Era uno degli atleti più attesi alla vigilia della Coppa del Mondo di sci di fondo 2023/24, dopo gli ottimi risultati ottenuti nella passata stagione, quando ha dato una splendida scossa al movimento italiano con due podi in Coppa del Mondo. Nella fase conclusiva della preparazione, però, Simone Mocellini si è fermato a causa di una caduta, che gli ha procurato la frattura allo scafoide della mano sinistra. Il trentino delle Fiamme Gialle è stato quindi sottoposto a un intervento chirurgico lo scorso novembre, una volta rientrato in Italia ed iniziato la fase riabilitativa.
Pochi giorni fa, Mocellini ha postato un video che lo mostrava pienamente recuperato, finalmente in azione. Subito si è iniziato a sperare in una sua possibile presenza al Tour de Ski. Mocellini però ha frenato gli entusiasmi, chiarendo di non voler correre rischi e che ne parlerà con Markus Cramer e i dottori che lo hanno seguito.
Ciao Simone, bentornato ad allenarti a pieno regime. Te lo chiediamo subito: c’è possibilità di vederti al via del Tour de Ski?
«Da una parte la possibilità ci sarebbe anche, perché a livello di allenamento non ho perso nulla. Mi sono allenato tanto, anche se all’inizio l’ho fatto utilizzando un solo bastone oppure solo gambe. Mi mancano però ancora forza e mobilità al polso, visto che ho tolto, appena tre giorni fa, il tutore che mi ha permesso comunque di allenarmi regolarmente con due bastoncini. Però, ecco, forse il Tour de Ski arriva troppo presto».
Praticamente non ti sei mai fermato.
«Da quando abbiamo visto che lo scafoide era fratturato, ho cominciato a lavorare con un solo bastone. Dopo l’operazione a Milano, per altri dieci o quindici giorni ho continuato ad allenarmi sempre solo gambe o con un bastone, poi lo staff che mi ha operato mi ha messo a disposizione un tutore speciale, che mi ha permesso di allenarmi con entrambe le braccia. Hanno fatto un lavorone. Ringrazio subito la FISI, perché mi ha fatto operare a La Madonnina, a Milano, dal Dottor Loris Pegoli, il chirurgo che ha operato tra gli altri anche Sofia Goggia e Maignan, portiere del Milan. Sono stati davvero bravi per come mi hanno seguito».
Quindi quante possibilità ti dai di essere al Tour de Ski?
«Mi sono allenato bene, ma il Tour de Ski è un po’ un’utopia. Forse la cosa più logica è tornare appena dopo il Tour de Ski, diciamo a Oberhof. Lo scafoide è completamente guarito, come abbiamo visto dagli ultimi esami, ma devo recuperare i gradi di movimento con calma, la forza del polso. Forse sarebbe più ragionevole aspettare. Vediamo, ne parleremo con Markus (Cramer, ndr) e lo staff medico. Diciamo che posso darmi il 99,9% di possibilità di ritorno in Coppa del Mondo per Oberhof e un 40% invece per il Tour de Ski. Quindi al 60% dico che non ci sarò.
A volte, forzare i tempi di recupero può essere controproducente, anche perché ci sono due sprint a skating, che ancora non ho mai fatto in gara quest’anno. Vediamo come sto, se mi sentissi benissimo e vedessi di stare bene anche in confronto agli altri potrei forzare, ma non so se è il caso. Ci fosse stata la sprint a classico a Lago di Tesero, allora avrei potuto anche rischiare».
Mi colpisce la maturità con cui parli dell’argomento. Solitamente, da atleta, si ha la voglia di rientrare il prima possibile, spesso bruciando anche i tempi e si maledice l’infortunio. Tu sembri molto tranquillo, così come lo eri quando ci siamo sentiti prima dell’operazione.
«Ovviamente non auguro a nessuno di subire un infortunio. Lo scafoide è sempre a rischio quando si frattura, perché se non trattato bene può darti problemi anche nel futuro, nella vita di tutti i giorni. Io poi ho rotto la parte peggiore, ma fortunatamente la frattura era composta e sono stato seguito da uno staff medico fantastico.
