Un urlo in crescendo, quello del pubblico della Val di Fiemme, metro dopo metro del lungo rettilineo di Lago di Tesero, mentre Simone Mocellini recupera Chanavat e taglia il traguardo. Le braccia alzate, l’esultanza, la gioia, la festa con gli skiman, con tutto lo staff tecnico, con il direttore agonistico Stauder, con il presidente Roda, con tutti i compagni di squadra felici per lui e per l’intero team, anche con qualche volto commosso, ma soprattutto gli abbracci con mamma Carla, papà Francesco e sua sorella Federica.
Ha fatto emozionare e si è emozionato. Quello di Lago di Tesero è stato un altro pomeriggio indimenticabile per Simone Mocellini, che dopo lo splendido secondo posto conquistato a Beitostølen, si è ripetuto proprio in Italia, davanti alla sua famiglia e a tutto il suo paese, arrivato in massa a bordopista per sostenerlo in Val di Fiemme.
Il trentino delle Fiamme Gialle ha chiuso al terzo posto, condividendo il podio con due grandissimi campioni come Johannes Klæbo e un Calle Halfvarsson in grande forma. Dopo aver tagliato il traguardo non ha capito più nulla l’azzurro, tanto che ha anche sbagliato strada, finendo in mixed zone ma dal lato di noi giornalisti, venendo ovviamente subito “assaltato” per qualche dichiarazione a caldo, mentre ancora cercava i genitori.
Poi il podio e quindi una lunga serie di interviste, interrotta solo dalla mamma di Francesca Franchi, che gli ha passato il telefono dove dall’altra parte c’era proprio la sua ragazza, impegnata in OPA Cup a Oberstdorf.
Quindi eccolo fermarsi davanti a noi, un abbraccio, perché scusateci, ma siamo prima di tutto appassionati, quindi le prime parole, mentre alle sue spalle passava Klæbo e la sorella del Moce cercava di fermarlo per una foto col campione norvegese. Qualcosa che rende ancora meglio l’idea della passione naturale della famiglia Mocellini per questo sport.
Prima di parlare della gara, partiamo dalla gente presente. Immagino che anche tu prima della partenza avrai sentito come urlava il pubblico ogni volta che veniva menzionato il tuo nome, oppure il bellissimo boato quando ti sei infilato all’interno nel tornantino. Ecco, ti saresti mai aspettato qualche mese fa di ricevere così tanto affetto dagli appassionati?
«Mai lo avrei immaginato, è stato sopra ogni mia aspettativa. Oggi la mia famiglia mi ha fatto una bella sorpresa, perché l’altro giorno, quando li avevo chiamati chiedendo loro chi venisse su, mi avevano risposto che sarebbero saliti loro tre e forse gli zii, invece alla fine ho trovato qui metà del paese. È stato incredibile. Ogni volta che lo speaker mi nominava sentivo tutti che esultavano. Spero di averli resi orgogliosi. È stato incredibile. È bellissimo sentire tutto questo affetto della gente».
Passiamo alla gara. Quando ci siamo sentiti dopo Beitostølen avevamo parlato proprio di Lago di Tesero e quanto questo finale fosse adatto a te.
«Parlavo in questi giorni con Dietmar Nöckler e lui mi diceva sempre: “Sei uno dei più forti al mondo su quel rettilineo”. Allora, alla fine ho dovuto ascoltarlo veramente (ride, ndr) e aveva ragione a dirmi che avevo delle potenzialità per affrontarlo al meglio. Nella finale ho cercato di avere una posizione abbastanza buona, non troppo indietro, per prendere un po’ di scia e fare una buona voltata. Così è stato e sono veramente felice di averlo fatto».
Probabilmente un paio di anni fa ti saresti accontentato di una medaglia ai Campionati Italiani, ora sei sul podio in Coppa del Mondo. Mi dici come è nato questo tuo cambiamento dal punto di vista mentale?
«Guarda, non lo so, ma io credo che la chiave del mio cambiamento sia proprio quella, perché non ho niente di diverso. Sicuramente ho lavorato bene, mi sono sempre fidato di quello che facevo, degli allenatori che avevo, di quello che mi dicevano. Il click mentale è avvenuto nel corso degli anni e quest’anno ho capito che la chiave era la consapevolezza dei miei mezzi. Ero qui una settimana fa in caserma, facevo l’ercolina con il mio allenatore Fulvio Scola, sfidandolo in un esercizio in cui lui è fortissimo, quasi imbattibile, ed ero andato bene come lui. A quel punto mi aveva detto: “Guarda che se fai bene questo esercizio, significa che sei veramente fortissimo”. Allora, ridendo gli avevo risposto: “Quindi posso spingere veramente forte”. E così è stato. Sono contento. Ripeto, la chiave è la consapevolezza dei propri mezzi».
Dopo la sua gara, Pellegrino ha detto di essere molto contento, perché dopo la sua eliminazione i tifosi italiani avevano ancora un azzurro per cui tifare. Insomma la speranza è che oltre te possano farlo anche altri. Credi che stai indicando la strada a tutti i tuoi compagni?
«Io spero che qui tra un po’ saremo in tanti a rilasciare tutte queste interviste. Sono convinto che anche altri del nostro gruppo, ma anche coloro che sono nei corpi sportivi militari, la gioventù che c’è alle nostre spalle, con il tempo arriverà.
Grazie anche a Pelle che oggi mi ha dato tante informazioni sulle varie tattiche da usare, dove mettermi, che binario usare, come gestirmi. Prima della finale è venuto con me a fare defaticamento, a dirmi di respirare, restare tranquillo e dandomi gli ultimi consigli sulla tattica da usare. Un grazie anche lui».
Qui c’è tua sorella che chiede l’autografo a Klæbo. Cosa significa condividere il podio con un campione come lui e con Calle Halfvarsson?
«Tanta roba. Come a Beitostølen non riesco ancora a realizzare cosa è accaduto, forse lo farò tra una settimana».
E adesso?
«Ora un attimo di tranquillità a casa, mi riposo, poi devo approcciare le gare senza sentire le pressioni. Ovviamente mi porrò delle aspettative, ma senza sentirmi in obbligo di dimostrare. Devo restare tranquillo, ma con la consapevolezza di sapere ciò che valgo».