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Sci di fondo

Anna Comarella a Fondo Italia: “Non avevo mai fatto così tante ore di allenamento, ma ben vengano perchè sento di averne bisogno”

Il neonato gruppo Cramer della nazionale italiana di sci di fondo doveva essere formato da cinque uomini e quattro donne. Presto, però, dopo il ritiro di Lucia Scardoni e la stagione di pausa di Greta Laurent per la gravidanza, in gruppo sono rimaste le sole Anna Comarella e Caterina Ganz. Le due azzurre sono legate da una bella amicizia che si è cementata nel corso degli anni in nazionale e si trovano a condividere questa nuova esperienza con l’ex allenatore della squadra russa, che fino allo scorso anno guidava un’atleta del calibro di Yulia Stupak.

Allenamenti più duri che possono spaventare chi non è abituato a certi carichi, ma che vengono affrontati con determinazione da chi, come Anna Comarella, ha una voglia matta di cancellare la passata stagione, di dimostrare a sé stessa, e non solo, di valere molto di più rispetto a quanto si è visto nell’ultimo anno.
Nell’intervista rilasciata a Fondo Italia, l’azzurra è stata molto sincera, ammettendo di essere determinata e anche felice di misurarsi con gli allenamenti del tecnico tedesco, e non nascondendosi quando è tornata sulla passata stagione, soffermandosi su quella 30 km di Holmenkollen da incubo, batosta dalla quale ha avuto bisogno di tempo per riprendersi. Infine, la veneta delle Fiamme Oro ha parlato delle nuove distanze imposte dalla FIS, apparendo molto critica nei confronti di queste scelte.

Ciao Anna. Facciamo il punto della situazione dopo i primi due raduni. Come stanno andando le cose?

«Devo dire bene. Il primo raduno, a Dobbiaco, è stato classico e breve, le solite due settimane, utile per conoscerci e scoprire il metodo di lavoro di Markus (Cramer, ndr). Nel secondo raduno, tra Torsby e Oslo, abbiamo iniziato a fare sul serio. Nella prima settimana abbiamo fatto 28 ore, qualcosa di nuovo per me. Nei primi giorni ero stanchissima, infatti appena mi risposavo, nel pomeriggio, dormivo sempre (ride, ndr). Superati i primi giorni, il corpo ha iniziato ad abituarsi ed è andata meglio. Anche perché con Markus si fanno tante ore a decrescere. Nella prima settimana si fa tanto volume con molte ore di lento, nella seconda si eseguono meno ore e si mette dentro qualche lavoro di medio, infine l’ultima è quella con meno ore e qualche veloce».  

All’inizio eri un po’ preoccupata per questi nuovi carichi?
«Da una parte si, dopo i primi giorni ero un po’ spaventata, ma in realtà dovevo solo abituarmi perché non avevo mai fatto tante ore. Pensate che nel prossimo raduno, in Norvegia, faremo ancora più ore nel corso della prima settimana, ben trenta (ride, ndr). Ma è solo questione di abitudine, l’importante è allenarsi nel modo giusto. A me questa metodologia piace perché prevede anche tanta corsa, un allenamento che ho sempre apprezzato».

Immagino che, sotto un certo punto di vista, vedere i nomi degli atleti allenati da Cramer e i risultati da essi ottenuti sia uno stimolo ad affrontare un programma più duro del solito.
«Assolutamente. Cramer ha allenato dei grandi campioni e fin dall’inizio ero molto curiosa di scoprire il suo metodo di allenamento. Mi sono subito messa a sua disposizione, pronta ad affrontare questa nuova realtà. Anche perché io stessa volevo cambiare qualcosa, sentivo di aver bisogno di un nuovo approccio. Credo sia positivo avere l’opportunità di confrontarsi con idee nuove di persone che vengono da altre nazioni. Vediamo come andrà, sono molto curiosa».  

Inoltre vi state anche allenando in località dove non eravata mai stati, come Torsby. È importante dal punto di vista mentale allenarsi in luoghi nuovi?

