L’addio è arrivato improvviso per i fan, ma non per chi lo conosce bene e aveva avuto modo di parlare con lui negli ultimi mesi. Maicol Rastelli ha chiuso la sua carriera agonistica a trentadue anni appena compiuti, dopo aver ottenuto un podio individuale in Coppa del Mondo, nella splendida cornice di Drammen nel 2014, essere stato per anni in nazionale e aver preso parte a tre Mondiali e due Olimpiadi.
Raggiunto telefonicamente dalla redazione di Fondo Italia, il fondista di Le Prese ha parlato e motivato la sua decisione, dando uno sguardo alla sua carriera, dicendosi soddisfatto di ciò che ha fatto, senza ovviamente nascondere anche qualche rammarico. Un’intervista sincera quella dell’ormai ex fondista del CS Esercito.
Ciao Maicol. Raccontaci come è arrivata questa tua decisione. Cosa ti ha spinto a ritirarti?
«L’assenza di motivazioni. Magari se avessi fatto una bella stagione avrebbe potuto incidere sulla mia scelta, ma alla fine ho visto che la motivazione è andata costantemente in calando negli ultimi due anni. Si, l’anno scorso ne avevo di più perché volevo andare ai Giochi Olimpici di Pechino, ma dopo quelle sono tornato ad essere poco motivato. Fisicamente sto ancora bene, avrei potuto anche fare altri due o tre anni, ma quando non c’è più la testa, hai poco da fare».
Qual è il bilancio conclusivo della tua carriera?
«Sono soddisfatto di quello che ho fatto. Certo, magari potevo fare qualcosa in più per il mio valore fisico e tecnico, ma sono stato frenato sia da alcuni miei errori che da decisioni tecniche che nel corso degli anni non mi hanno agevolato. Anche quest’ultimo fatto direi che ha inciso abbastanza sui risultati. Soprattutto nelle ultime due stagioni, ci sono state molte cose che non mi sono andate a genio. Non posso però lamentarmi di quello che ho ottenuto negli anni, ho fatto dei buoni risultati ed è stata una carriera sicuramente positiva. Quando dodici anni fa iniziavo la mia prima stagione da senior, avrei quasi messo la firma sui risultati che ho ottenuto».
Personalmente hai qualcosa da recriminarti? Pensi che avresti potuto fare meglio in alcuni aspetti?
«Credo sia stata più una questione di testa, che non mi ha permesso di fare ancora di più. In occasione delle Olimpiadi di Pyeongchang ero nel momento migliore della mia carriera per convinzione e prestanza sia fisica che atletica. A quel punto, però, non sono riuscito a sfruttare quell’onda positiva. Sono stato sempre un po’ discontinuo nel riuscire a mantenere alte le motivazioni.
Sia chiaro, ci ho sempre messo il massimo impegno, ma credo mi sia mancato avere abbastanza fame di risultati, che è poi andata in calendo. Ciò ha inciso parecchio».
Hai citato qualche scelta tecnica presa da altri. Ecco, pensi che anche questo aspetto a volte possa averti tolto motivazioni?
«Si, anche questo ha inciso, perché tutte le convocazioni avute me le sono sempre guadagnate sul campo e credo che avrei meritato qualcosa in più, soprattutto nelle ultime stagioni. Per due anni consecutivi sono stato lasciato fuori squadra dopo aver disputato un’ottima stagione. Lo scorso anno, per esempio, mi hanno tenuto fuori squadra dopo che mi ero anche qualificato per le Olimpiadi. Sento che c’è stata poca considerazione nei miei confronti. In generale, credo che nel corso degli anni non sono mai stato considerato come avrei meritato. Sinceramente non mi spiego perché, me lo sto ancora chiedendo adesso.
Non sono mai stato uno che ha creato polemiche, ma forse questo è stato un mio difetto, perché avrei forse dovuto farmi sentire di più. A volte stare zitto e farsi andare bene le cose non è sempre la cosa migliore. Ho accettato le decisioni, senza mai lamentarmi più di tanto, ma è stato un errore».
