Qualche giorno di tranquillità, da dedicare a famiglia e hobby, ma sempre con il biathlon nella testa e l’attenzione rivolta a ciò che avverrà nelle prossime settimane.
Dopo l’intenso inizio di stagione con tre settimane consecutive di competizioni, Fabio Cianciana, allenatore della squadra maschile di biathlon, insieme ad Alex Inderst, Andrea Zattoni, Daniele Piller Roner e Riccardo Romani, prende un attimo respiro per poi dedicarsi a un mese di gennaio altrettanto intenso fino al Mondiale di Oberhof, momento clou della stagione.
Un gruppo particolare quello maschile, in quanto composto da tanti giovani e da Dorothea Wierer a fare da chioccia ai compagni. Una stagione che già alla vigilia si immaginava complicata, vista la giovane età del gruppo, ma resa ancora più difficile dal brutto raffreddore che ha debilitato Bionaz alla viglia delle prime gare e fermato Braunhofer per due tappe, e soprattutto dall’infortunio di Lukas Hofer, ancora alle prese con l’infiammazione del tendine tibiale, che lo sta tenendo ai box, privando i giovani azzurri di un prezioso punto di riferimento, ma anche di una sorta di scudo protettivo. Fortunatamente, però, in questo contesto c’è un Tommaso Giacomel che sta confermando il suo grande potenziale, stabilendosi già nella top venti mondiale e crescendo tappa dopo tappa, dando l’impressione di poter cogliere presto qualcosa di importante.
Tutti argomenti di cui Cianciana ha parlato nell’intervista a Fondo Italia.
Buon pomeriggio Cianciana. Partiamo dalla donna del suo gruppo, Dorothea Wierer che nonostante le difficoltà legate al brutto raffreddore di Kontiolahti, si è subito stabilita ai vertici trovando anche il podio.
«Sicuramente quel raffreddore, o piccola influenza, ha influito debilitandola un po’. Peccato, perché stava veramente bene. Diciamo che dal 95% siamo scesi al 70% della condizione, dal momento che l’ha colpita soprattutto nell’aspetto respiratorio, dandole fastidio. Adesso si è ripresa.
Sul tiro ha dimostrato subito di avere in canna quattro zeri. A volte deve solo avere un po’ più pazienza, in quanto lei è molto istintiva, così in alcune occasioni le sembra quasi di sparare piano, quando in realtà copre i bersagli in 23” a terra e 20” in piedi. Per me con 25” a terra e 22” farebbe sempre zero e in questa fase della sua carriera, sarebbe più che mai prezioso per lei, in quanto sfidando atlete più giovani non può permettersi errori, altrimenti deve affidarsi agli sbagli altrui. Ciò le mette un po’ di pressione, ma questo aspetto lo sta gestendo bene. A Le Grand Bornand mi è piaciuta nella pursuit, peccato quegli errori legati però ad una pista dura e scivolosa, che le ha provocato alcuni problemi muscolari, complicandole la vita nel momento decisivo. Sono però molto soddisfatto di come è partita e sono convinto possa togliersi davvero tante soddisfazioni».
L’impressione è di una Dorothea Wierer tranquilla, ma anche tanto motivata.
«È super motivata, sempre molto pignola nella ricerca della perfezione, al tiro come ancora nel puntamento. È un’atleta completa che non lascia niente al caso. Affronta ogni gara e allenamento dando sempre il 150%».
Poco fa ha suggerito a Wierer di rallentare di un paio di secondi al tiro. Non teme che qualcuno potrebbe rimproverarle di rischiare di snaturare un po’ un’atleta che ha 32 anni?
«Non è snaturare. Un tiratore non lo snaturi mai, perché ha sempre basi solide su cui poter lavorare. Una biatleta come Doro, che nel corso dell’azzeramento ti mette cinque colpi nel bersaglio piccolo sparando in piedi, ha una stabilità esageratissima. Lei condivide questo aspetto, se rallentiamo di un secondo, significa due decimi a colpo, un’inezia che non è nemmeno calcolabile. L’atleta riesce a mettere questi due decimi nella fase di costruzione del colpo, significa seguirlo. Snaturare sarebbe dirle di sparare con 3 respiri, anziché due. Se ti dico di seguire di più il colpo, vuol dire stare un decimo, a fine serie sono cinque decimi dedicati alla prestazione, che aiuta a livello coordinativo il colpo successivo, ma soprattutto non vai in debito d’ossigeno».
