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Sci di fondo

Sci di fondo – L’allenatore americano Whitcomb risponde alle critiche svedesi: “Diamo grande valore alle staffette, ma non siamo disposti a mettere a rischio la salute delle atlete”

La staffetta femminile di Oberhof di ieri si è trasformata in una staffetta “delle polemiche”, con botta e risposta tra Svezia e Stati Uniti che, idealmente, si sono passate il testimone nella querelle.
Dopo la gara, stravinta dalla Svezia, le vincitrici hanno aspramente criticato la presenza ridotta delle squadre al via rispetto ai Paesi presenti nelle gare individuali dei giorni precedenti. Solo nove nazioni al via, comprese Germania e Svezia che avevano due squadre.
La stampa svedese ha interpretato i commenti delle atlete, Andersson e Svahn su tutte, come una frecciatina agli Stati Uniti che nell’ultima staffetta in Coppa del Mondo a Gällivare erano arrivati terzi e sono, attualmente, una delle squadre più forti nello sci di fondo femminile, grazie non solo a Jessie Diggins, vincitrice del Tour de Ski e leader della Coppa del Mondo, ma anche Rosie Brennan, terza in classifica generale, Sophia Laukli, trionfatrice dell’Alpe del Cermis e Julia Kern, che ha ottenuto diversi buoni piazzamenti in sprint.
Il quartetto ha gareggiato regolarmente nelle gare individuali durante il fine settimana, mentre ha saltato la staffetta. L’allenatore degli USA Matt Whitcomb comprende le critiche mosse alla staffetta svedese ma ha comunque voluto dare la propria versione dei fatti: se avere una squadra al completo non era un’opzione, gli statunitensi hanno provato a creare una squadra assieme ad altre nazioni che non sarebbero state al via per mancanza di atlete, proprio come accadde per le atlete italiane nella la precedente staffetta. Tuttavia, la ricerca di atlete disponibili, ha spiegato a VG il tecnico a stelle e strisce, non ha sortito l’effetto sperato
«Mi dispiace che ci sia potuta essere la staffetta femminile americana. Diamo grande valore ai podi delle staffette come a tutte le gare, ma non sono così importanti da essere disposti a mettere a rischio la salute delle atlete» ha dichiarato Whitcomb al quotidiano norvegese VG «Durante la tappa di Trondheim (prima di Natale, ndr) e durante il Tour de Ski abbiamo avuto casi di influenza, covid e rinovirus e stiamo cercando di riportare i nostri atleti al massimo delle forze in modo da poter competere per tutta la stagione. A Oberhof eravamo ancora in un punto critico dal punto di vista fisico. Anche se non avevamo abbastanza atlete per schierare una squadra completa, abbiamo inviato un messaggio a tutte le squadre dicendo che volevamo creare una squadra mista, ma non siamo riusciti a formare una squadra.»
Inoltre, mentre tutte le squadre sono lontane da casa nel corso della stagione, ma riescono a fare piccoli rientri di tanto in tanto, Withcomb vuole ricordare che, pur nella fortuna di poter fare il lavoro che si ama, i suoi atleti non hanno lo stesso privilegio di quelli europei, il che rende ancora più stressante e difficile la gestione stagionale.
«Va bene essere critici nei nostri confronti. Ma le persone devono capire perché in questo momento non stiamo operando a pieno ritmo. Non torniamo a casa dall’inizio di novembre e i nostri atleti hanno trascorso il Natale in una camera d’albergo o in un piccolo appartamento in affitto»
Una scelta dunque legata al benessere fisico e non solo delle proprie atlete che, come è giusto ricordare, non sono automi e hanno bisogno di recuperare, talvolta anche mentalmente. Ad ogni modo, quest’anno il calendario sorride anche agli statunitensi, che potranno tornare a respirare aria di casa a febbraio, quando la Coppa del Mondo si trasferirà in Nord America per due tappe, la prima in Canada a Canmore e la seconda a Theodore Wirth Park, Minneapolis.

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