Vista la tua esperienza, consiglieresti quindi a un giovane di far sentire le proprie ragioni?
«Sicuramente bisogna rispettare le decisioni tecniche, ma se qualcosa non ti va a genio, è giusto far presente la tua opinione. Bisogna parlare e discuterne con i tecnici, trovare una soluzione, capire le motivazioni. Farsi sempre andare bene le cose non è probabilmente la scelta migliore.
Ovviamente il podio di Drammen è stato il momento più alto della tua carriera.
«Io direi che quello è stato il risultato migliore della mia carriera, arrivato inaspettatamente, anche se avevo fatto un’ottima stagione pur essendo molto giovane. Nelle stagioni successive sono però cresciuto, nel corso di tutto il quadriennio con Chenetti che si è chiuso con le Olimpiadi di Pyeongchang. Nell’ultimo anno con lui ho toccato il mio momento migliore. Peccato che allora mi sia mancato il risultato di rilievo, ma lì credo davvero di aver toccato un livello molto alto. Alle Olimpiadi andrai molto forte».
Ti è piaciuta la gestione di Chenetti?
«Con lui mi sono sempre trovato bene. Abbiamo lavorato nel modo giusto per tutto quel quadriennio, seguendo una certa linea che ha pagato. Almeno nel mio caso, sono arrivato alle Olimpiadi al top. Insomma non mi posso lamentare, ha fatto un ottimo lavoro».
Hai preso parte a due Olimpiadi. Cosa ha significato per te ricevere la convocazione olimpica?
«Sono orgoglioso soprattutto di aver preso parte alle Olimpiadi di Pechino, perché quella convocazione è arrivata partendo da fuori squadra, con tutte le difficoltà del caso. Qualificarmi è stata quasi un’impresa. Purtroppo, una volta lì, mi sono trovato in un pessimo stato di forma perché mi ero bruciato tutte le energie per qualificarmi. Partendo da fuori squadra, però, non potevo fare altrimenti. Dovevo dare tutto in ogni gara di qualificazione e prendere parte a tantissime competizioni per prendermi un posto. Queste sono le condizioni se purtroppo ti trovi fuori squadra».
Non hai avuto tante occasioni di partecipare a gare di squadra. Nelle team sprint ti sei trovato spesso a essere la riserva. Ciò ti lascia qualche rammarico?
«Purtroppo ci sono state poche team sprint in tecnica classica che hanno assegnato medaglie, quando ero nei miei anni migliori. Certo, mi sarebbe piaciuto avere l’opportunità di prendere parte a una team sprint mondiale con Chicco, ma davanti a me c’era Nöckler, che andava veramente forte e alla fine è sempre stato scelto, anche giustamente visti i risultati. Poi è arrivato Defa, quindi sono sempre stato un po’ il secondo, senza mai trovare il posto per quella gara.
Invece, ho preso parte alla staffetta sia a Pyeongchang che a Seefeld, facendo delle ottime gare in entrambe le occasioni. Le staffette però si fanno sempre in quattro, bisogna stare tutti bene ed avere anche fortuna. Ho un po’ il rammarico della staffetta olimpica di Pyeongchang, perché allora eravamo in testa a metà gara, avevo anche fatto un’ottima frazione e ci stavo sperando abbastanza».
Nel corso della tua carriera, dallo sci club fino alla Squadra A, hai sempre trovato un ambiente positivo?
«Sinceramente mi sono sempre trovato bene nelle squadre di cui ho fatto parte, dallo sci club al comitato, fino alle nazionali Junior, B e A. Poi ovviamente da giovane vivi le cose diversamente, più come un gioco, l’ambiente è più rilassato. Quando arrivi a un certo livello, in squadra A, l’ambiente è sempre bello, ma hai inevitabilmente qualche pressione in più. Ciò però non ha certo messo mai in difficoltà il rapporto con i miei compagni, perché mi sono sempre trovato alla grande. Non ho mai avuto problemi, il gruppo è sempre stato unito».
