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Biathlon , Interviste

Biathlon – Niklas Hartweg a Fondo Italia: “Non speravo più nel pettorale blu; Giacomel? Abbiamo un rapporto speciale. Nella nostra prima sfida arrivammo primi a pari merito”

HOLMENKOLLEN – Aveva bisogno di un’impresa per vincere il pettorale blu di leader della classifica under 25. Le possibilità di Niklas Hartweg di scavalcare Tommaso Giacomel passavano quasi esclusivamente per un podio. Non semplice, quando si parte già sapendo che un posto tra i primi tre è occupato, quello di Johannes Bø, e dietro di lui c’è un gruppo di norvegesi affamati, ma anche un velocissimo Ponsiluoma o un Fillon Maillet che fino all’ultimo momento spera di regalare alla Francia la prima vittoria individuale maschile della stagione.

Invece lo svizzero ci è riuscito, forte di una prestazione al poligono degna del suo grande talento, e di una ritrovata condizione anche sugli sci, ben distante da quella della settimana di Östersund, quando aveva scritto sui suoi social di non avere più energie, è riuscito addirittura a chiudere la mass start al secondo posto alle spalle dell’imprendibile Johannes Bø. Un risultato che gli ha consentito di vincere il pettorale blu come miglior under 25 della stagione.

Con grande disponibilità il giovane svizzero, classe 2000, si è fermato a parlare con Fondo Italia dopo la premiazione di domenica, commentando questo suo splendido weekend di Holmenkollen, raccontandoci un po’ della sua passione per il biathlon, dei suoi idoli sportivi (e ovviamente da svizzero c’è un tennista, ndr) e del suo rapporto con Tommaso Giacomel, raccontandoci anche un curioso aneddoto sulla loro prima battaglia.

Ciao Niklas, intanto complimenti per questo fantastico secondo posto e per il titolo di miglior under 25 della stagione. Il podio era praticamente l’unica possibilità che avevi per riuscire a ottenere il pettorale blu.
«La vittoria del pettorale blu era un obiettivo, anche perché l’ho indossato abbastanza a lungo nel corso della stagione, nonostante mi sia ammalato e abbia perso qualche gara e punti (Annecy, ndr). Tommy ha poi avuto una grande seconda parte di stagione, così il distacco con cui siamo arrivati a questa gara era abbastanza grande a suo vantaggio. Non pensavo di farcela, perché Tommaso è molto competitivo e con una bella gara anch’egli ha la possibilità di essere sul podio. Era chiaro quindi che dovesse accadere qualcosa di straordinario, ma non ci pensavo tanto perché credevo che ormai fosse andata.
Sabato ho ritrovato fiducia nel mio corpo, perché ho sentito di aver riposato e recuperato finalmente bene, dopo essermi preso un momento di stacco prima di questa ultima tappa. La sprint era stata dura, ma poi ho sentito di aver ritrovato le giuste sensazioni. Nella pursuit ho
ripreso a sciare bene, ho sparato bene, ho messo quindi tutte queste belle sensazioni in questa gara e sono felice abbia funzionato».

A impressionare è stata la tua grande precisione in questo ultimo weekend della stagione, con tre gare chiuse tutte con lo zero, un bel 50/50. Come hai gestito la pressione?
«In realtà credo che nella mass start non ho sentito tanto la pressione per il pettorale blu, proprio perché ormai lo avevo dato per perso, era un gap sulla carta troppo grande da recuperare in una gara sola. So che nel biathlon è tutto possibile, però diciamo che non c’era nulla da perdere oggi. Nella classifica generale il distacco era abbastanza grande da chi mi seguiva, mentre davanti doveva accadere qualcosa di straordinario. Ero quindi molto libero mentalmente nell’approcciare questa ultima gara e motivato perché avevo tanta fiducia dopo la pursuit. Insomma, non avevo nulla da perdere e allo stesso tempo non avevo il pensiero del pettorale pettorale blu nella mia testa. Mi sono concentrato solo sulla gara e non sapevo nemmeno la posizione di Tommaso, essendo concentrato solo su me stesso. Sono felice che abbia funzionato».