Devo però ammettere che l’infortunio dall’altra parte, non dico sia una benedizione, ma ti insegna tanto, è quasi un’occasione sotto un certo punto di vista. In un primo momento vivi nel disfattismo totale, ti sembra di aver perso tutto. Poco dopo, però, capisci che non hai perso nulla, e puoi approfittarne per lavorare su altri aspetti. Per esempio io mi sono concentrato tanto sullo skating, sulla forza delle gambe e anche sull’aspetto mentale. Ovvio, non è facile quando poi vedi in tv le gare di Coppa del Mondo. Ho guardato le due sprint a classico, che erano una più bella dell’altra, anche perché io pensavo alla sprint di Ruka e a quell’ultima salita già dal primo giorno di raduno a Dobbiaco (ride, ndr).
Devo però ammettere che il momento peggiore è stato tra il primo esame fatto in Austria dopo la caduta e il momento in cui ho avuto la certezza della frattura. Spesso la rottura dello scafoide non si vede subito ai raggi, così in quel periodo in cui mi avevano detto che non era rotto ma sentivo ancora dolore, ho sofferto tanto mentalmente. Invece, quando mi è arrivata la diagnosi, mi sono quasi tranquillizzato, perché almeno conoscevo il motivo di quel dolore.
Mi sono quindi concentrato tanto su altri aspetti. Poi ovviamente, dipende tanto dal tipo di infortunio che uno ha, perché ce ne sono alcuni che ti limitano tanto e sono lunghi, quando non vedi la via d’uscita e allora capisco anche l’atleta che fa fatica, ma un infortunio come quello da me avuto, ti dà l’opportunità di avere un focus, un obiettivo. Poi ti aiuta tanto anche come sei seguito. In questo sono stato fortunato, perché tutti i giorni ho sentito qualcuno che mi guidava, mi hanno dato certezze e obiettivi. Con il chirurgo, il suo staff, i fisioterapisti della nazionale e Markus Cramer eravamo in contatto continuo, così come ho avuto al mio fianco anche la famiglia».
A questo punto, se non dovessi rientrare per il Tour de Ski, potresti tornare in gara anche prima di Oberhof, magari in altre competizioni?
«Se non dovessi tornare a Dobbiaco, allora credo che, se dovesse esserci posto anche per me, potrei rientrare in FESA Cup a Oberwiesenthal, dove c’è anche una sprint a skating il 5 gennaio. Sarebbe la cosa più sicura. Poi, se tutto va bene, allora posso partire con Oberhof».
Sei curioso di tornare a misurarti con gli altri?
«Non ho riferimenti con altri atleti da due mesi. Ciò da una parte mi mette timore, ma dall’altra sono anche molto curioso, quindi non mi destabilizza più di tanto. Molti si aspettano tanto da me, dopo i bei risultati dello scorso anno. So che non è facile replicarli, ancora di più dopo l’infortunio, ma io la vivo sereno. Ti dirò, paradossalmente in questo periodo mi è dispiaciuto più per gli amici e le persone qui attorno, i miei compaesani, che per me. Sono tutti dispiaciuti che non ho gareggiato, ma alla fine ho solo perso due sprint a classico, non sono mica morto (ride, ndr)».
Troverai in ogni caso il modo di allenarti con i tuoi compagni di squadra prima del Tour de Ski?
«Vediamo, anche di questo ne parleremo con Markus. Al massimo andrò su a Dobbiaco per incontrare nuovamente i miei compagni dopo un po’ di tempo, altrimenti mi allenerò in Val di Fiemme. Nelle ultime settimane sono stato a Passo di Lavazé, al Dolomiti Apart & Rooms. Ci tengo tanto a ringraziare Milena Monsorno, che mi ha fatto un favore enorme dandomi una stanza e consentendomi così di allenarmi su al Passo per due settimane. Mi ha svoltato il mese, perché con l’infortunio non sarebbe stato il massimo spostarmi avanti e indietro con l’automobile.
Ne approfitto anche per ringraziare nuovamente tutti coloro che mi hanno aiutato, collaborando praticamente quotidianamente. Le Fiamme Gialle, il dottor Panzeri, il medico della FISI Balestrieri, i fisioterapisti della squadra Saba e Savoye, l’allenatore Markus Cramer, le Fiamme Gialle, Fulvio Scola, il chirurgo Pegoli, ovviamente la mia famiglia che mi è stata vicino.
Inoltre, ora è bellissimo tornare a sciare con Francesca (Franchi, ndr), visto che non ci vedevamo da novembre».