Da Dorothea Wierer a Tommaso Giacomel. Il trentino sta crescendo di gara in gara, riuscendo a stabilirsi nella top venti e addirittura entrando già nella cerimonia floreale. Secondo lei quanto è distante il podio?
«Il podio non è lontano, ma a portata di mano. Il podio non deve essere però un fuoco d’artificio di Capodanno, che lo spari, lo ammiri e poi ricade giù. Il podio deve arrivare con una solidità di risultati alle spalle, quelli che Tommaso sta ottenendo adesso. Allora, quando hai costruito la tua base, il podio non è più un fuoco di Capodanno, ma il coronamento di un percorso solido. Sono contento di quanto lui sta facendo, perché si sta stabilendo in quella zona di classifica dalla ventesima posizione fino anche alla top sei. È stato importantissimo, perché se fai invece la sparata da podio senza una base alle spalle, quando poi ricadi e fai cinquantesimo, cosa che nel biathlon può sempre capitare, rischi di farti male.
Per rispondere alla domanda, il podio è molto vicino, lui per primo lo sa, ma deve arrivarci mantenendo la giusta calma. Fino a poche settimane fa Tommaso aveva “la voglia di”, che ora ha trasformato in “consapevolezza di”. Non sto dicendo che si debba accontentare delle top venti, ma di essere contento della solidità di risultati ottenuti».
Dall’esterno, l’impressione è quella di un atleta che sta maturando.
«Si, è maturato tanto. Tommaso ha sempre avuto un gran bel ritmo sugli sci e anche una dote naturale al tiro, dove però aveva anche tanta irruenza. Quando vuoi tanto anzi direi troppo una cosa, rischi a volte di complicarti la vita e rendere le cose più difficili. Nello sport bisogna sapersi divertire.
A Kontiolahti, lui era veramente abbattuto dopo la prima gara, allora un nostro skiman molto esperto mi ha detto che avrebbe dovuto iniziare a divertirsi, perché solo quando al lavoro e alla determinazione unisci anche il divertimento, arrivano i risultati. Allora gliel’ho riferito e forse lì è scattato ancora qualcosa, ha capito che è in gara, sta facendo sport, non è in guerra.
Tutto il gruppo lo sta aiutando a crescere, perché per giovani come lui è importante trovare armonia in squadra, serenità e unione nel gruppo. Sta facendo tanti step».
Al contrario, Didier Bionaz non è riuscito ancora a confermare quello che è il suo grande potenziale. Quanto ha influito l’influenza avuta a Kontiolahti?
«Dido stava davvero bene prima di Kontiolahti, i risultati dei test di Beitostølen, nel quale aveva avuto un bel confronto con Tommaso, ci facevano ben sperare. A Kontiolahti è arrivato quel maledetto raffreddore con qualche linea di febbre, che lo ha debilitato veramente tanto, ma non è solo quello.
Didier è alla ricerca di una prestazione sciistica di un certo rilievo da due stagioni. Facendo un’analisi più approfondita, al netto delle problematiche fisiche avute, riteniamo che forse si sta mettendo troppo sotto stress nel voler tornare e confermarsi, forse consumando anche troppe energie mentali pre gara, così quando si trova a dover performare ne risente.
Gli manca un po’ di tranquillità ed è quella che deve ritrovare, perché siamo tutti convinti che il risultato arriverà. Al tiro ci siamo, va abbastanza bene, è un tiratore meno istintivo rispetto a Tommaso, più ragionato. Quello che tutti gli diciamo di fare è mantenere la calma, restare tranquillo, perché arriverà il risultato che cerca e allora si sbloccherà».
Abbiamo visto che Lukas Hofer non sarà nemmeno al World Team Challenge di Gelsenkirchen. È preoccupato dalla sua situazione?
