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Olimpiadi

Elezioni FISI, Fondo Italia incontra i candidati – Stefano Maldifassi: “Il punto cardine del mio programma è il percorso dell’atleta, che la FISI ha perso di vista negli ultimi anni”

Sabato 15  ottobre, a Milano è in programma l’Assemblea Federale Ordinaria Elettiva per la presidenza della FISI e per rinnovare il Consiglio Federale.
Cinque sono i candidati alla presidenza: il presidente uscente Flavio Roda, Angelo Dalpez, Stefano Maldifassi, Alessandro Falez e Giacomo Bisconti.
Fondo Italia ha quindi deciso di intervistare i cinque candidati, proponendo loro nove domande identiche.

Oggi intervistiamo Stefano Maldifassi. Classe 1970, biomeccanico, che ha avuto una bellissima carriera da atleta, vincendo ben cinque titoli italiani nello skeleton, ed è anche allenatore di quarto livello. Maldifassi ha studiato e attuato alcuni progetti di partnership fra CONI e Ferrari, ma anche tra CONI, FISI e Politecnico di Milano. Inoltre, egli si è occupato della costituzione del Centro Ricerche della FISI e ha anche collaborato all’istituzione del nuovo MilanLab, fiore all’occhiello dell’A.C. Milan, la squadra campione d’Italia di calcio.

Buon pomeriggio Maldifassi. Cosa l’ha spinta a candidarsi alla presidenza della FISI?

«È stata una vera presa di coscienza. Insieme a un gruppo di saggi, come li definisco io, che comprendeva atleti, tecnici, imprenditori, gente del mondo della finanza, si parlava sul fatto che per riuscire a cambiare bisognava mettersi in gioco in prima persona. A quel punto, ci siamo resi conto che il mio passato (che è stato quello di attraversare la Federazione in tutte le sue funzioni) coincideva con il prototipo del presidente che avrebbe potuto portare al cambiamento».

Su cosa si incentra il suo programma e quali sono i suoi punti di forza?

«Il punto cardine è il percorso dell’atleta.
Uno: la crescita dell’atleta è il cuore di questo progetto. Pensiamo sempre alle soluzioni per l’alto livello, perché ovviamente vogliamo vincere oggi, ma noi non abbiamo il compito di vincere oggi, bensì quello di farlo sempre. Per avere successo con continuità bisogna cambiare i meccanismi, a partire dalla base;
Due: i rapporti con la scuola. Gli atleti di montagna non sono più quelli di una volta, oggi molti atleti vivono nelle città e incontrano una socialità completamente diversa. Il nostro tessuto sociale pretende che i ragazzi studino e noi come federazione dobbiamo fare altrettanto;
Tre: gli aspetti tecnici. Per arrivare all’alto livello non dobbiamo imitare quanto si sta facendo, ma capire, destrutturare. Se si considera come prototipo un atleta alto un metro e novanta, noi non possiamo insegnare quella tecnica a bambini che sono alti un metro e venti, perché non c’è un processo di imitazione che possa garantire che quello stile  su un atleta di uno e venti funzioni, magari li stiamo solo mettendo in difficoltà.  
Quattro: infine, ma non per importanza, uno dei cuori della nostra proposta è il supporto agli atleti, all’attività, ai club. Bisogna pensare ad un sistema di scala che ottimizzi l’organizzazione degli allenamenti».

Cosa pensa della FISI attuale?

«Penso che la Fisi attuale abbia perso di vista il percorso dell’atleta per concentrarsi solo sull’alto livello. Adesso, abbiamo i corpi sportivi militari, i comitati, gli sci club, gli osservati, quindi si sta creando una grande confusione in un campione che è sicuramente significativo, ma risicato, poverissimo di risorse. La FISI si è persa attorno a questo, si è persa quello che c’è prima e di conseguenza anche quello che c’è dopo. In questa maniera abbiamo creato negli anni tanti binari paralleli senza sfruttare quello che, secondo me, è stato sempre il grande fiore all’occhiello delle nostre squadre nazionali: competenze tecniche condivise e tecnici di alto livello che hanno sempre lavorato insieme.
Per quanto riguarda lo sci nordico, io ho vissuto momenti in cui tutti potevano dire la loro. Questa credo sia la vera forza che deve tornare, bisogna essere delle squadre vere. Ovviamente anche trovando, dove serve, l’individualità, perché se un atleta vuole il suo preparatore o fisioterapista, in quanto uno non basta, allora va bene, quel tipo di individualizzazione e di creazione di una squadra ad hoc, ma non tante piccole squadre».

Se dovesse vincere le elezioni, quale sarebbe il suo primo intervento?

