per arrivare a vincere anche un titolo mondiale giovanile, non servono solo volontà, ma anche altre doti che lei ha mostrato di avere e utilizzato.
Certamente è un punto di partenza, non so dire cosa potrà diventare, io spero solo che in futuro riesca a essere gestita nella maniera giusta, trovare un gruppo di lavoro con il quale anche io possa continuare a collaborare, poter essere utile alla causa. Alla fine, è necessario che tutti capiamo che dobbiamo essere allenatori, educatori e mettere al centro del progetto gli atleti, capire che noi adulti dobbiamo collaborare affinchè essi possano ottenere il massimo dalle proprie carriere. Poi per qualcuno questo massimo sarà qualificarsi in FESA Cup, per altri andare in Coppa del Mondo e altri ancora lottare per vittorie mondiali od olimpiche. Spero si trovi il modo di proseguire questa collaborazione che funziona bene, come è già accaduto con l’ottimo staff del settore giovanile. Il fatto che la squadra juniores avesse come base la Val di Fiemme ha reso tutto più semplice. E ringrazio i tecnici della squadra nazionale giovanile, che mi hanno dato fiducia quando dicevo loro che l’avrei portata a fare dei lavori con Sanfilippo e Corradini, ben consapevoli che era utile nei periodi a casa avere un gruppo di allenamento dal livello alto e stimolante».  

Nella stagione per voi positiva, ci possiamo mettere Martino Carollo, frutto del vostro settore giovanile, e Simone Daprà arrivato addirittura in finale in una sprint di Coppa del Mondo.

«Simone mi ha sorpreso e sono stato davvero felice. È una persona schietta e sincera, un chiacchierone formidabile, un motivatore straordinario, gli voglio bene perché è talmente sincero che secondo me è nato nel secolo sbagliato, lui era più adatto al secolo scorso come mentalità e tipo di atteggiamento (ride, ndr). Daprà ha dimostrato che il lavoro paga e speriamo di rivederlo lì in futuro. Come ha fatto anche Martino (Carollo, ndr). Io non sapevo nemmeno chi fosse questo ragazzo, ma una volta l’ho visto cadere a Schilpario e rialzarsi velocissimamente e dare tutto. Quel giorno non ha tirato fuori tanto dalla gara, ma ha fatto vedere una cosa che mi ha colpito moltissimo. E alla fine di quella batteria a Schilpario, l’ho contattato proponendogli di venire a Moena. È stato probabilmente un colpo di fortuna per entrambi, per lui perché è caduto al momento giusto e per me che l’ho visto cadere al momento giusto. Martino è venuto a Moena, mostrando di non aver paura di allenarsi con Didi (Nöckler, ndr) in bici o Ticcò nelle sprint. È stato sempre il primo ad arrivare, un ragazzo umilissimo e gran lavoratore. Lui è proprio l’esempio del tanto lavoro che sta pagando. Poi, anche lui non è ancora arrivato da nessuna parte, però è l’unico 2003 arrivato nei quindici in Coppa del Mondo».

Tra gli addii vi è anche quello di Mattia Armellini.

«Il suo è arrivato un po’ a sorpresa. Quando abbiamo celebrato la fine della carriera di Federica (Sanfilppo, ndr) e la pensione Gianantonio (Zanetel, ndr), Mattia ha annunciato che avrebbe chiuso la sua carriera con la 50 km. È stata un po’ una sorpresa per tutto lo staff. La ritengo, però, una scelta matura e comprensibile, da parte di chi è consapevole che lo sport sia una parte importante della vita di ogni atleta, ma che poi si debba pensare a cosa fare dopo la carriera agonistica. Lui ha avuto l’opportunità di provarci per diverse stagioni, ha anche fatto vedere ottime cose, pure nell’ultimo weekend a Pragelato, dove ha ottenuto una medaglia di bronzo alle spalle di Pellegrino che vale moltissimo. Lo ritengo un ragazzo molto intelligente, consapevole di aver avuto le proprie chance e di aver provato a sfruttarle, ma anche che smettere prima è pure un modo per cominciare prima ad aprire un’altra porta e togliersi soddisfazioni in altri ambiti».

Qual è il suo rapporto con gli atleti attualmente in nazionale?

«La cosa che mi dà soddisfazione, pur essendo uscito dai quadri federali, è che con gli atleti delle nazionali, da Chicco (Pellegrino, ndr) ad Anna (Comarella, ndr), abbiamo mantenuto un ottimo rapporto di fiducia. Ci sentiamo, ci confidiamo, abbiamo mantenuto un legame che spesso, quando finisci di allenare o essere una figura che fa parte del loro gruppo, finisce. È accaduto lo stesso anche in passato, per esempio con Pietro Piller Cottrer, con il quale ho mantenuto un ottimo rapporto pure dopo aver smesso di allenarlo. Lo vedo come attestato di stima e mi fa più piacere che sia così, piuttosto che ottenere risultati e poi tagliare ogni rapporto quando non servi più. Quest’anno sono stato tanto in contatto soprattutto con Anna (Comarella, ndr), che ha avuto i suoi problemi e ha trovato in me una persona con la quale confidarsi e aprirsi. Mi ha fatto piacere».

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