Il tutto è partito dalla Polisportiva Le Prese. Quanto ha inciso il tuo sci club sull’ottima carriera che hai fatto?
«Io devo solo ringraziare la Polisportiva Le Prese perché mi ha fatto crescere, fino a quando sono diventato senior. Quello che ho ottenuto dopo è stato frutto del lavoro svolto da giovane con loro. Anche successivamente ho sempre ricevuto supporto da loro. Uno sci club di un paesino così piccolo è riuscito a portare me ed altri atleti in nazionale, a ottenere ottimi risultati, non è una cosa da tutti. Ciò è frutto della passione e l’impegno degli allenatori, che ci hanno messo anima e cuore per farci arrivare il più in alto possibile. Nel corso della mia carriera sono riuscito a dare ancora più valore a questo cosa.
Se pensate al camioncino che si portano dietro per prepararci gli sci. Anche quello è segno della grande passione che poi ci aiuta ad emergere».
Nel corso della tua carriera, hai avuto modo di incrociare lungo la strada tanti grandi campioni. Chi è quello che ti ha più emozionato o che ritieni più forte?
«Quando arrivai in Coppa del Mondo, il numero uno era Northug. Diciamo che mi fece un effetto particolare gareggiare con lui, perché rappresentava qualcosa di grande, lo avevo visto e ammirato solo in tv. Ho anche gareggiato contro Klæbo, un fenomeno assoluto, ma in quel caso quando si era affacciato giovanissimo io ero già in Coppa del Mondo da diversi anni. Insomma non è stata la stessa cosa, Northug lo vedevo in tv, sicuramente uno dei fondisti che più ho ammirato come atleta e personaggio.
Voglio poi sottolineare che sono stato orgoglioso anche di tanti compagni di squadra che ho avuto in nazionale, atleti fortissimi dai quali ho potuto imparare e prendere esempio».
Anche nelle categorie giovanili affrontasti avversari fortissimi.
«Si, nei Mondiali Under 23 in Val di Fiemme c’erano campioni unici come Ustiugov e Niskanen, gente che poi ha dominato in Coppa del Mondo e lo fa ancora. Lì ottenni un quarto e un quinto posto, che mi portarono poi a Drammen dove ottenni il mio storico podio in Coppa del Mondo. Ecco quel risultato chiuse al meglio il cerchio di quella stagione, nella quale avevo dimostrato il mio valore».
Hai già deciso cosa farai ora?
«Bella domanda (ride, ndr). Ho smesso perché sentivo che era l’ora di farlo, ma ancora non ho le idee chiarissime sul futuro. Ho l’idea di rimanere nel gruppo sportivo del CS Esercito, che ringrazio per avermi permesso di fare questa bella carriera, di restare nell’ambiente degli sport invernali, magari non per forza nello sci di fondo. Devo ammettere, anzi, che mi piacerebbe cambiare un po’ ambiente, proprio per degli stimoli personali. Dopo trent’anni nello sci di fondo, forse un cambiamento mi farebbe bene».
Un po’ come ha fatto Mirco Bertolina.
«Si, lui è l’esempio, che si può anche cambiare e passare ad un’altra disciplina, magari portando dentro ciò che hai imparato nel tuo sport, per contribuire con qualcosa di nuovo a migliorare anche un altro ambiente».
Cosa consiglieresti a un bambino che inizia a fare sci di fondo? Perché scegliere questo sport?
«Lo sport forma sempre parecchio, ma una disciplina di fatica come lo sci di fondo lo fa ancora di più, perché nei tanti anni fai molti sacrifici senza guadagnare milioni come capita in altri sport. È una disciplina in cui non ti viene regalato nulla, tutto ciò che ottieni devi guadagnartelo, non devi mai mollare, nemmeno negli allenamenti. Proprio per questo motivo lo consiglio, perché se anche poi non diventi un fondista professionista, l’etica di questo sport ti sarà utile e ti aiuterà poi nella vita in generale».