«Siamo tutti preoccupati, perché la sua presenza è davvero importante. Luki, oltre a essere il senatore e punto di riferimento del gruppo, sarebbe anche molto d’aiuto come protezione per i più giovani, mettendo gli altri meno in vetrina e permettendo loro di sbagliare con tranquillità. Insomma sarebbe stato una sorta di ombrello, anche perché sapevamo già che con una squadra giovane avremmo anche preso qualche sberla. Luki ci manca anche in staffetta e speriamo torni presto. A Hochflizen, comunque, i ragazzi sono stai bravissimi, in quella situazione David (Zingerle, ndr) non ha utilizzato ricariche e Daniele (Fauner, ndr) ne ha usate solo due. Alla vigilia pensavamo che se tutto avesse girato per il meglio avremmo chiuso al decimo posto, invece siamo andati oltre. Ecco, immaginate se con giovani così bravi a gestire le pressioni avessimo avuto anche Hofer».
Parliamo degli altri azzurri che hanno gareggiato quest’anno in Coppa del Mondo. Braunhofer ha fatto i suoi primi punti a Kontiolahti, Cappellari è apparso in difficoltà, mentre Zingerle e Fauner stanno facendo esperienza.
«Brauni ha fatto molto bene nell’individuale di Kontiolahti. Peccato si sia poi ammalato, cosa successa ahimè a tanti. Adesso rientrerà a Pokljuka, dove speriamo riesca a darci gli stessi segnali di inizio stagione.
Cappellari è stato solido al tiro come sempre, mentre sugli sci sta accusando dei problemini al tibiale che stiamo cercando di risolvere. Forse è qualcosa di legato al suo stile di sciata. Peccato perché lui è una risorsa importante per le staffette e, all’interno del gruppo, una figura importante in squadra anche fuori dalla pista.
Per quanto riguarda gli altri due, David Zingerle ha fatto a tratti bene e a tratti male, lo scotto da pagare quando si è un giovane esordiente in Coppa del Mondo. È stato bravissimo in staffetta, perché ha gestito bene la pressione nonostante avesse ricevuto il cambio in testa, trovandosi poi in pista gente come Jacquelin, Johannes Bø e Ponsiluoma. Daniele Fauner è arrivato facendo subito una buona staffetta, per poi comportarsi benissimo in Francia, entrando nei sessanta della sprint. Questi ragazzi possono farsi le ossa e stanno lanciando dei buoni segnali. Ora hanno la possibilità di fare esperienza in Coppa del Mondo, dove abbiamo un livello che definirei lunare, se pensate che Samuelsson è arrivato ultimo nella mass start».
Il buon esordio di Fauner potrebbe essere uno stimolo per quegli atleti che oggi sono ancora in IBU Cup?
«A livello di stimoli è certamente importante per gli altri vedere questo passaggio di Fauner dall’IBU Cup alla Coppa del Mondo. Inoltre, Cedric Christille, Michele Molinari e Iacopo Leonesio hanno sparato bene chiudendo anche già nei trenta. Ovviamente bisogna ancora crescere, con la consapevolezza che facendo bene si ottengono determinate opportunità. L’esordio è il tassello da aggiungere nei mattoncini per costruire il castello per entrare nell’Olimpo. E il riferimento non è casuale (ride, ndr)».
Ricapitolando: come giudica quanto fatto dalla vostra squadra in queste prime settimane?
«In generale bene. La strada è ancora lunga e in salita, ma vedo segnali positivi. Dicembre è stato duro per tutti, ma dobbiamo avere pazienza e cogliere quanto c’è stato di positivo. È importante non dare nulla per scontato. Magari molti si aspettavano di vedere Giacomel nei venti, pensano sia quasi normale, invece è un grande risultato visto il livello del movimento maschile. Dobbiamo esserne felici. Oggi tra un ventesimo e un cinquantesimo posto basta veramente poco, ogni colpo che sbagli sono dieci posizioni. Addirittura l’altro giorno avevamo undici atleti in nove secondi, mezzo colpo. Quindi godiamoci quanto di buono arriva e restiamo pazienti».