«Il primo intervento lo faccio all’interno, perché il mio pensiero deve essere condiviso dal Consiglio Federale, quindi se sarà forte come credo, perché questi ventitré candidati sono una risorsa importante, posso stringermi a loro per capire subito quali deleghe dare, per intervenire nei problemi più grossi.
Da parte nostra, abbiamo dei grandi candidati, uno sicuro è Matteo Marsaglia che è già in consiglio, in quanto unico uomo candidato in quota atleti, e significa che abbiamo già una rappresentanza forte, una persona che capisce il problema.
Dal punto di vista tecnico, interverrei subito sulle discipline nordiche e su quelle più piccole che soffrono di più, tanto che alcuni direttori tecnici li ho già incontrati. Lo sci alpino è già partito, di fatto la stagione è molto avanti e potrà andare da solo.
Organizzerei un incontro e lo farei fare ai tecnici stessi. Per esempio, tra i candidati consiglieri vi è Mauro Baldo che è un uomo di riferimento, perché ha una storia anche nel fondo, suo papà è il Generale Baldo, ha vissuto la Forestale, conosce bene quel mondo. Egli sarebbe una persona in grado di creare dei tavoli di lavoro, una task force dedicata al mondo dello sci di fondo e del biathlon, che ha vissuto di grandi atleti ma la base fa fatica, e pensare quali sono le possibili soluzioni. Non posso avere tutte le soluzioni, ho bisogno di chiedere.
La prima cosa, quindi, sarà un incontro con il Consiglio Federale e portare “in casa” quanti più tecnici di valore possibili, anche solo per avere un momento di confronto e ricevere da loro dei feedback».

Qual è secondo lei lo stato di salute delle discipline nordiche e quali sono le sue proposte per far crescere questo settore?

«Innanzitutto, se vincessi le elezioni, mi metterei in contatto con grandi campioni del passato e sicuramente andrei a prenderli a casa per fare un tavolo di confronto e per capire quali sono i grandi problemi.
Uno dei più evidenti riguarda i tecnici, in quanto abbiamo una barriera di ingresso. Una volta era un privilegio essere maestri di sci, adesso è diventato una difficoltà per allenare nello sci di fondo, in quanto nessuno vuole più farlo perché il ritorno di quell’investimento non c’è. Se per diventare allenatore di primo livello devo spendere l’equivalente di novanta giorni di corso, decido di non farlo e allora finisce che alleno magari assumendomi dei rischi. Una delle idee per i tecnici è trovare tutela sia durante l’attività, che dando loro una sicurezza previdenziale.
Poi dobbiamo chiamare subito dei tecnici, fare quella task force dedicata allo sci nordico, di cui parlavo in precedenza, capire quali risorse abbiamo. Quest’ultima è una cosa che oggi si può fare poco, in quanto i bilanci sono belli e in regola, puliti, ma non sono analitici, nulla ci permette di sapere oggi quanto si possa destinare realmente a queste discipline per farle rifiorire.
Si parte dal tecnico e si cercano poi soluzioni sul territorio perché abbiamo delle grandi eccellenze territoriali, ad esempio Forni Avoltri, in Friuli Venezia Giulia, ma anche altri centri (per esempio in Piemonte) di altissimo livello che stanno nascendo nel nostro paese, che vanno potenziati ed assistiti.
Il mio approccio è partire subito dai migliori tecnici italiani e chiedere loro una mano per trovare una soluzione. Io da solo non lo posso fare, ma nessuno di noi può farlo, dobbiamo andare a riscoprire le competenze dei nostri tecnici ed atleti».

Quali sono le sue idee per far crescere ulteriormente la FISI dal punto di vista economico?

«È un argomento sul quale non mi sono molto scoperto fino ad oggi, perché non mi piace promettere. Io dico che Maurizio Dallocchio, che fa parte della mia squadra, che rappresenta il mondo della finanza milanese, non vede l’ora di partecipare a una federazione diversa. Quelli attuali non sono più gli sponsor di una volta, pronti ad investire su un prodotto di performance, ma vogliono entrare in maniera strutturale. La presenza di Deloitte nel mondo della neve è un esempio di come sta cambiando l’interesse economico verso gli sport invernali.
È necessaria una nuova visione del mondo economico e delle sponsorizzazioni. Facciamo l’esempio di Red Bull. Non è più solo uno sponsor, ma un’officina tecnica, sta costruendo biciclette, sci, crea spettacoli che nessuno aveva mai visto prima: è partita con l’automobilismo oltre un decennio fa e ha cambiato l’approccio allo sport di alto livello.  Per essere vincenti, dobbiamo essere quindi aperti a questo mondo economico. Se i progetti sono chiari, queste realtà ci sono e non vedono l’ora di entrare nel mondo degli sport invernali, perché il fascino della montagna è grande».
 