In una settimana sei passato dalle difficoltà di Östersund e della sprint di Oslo, a queste ottime due gare. Sei proprio l’esempio di quanto nel biathlon si possa ribaltare tutto anche in meno di una settimana.
«Si, è tutto possibile nel biathlon. La settimana scorsa la mia condizione era veramente cattiva, mentre il tiro era buono anche se non come qui. Pensavo solo di essere cotto, la stagione era stata così lunga, pensavo di non avere più energie. Arrivando a Oslo ho preso qualche giorno per riposare. In occasione della sprint non stavo ancora benissimo, ma poi ha funzionato. Sono riuscito a mostrare il mio migliore biathlon questo weekend»

Com’è il tuo rapporto con Giacomel?
«È speciale. Posso ricordare la prima gara in cui abbiamo gareggiato uno contro l’altro, che era all’età di quindici anni o sedici anni. Vincemmo la gara a pari merito facendo esattamente lo stesso tempo, così siamo saliti sul primo gradino del podio insieme (curiosamente è accaduto anche con Bionaz, ndr). Da quel giorno ho scoperto che c’è un ragazzo veramente molto veloce in Italia e il suo nome era Tommaso Giacomel. Da allora ci siamo conosciuti, è nato un bel rapporto. Abbiamo fatto già un certo percorso insieme, è bello vedere che stiamo ancora competendo tra noi anche a questo livello».

Un giorno sarebbe bello farlo anche per il globo di cristallo.
«Sicuramente. Ognuno di noi lo sogna. Certo se in futuro Johannes non sarà forte come è in questo momento, si potrà magari avere qualche ragione in più per sognarlo (ride, ndr). È un sogno, ma devo però rimanere umile, continuare a lavorare ed allenarmi, perché tutto ciò che conta è lavorare sodo e restare calmo. Forse un giorno vedremo ciò a cui tutto questo porterà e quanto potrò essere veloce».
Raccontaci un po’ di te. Come ti sei avvicinato al biathlon?
«Non sono cresciuto in Svizzera ma a Londra, poi ci siamo trasferiti nuovamente in Svizzera quando avevo circa sette anni. Da quel momento ho iniziato a prendere in considerazione gli sport invernali. Ho cominciato quindi con lo sci alpino, poi soprattutto sci di fondo e biathlon, anche perché mia sorella maggiore, che ha tre anni più di me, aveva iniziato a fare biathlon. Allora ho seguito le sue orme, vedevo spesso il biathlon in televisione insieme alla mia famiglia e mi è subito piaciuto tantissimo, l’ho trovato fighissimo da vedere. Sono sempre stato affascinato da questo sport. Così all’età di undici o dodici anni ho iniziato a praticare biathlon e all’età di quattordici anni per la scuola sportiva ho dovuto scegliere quale sport fare, a me piaceva tantissimo il biathlon e ho iniziato a concentrarmi soltanto su di esso. Ho chiuso con lo sci di fondo a sedici anni. Da lì la crescita è poi stata costante».

Qual è il tuo idolo o modello nel biathlon o nello sport in generale?  
«Essendo svizzero, Il mio modello sportivo è ovviamente Roger Federer. È un Dio dello sport qui in Svizzera. È anche un ragazzo straordinario. Al momento vive più o meno della mia zona, l’ho anche visto qualche volta e sono rimasto colpito da come si comporta con tutte le persone che vanno da lui e quanto è umile.
Nel biathlon, invece, il mio idolo è Martin Fourcade, perché era il più grande quando sono cresciuto e anche per come si è sempre mosso a favore dello sport pulito. È un grande biatleta e un grande sportivo, perché si è sempre preoccupato che lo sport fosse giusto e pulito».


Allora speriamo di incontrare Federer tra il pubblico nel 2025 a Lenzerheide.

«Si, lo speriamo (ride, ndr)».

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