580 gare disputate in Coppa del Mondo, 44 medaglie mondiali, sei vittore della classifica generale di Coppa del Mondo, 13 medaglie olimpiche di cui 8 d’oro, 95 vittorie tra Coppa del Mondo e Olimpiadi. Ole Einar Bjørndalen è stato l’emblema del biatleta perfetto, colui che è cresciuto assieme alla disciplina e ha contribuito a renderla sempre più popolare in Scandinavia. Per questo motivo l’IBU ha scelto l’olimpionico norvegese per festeggiare il suo trentesimo compleanno, attraverso una lunga intervista pubblicata sul sito ufficiale.
Dopo aver riportato questa mattina la parte riguardante l’IBU (clicca qui), ora ci concentriamo sulla seconda parte dell’intervista, in cui Bjørndalen ripercorre la sua carriera e ciò che gli ha permesso di arrivare a essere il più vincente di sempre.
Il campionissimo norvegese è tornato agli inizi, svelando quanto fosse importante per lui avere la possibilità di parlare con atleti più esperti dopo le competizioni. «Ero un diciannovenne intelligente. Non ho mai pensato ai risultati, ma ho guardato al lungo periodo e allo sviluppo come atleta. Nella mia prima stagione Coppa del Mondo, ero lontano da quel livello. Sono stato solo fortunato come junior a partecipare. Ho imparato molto nella prima gara, ho avuto tanta motivazione e ho visto qual era la strada giusta. Avere la possibilità di parlare con i migliori al mondo è stata una grande esperienza. Avevo bisogno di migliorare, ma quando ti viene sbattuto in faccia, sentendo gli atleti quando sciano più velocemente e sparano meglio di te, è incredibile quanto velocemente tu impari».
Bjørndalen ha quindi parlato dei suoi miglioramenti arrivati insieme a quelli dei materiali, aiutato dal suo carattere da perfezionista: «Il materiale cambiava costantemente, dai proiettili alla carabina, agli sci, alle scarpe, ai bastoncini, alle tute da sci. Questo è stato interessante per me, perché ho ottenuto buoni risultati velocemente. Il mio obiettivo era sviluppare lo sport e renderlo più interessante: sciare più velocemente, sparare più velocemente. Non mi sono mai stancato di questo. Ho visto un enorme potenziale. Ogni volta che ottenevo un buon risultato, trovavo qualcos’altro su cui lavorare. Non erano solo i risultati, la mia passione era in questo sviluppo dello sport».
Bjørndalen ha quindi raccontato come è arrivato in pochi anni ad essere da un giovane promettente al numero uno assoluto. «Nel 1994, 95, 96, ero un buon atleta, il miglior junior, ma non ero stabile. Il mio problema più grande quando sono arrivato in Coppa del Mondo è stato che non avevo il giusto livello al poligono. Ho avuto la fortuna di andare in Germania in estate e allenarmi con Ricco Gross e Fritz Fischer. Lo ricordo come fosse ieri. Ero un buon tiratore in piedi. Fritz mi ha insegnato ad avere un’alta pressione sul grilletto. Maggiore è la pressione, maggiori sono le possibilità di colpire il bersaglio. Questo suo allenamento con le dita è stato fantastico. Egli era così avanti rispetto a chiunque in Norvegia; nessuno la pensava come lui. Quella lezione era per le serie in piedi, ma l’ho riportata anche nella posizione a terra. Inoltre, in posizione a terra, se prendi la posizione giusta, anche tua nonna può colpire i bersagli perché è così semplice».
Non solo allenamento, Bjørndalen ha dimostrato di essere avanti con i tempi diventando anche uno dei primi atleti ad affidarsi a un mental coach. «Penso che sia molto importante avere il coraggio di andare per la propria strada. La mia federazione non capiva perché avessi bisogno di un mental coach. Ora ciò è abbastanza normale ma allora (1996) pensavano che fossi totalmente pazzo. Ero un grande talento negli sport di resistenza: enorme capacità, leggero e forte per il mio peso corporeo. Ma il mio livello mentale non era buono. Ho incontrato un saltatore con gli sci in pensione da Vikersund che ha detto che avrei dovuto chiamare uno dei suoi amici. Ero sempre malato e avevo bisogno di pulire la mia camera d’albergo per stare bene. Mi ha detto che questo ragazzo avrebbe potuto aiutarmi con una macchina, che non è la parte importante. Ho preso l’aspirapolvere, ma quell’uomo è diventato il mio mental coach dal 1996 ad oggi. Questo ragazzo aveva poca esperienza con lo sport, anzi zero. Ma aveva un sistema per raggiungere l’obiettivo, come costruire la via (verso il successo). Gli ho insegnato lo sport e lui mi ha mostrato la strada. Sono andato da questo ragazzo per un aspirapolvere senza pensare che diventasse il mio mental coach. È stata pura fortuna».
Dall’esterno il segreto di Bjørndalen è sembrata essere sempre la sua attenzione ai dettagli. «Dall‘interno, invece, è nato tutto dalla mia folle passione per lo sport, svegliandomi ogni giorno con un allenamento intelligente e duro. Sono stato per trent’anni anni a un livello abbastanza alto. Non ho mai avuto una giornata pesante in cui odiavo lo sport e odiavo andare ad allenarmi. Non ho mai visto il mio sport come un lavoro, mai in tutta la mia vita. È sempre stato come un hobby perché all’inizio non potevo vivere di esso. L’ho fatto con l’organizzazione di sponsor e contatti, quello era il mio lavoro. Lo sport era pura felicità».
Biathlon – Ole Einar Bjørndalen torna su alcuni episodi della sua carriera: “Quando nel 1996 mi rivolsi a un mental coach pensavano fossi pazzo”
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