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Combinata Nordica – Il grave infortunio non abbatte Alessandro Pittin: “L’obiettivo resta Milano Cortina 2026, ma ci sarò solo se ancora competitivo”

Una banale e sfortunata caduta in fase di frenata, dopo il salto di gara della prima tappa del Grand Prix di combinata nordica, a Oberwiesenthal, è costata molto cara ad Alessandro Pittin, che dovrà restare fermo per tutta la stagione a causa della rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Immediatamente operato, a inizio settembre, dal dottor Andrea Panzeri, presidente della Commissione Medica della FISI, alla clinica La Madonnina, a Milano, Pittin ha iniziato la sua fase di riabilitazione in Val di Fiemme, dove vive con la compagna Marica e la figlia Sofia, che ha da poco compiuto due anni.
Lo abbiamo contattato per sapere come sta procedendo il suo recupero, conoscere il suo stato d’animo, ma soprattutto capire quanto siano ancora forti le sue motivazioni in vista di Milano-Cortina 2026. Abbiamo trovato un atleta determinato, che non pensa ad arrendersi ma vuole ancora combattere anche contro la sfortuna.

Buon pomeriggio Alessandro. Innanzitutto facci il punto della situazione sulla tua fase di recupero.


«Il primo mese è stato abbastanza lento e noioso, ci sono degli step precisi da fare sia con gli esercizi che i gradi di flessione da raggiungere, si va abbastanza lenti. Ora, avendo già messo da parte le stampelle, iniziando quindi in modo più deciso la fisioterapia, penso che tutto procederà più velocemente. Almeno immagino, visto che ho l’esempio di alcuni miei compagni che hanno già avuto infortuni al ginocchio. Solitamente nel secondo mese si dovrebbe arrivare quasi alla normalità. Mi auguro, quindi, già in questo ottobre di riuscire a recuperare una buona mobilità del ginocchio, così da novembre potrei riprendere gli esercizi di rafforzamento. Allora tutto procederebbe più velocemente».


Ecco, torniamo a quel 26 agosto e alla caduta di Oberwiesenthal. Cosa è successo?

«Sono caduto in fase di frenata, in fondo all’area di atterraggio, che in quel trampolino è particolare perché gira leggermente a sinistra. Lì c’era poi la moquette sintetica anziché l’erba, la giornata era molto calda e forse non era stata bagnata bene, così erano presenti alcune zone più asciutte rispetto alle altre. Io ero in posizione già leggermente a spazzaneve, sono finito d’improvviso in una di queste chiazze asciutte nelle quali non si scivolava, sono così andato
in rotazione e cadendo ho avuto una torsione al ginocchio destro. Una caduta banale, ma le conseguenze sono state serie».

Insomma, la zona di atterraggio non era nelle condizioni ideali.

«Beh forse siamo stati sfortunati per le condizioni tanto calde, ma ciò ha portato a questi problemi nella zona di frenata, tanto che ci sono state diverse cadute, molte delle quali senza conseguenze. Poche settimane fa, però, si è saputo che anche Einar Luraas Oftebro ha pagato caro la caduta, visto che si è operato al menisco. A lui era
successo il giorno prima.
Col senno di poi, probabilmente queste cadute si potevano evitare, la situazione poteva essere gestita diversamente, si poteva bagnare meglio questa moquette sintetica per migliorare la fase di frenata. Quando in alcuni punti il terreno è più lento e ti frena improvvisamente gli sci, è un po’ difficile gestire la situazione con gli sci da gara».
 

Nel PCR eri andato piuttosto bene. Ti sentivi in buona forma?

«In realtà il salto di gara, quello della caduta, non era stato dei migliori. Venivo da una preparazione non eccelsa, nella quale alternavo buoni salti in alcuni raduni, ad altri invece in cui non riuscivo ad avere delle buone sensazioni ed effettuare bei salti. Quindi non mi ero presentato al Grand Prix in ottime condizioni, però a Oberwiesenthal avevo subito fatto bene nel primo giorno, sia in allenamento che nel PCR, con buoni salti. Il salto di gara era stato un po’ meno positivo, ma comunque avevo fatto passi avanti rispetto all’estate. L’obiettivo, almeno mio, era migliorare un po’ alla volta, per poi cercare di mettere insieme qualche buon salto in più nel periodo autunnale finalizzando preparazione. Purtroppo non mi è stato possibile farlo».

Ti sei reso subito conto della gravità dell’infortunio?

«Sul momento ho sentito lo schiocco del ginocchio, ma nessun dolore particolare e anche il gonfiore era normale. Ai primi controlli sul posto, con il fisioterapista, si capiva che c’era qualcosa, ma non pensavamo addirittura una rottura. Rientrato in Italia ho fatto subito un controllo ortopedico e la risonanza ha mostrato la rottura del crociato. Abbiamo quindi deciso di intervenire subito e ringrazio il dottor Panzeri, il suo staff e la FISI per avermi operato subito».

Immagino sia stato proprio difficile per te accettare la diagnosi e di conseguenza il lungo stop. È stata un po’ una batosta?