Come intendete promuovere i settori giovanili?

«Partendo dalla scuola. Dobbiamo mettere mano a tutti quei cluster che abbiamo creato, gli ski college, che non sono tutti uguali, perché rispettano le territorialità, e capire bene quali sono le relazioni che esistono tra la FISI e queste realtà. Dobbiamo portarli come modello al MIUR, per trovare delle soluzioni concrete che garantiscano la tutela del diritto alla scuola e allo sport. Questi progetti di didattica a distanza devono diventare il quotidiano per tutti i club, non solo per gli atleti di interesse nazionale. Dobbiamo poi pensare a delle borse di studio, in quanto uno sponsor che non vuole investire sulla performance ma su temi educazionali, ti cerca, ti riconosce. Non c’è bisogno di grandi investimenti per supportare qualche famiglia.
Poi bisogna pensare ai regolamenti e ai circuiti. Non possiamo pensare che ogni atleta debba spendere in materiali cinquemila o seimila euro l’anno. Decidiamo, un determinato numero di sci da utilizzare nel corso dell’anno, sono punzonati o vidimati dalla FISI, quelli devi usare, nel bene o nel male. Un modo per contenere i costi. Per esempio, nel mondo delle corse automobilistiche, i kart hanno le loro regole, magari alcuni di quei piloti arriveranno in Formula 1, ma non corrono già con dei prototipi da F1. Bisogna riuscire a trovare dei modelli che arginino questa espansione dell’innovazione tecnologica, che c’è ma deve riguardare l’alto livello, non le basse categorie.
Infine, dobbiamo pensare a nuovi circuiti, perché oggi sono sempre gli stessi e abbiamo ragazzi che rischiano di fare due o tre gare l’anno. Invece, bisogna riempirli questi calendari, anche se ovviamente ciò deve andare di pari passo con la crescita della base, perché se c’è poca gente anche i comitati organizzatori hanno dei costi importanti e così pure i club».


Sport Invernali, professionalità e formazione. A che punto siamo e quali sono le sue proposte in tal senso?

«Noi siamo fermi veramente a vent’anni fa. Abbiamo il mondo dell’istruzione, soprattutto delle università, che non vede l’ora di regalarci competenze. Noi ne abbiamo bisogno, perché i nostri tecnici, che probabilmente sono tra i migliori al mondo nella conoscenza della tecnica e del suo insegnamento, devono maturare, acquistare nuove competenze, perché sono tante. Ci sono varie tipologie di tecnico, diverse figure professionali che ci devono essere. Negli sport di montagna le professionalità sono tantissime, abbiamo i giudici di gara con responsabilità importanti. È tutto un mondo che fa sistema e che è omaggiato e riconosciuto soltanto dandogli una giacca a vento della federazione. Non può essere così, dobbiamo dare dignità a queste funzioni, perché su esse si regge tutto».

Quali iniziative ha intenzione di intraprendere affinché il percorso di avvicinamento a Milano-Cortina 2026 non sia fine a sé stesso ma lasci anche un’eredità, a differenza di quanto accaduto vent’anni fa con le Olimpiadi di Torino?

«Le Olimpiadi in casa sono ovviamente un grande investimento anche da parte del territorio Italia, con fondi che arrivano dal Coni. Allora bisogna decidere che ci sia una quota a parte, pensata appositamente per gli anni successivi alle Olimpiadi del 2026, perché laddove saranno rinnovate alcune strutture o impianti, bisogna poi pensare al futuro.  Dobbiamo evitare che si ripeta quanto successo
con la pista di bob di Cesana in occasione di Torino 2006.
Le Olimpiadi saranno un volano, l’investimento va fatto pensando ai giovani, che domani saranno in grado di trasferire nell’attività quell’entusiasmo che arriva dai Giochi. Bisogna, pertanto, essere pronti a portare i giovani in montagna e a farli seguire da tecnici adeguatamente preparati. Tale aspetto concerne soprattutto lo sci nordico, che attualmente conosce una carenza di allenatori. Bisogna pensare agli allenatori come ad una categoria di professionisti adeguatamente pagati e tutelati. Essere allenatore non può essere solo un “secondo lavoro”, lo sport non è solo terzo settore, è  anche professionismo e nel professionismo ci vogliono competenze specifiche adeguatamente remunerate».

LEGGI LE INTERVISTE AGLI ALTRI CANDIDATI
:: Alessandro Falez :: Angelo Dalpez :: Giacomo Bisconti

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