«Avevo immaginato subito che avrei dovuto fare una pausa medio lunga, anche prima di sapere che era rotto il crociato. Diciamo che ero abbastanza preparato. Devo però ammettere che non è stata una batosta così grande, non avevo grossi obiettivi per questa stagione, non essendoci Mondiali od Olimpiadi. Ovviamente, speravo di non dover fare un’operazione, più per tutto quello che ne consegue nel periodo successivo. La riabilitazione e il percorso da fare dopo l’operazione me li sarei evitati volentieri. Questa è la realtà e dobbiamo accettarla, non si può tornare indietro. Cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi, se proprio doveva accadere, meglio quest’anno, anche se saltare tutta la stagione non è certo facile da accettare, quando hai 33 anni e ancora pochi anni di carriera in prospettiva. Non è banale fermarsi un anno intero quando sai che non hai altre dieci stagioni all’orizzonte. Dall’altra parte, so di avere tutto l’inverno per recuperare, per poi rientrare, se non proprio subito subito con gli altri quando inizierà la preparazione della prossima stagione, poco più in là. Avrò quindi tutto il tempo di preparare stagione successiva.
Ovviamente sarà più impegnativo tornare competitivi per dare il massimo nelle prossime due stagioni. Mi prendo però questo tempo con calma, per fare le cose nel modo migliore possibile e rientrare al meglio delle mie possibilità».

Dalle tue parole mi sembra di capire che, nonostante questo brusco stop a trentatre anni, resta ancora intatta la tua voglia di partecipare alle Olimpiadi di Milano Cortina 2026, che vedrà le competizioni di combinata nordica svolgersi nella tua Val di Fiemme.
«C’era prima e rimane adesso. Ero consapevole anche prima dell’infortunio, che non sarebbe stata certo una passeggiata arrivare alle Olimpiadi del 2026. Come dico da un paio di stagioni, continuo ad andare avanti anno per anno, vedendo come evolve la situazione e a che punto mi trovo. Se vale la pena andare avanti e fare tutti i sacrifici che sono richiesti per disputare delle stagioni ad alto livello, vado avanti. Anche se adesso mi sono fatto male, cerco comunque di mantenere questo obiettivo, prima di tutto perché può aiutarmi a recuperare al meglio il ginocchio e cercare di tornare al livello precedente. Poi il giorno che, come spero, tornerò a gareggiare, si faranno le opportune valutazioni, vedendo a che punto sarò e cosa varrà la pena fare, se avrò la possibilità di andare avanti o meno. Se continuo, devo essere competitivo, non voglio certo farlo per partecipare. Al momento, quindi, non penso a cosa farò in futuro, voglio solo recuperare al meglio per rientrare».  

Parliamo dei tuoi compagni. Che nazionale azzurra hai lasciato. A che punto è la squadra italiana?

«Rispetto a qualche anno fa, c’è maggiore equilibrio e abbiamo anche un gruppo molto compatto, nel quale c’è una buona competizione interna. Adesso è un mesetto che sono fuori dal gruppo, ma per quello che ho visto durante l’estate e anche nel corso della scorsa stagione, c’è stato un buon ritorno ai suoi livelli da parte di Aaron (Kostner, ndr) che penso possa fare bene anche quest’anno. Anche Iacopo (Bortolas) ha potenzialità per farlo, è campione del mondo junior, a livello giovanile ha fatto vedere di avere dei grandi mezzi e ha dalla sua una buona qualità al salto, un fattore da non sottovalutare per come si è evoluta la combinata. Poi ci sono Samuel (Costa, ndr) e Raffaele (Buzzi, ndr) che hanno fatto delle buone cose nelle ultime stagioni, sono sempre lì costanti. Saranno loro due a dover trascinare il resto della squadra, compresi gli altri giovani presenti. Senza dimenticarci che c’è lo stesso Aaron, che ormai non è più un ragazzino, ma sicuramente può essere un trascinatore».

Vedo che hai grande fiducia in Kostner.

«Si, mi aveva subito fatto una buona impressione, quando era diventato senior, poi ha avuto un paio di stagioni difficili, anche a causa dell’infortunio. L’anno scorso è tornato sui suoi livelli. Secondo me ,se ritrova la giusta continuità può essere con costanza nelle prime quindici o venti posizioni in Coppa del Mondo».

Nella tua carriera hai già subito diversi infortuni. L’esperienza del passato può tornarti utile?
«Rispetto a quando mi infortunai alla spalla nel 2012, quando ero rimasto fermo diversi mesi, questa volta la situazione è diversa. Allora ero da solo, mi concentrai al cento per cento su me stesso, ora ho famiglia, quindi ho anche più impegni, perché devo anche occuparmi di mia figlia. Dall’altra parte, proprio la presenza della famiglia mi renderà più facile superare questo momento di pausa forzata. Noi atleti siamo sempre abituati a essere in movimento, ad allenarci e viaggiare, quindi è difficile accettare di restare fermi a causa di un infortunio. La presenza di Marica e mia figlia Sofia, mi aiuterà ad affrontare le cose con più facilità, passerò tanto tempo con la mia famiglia, potrò svolgere delle attività con loro. Non è stato così semplice nelle prime settimane, ero praticamente fermo con le stampelle e ovviamente anche la bambina non era facile da gestire. Ora sono più autonomo e libero, quindi durante l’inverno sarà meno complicato per me rimettermi in moto e continuare la riabilitazione con al mio fianco la bambina e Marica che mi supportano e sopportano».

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