«Sicuramente, è qualcosa che aiuta moltissimo dal punto di vista mentale. Siamo stati anche fortunati perché lì abbiamo trovato un clima molto gradevole, rispetto al grande caldo dell’Italia. Anche quello è un fatto da non sottovalutare. Ogni fondista, poi, ama essere a contatto con la natura, ed è quindi bello scoprire nuovi paesaggi. Inoltre realtà come Oslo o Torsby sono stimolanti, si vedono tante persone che fanno sport».

Hai già avuto modo di parlare con Cramer anche in privato?
«È accaduto nel primo raduno, quando in un paio di occasioni mi è capitato di essere in fondo al gruppo ed ero preoccupata, in quanto da atleta ho sempre lo spirito competitivo e volevo risalire in testa al gruppo. Markus però è stato molto chiaro, mi ha detto che quando facciamo un lento bisogna solo concentrarsi su sé stessi e ascoltare il proprio corpo, senza forzare per seguire le altre e correre rischi. Nel nostro programma abbiamo tanti lunghi lenti, se sbagliamo con i ritmi, rischiamo di non arrivare all’inverno. Questo discorso mi è stato molto utile».

Dopo una stagione per te complicata come l’ultima, come hai approcciato alla preparazione in vista della prossima?
«Devo ammettere che quella passata è stata la peggior stagione della mia vita, è stata durissima. Quando è arrivato il momento di ricominciare, ho deciso di partire con uno spirito positivo e lasciarmi alle spalle quello che è stato. Purtroppo possono capitare stagioni negative, ma da esse si impara e devo evitare di ripetere gli errori commessi. Ora sono molto motivata e ho tanta voglia di riscattarmi».

Federico Pellegrino, che ha già lavorato con Markus Cramer, vi sta dando consigli?
«Abbiamo spesso riunioni con Markus, perché ogni sera ci spiega l’allenamento del giorno successivo e ci dà indicazioni, per esempio su come fare prima il medio e poi il veloce per stare sempre nei limiti del lattato. Chicco interviene spesso, ci tiene a raccontarci la sua esperienza o darci qualche consiglio per aiutarci».

Tornando alla passata stagione: qual è stato il momento più difficile?
«Ho senza dubbio toccato il fondo in occasione della 30 km di Oslo. Ero tornata molto stanca dalle Olimpiadi, ma un po’ per tutta la stagione ho avuto tanti alti e bassi, forse anche a causa della mononucleosi. Dopo i Giochi Olimpici mi sono presa una pausa per riprendermi ed allenarmi bene, così ero determinata a tornare ad Oslo, una pista adatta alle mie caratteristiche, dove avevo già fatto bene. Purtroppo la realtà è stata ben diversa, quel giorno ho subito capito di non essere in condizione. È stata una sofferenza, perché quando sei in fondo al gruppo cerchi disperatamente di risalire, ma io quel giorno non avevo le energie per farlo.
Quella gara mi ha dato una mazzata enorme, è stato bruttissimo. Ho capito di aver sbagliato, perché noi atleti vogliamo dimostrare qualcosa ogni volta e competere sempre, ma in alcune occasioni dovremmo ascoltare il nostro corpo che ci chiede di fermarci. Quella di Oslo non è la vera Anna, spero che non ritorni mai più, è stata bruttissima».

Ora però sei riuscita a metterti tutto alle spalle e questa è la cosa più importante.
«Si. Devo sicuramente ringraziare Daniele (Serra, ndr) e la mia famiglia, insieme ai miei vecchi allenatori della nazionale e a quelli delle Fiamme Oro, che hanno cercato di aiutarmi in ogni modo. Sono grata a tutti loro, come alla famiglia Cagnati, i miei ex allenatori, con i quali ho parlato tanto nel corso dell’ultimo inverno. Ma alla fine, sono riuscita a mettermi tutto alle spalle con tanta volontà, perché questa situazione dovevo affrontarla direttamente io e l’ho fatto».

Quindi cosa hai imparato dall’ultimo anno?
«I momenti difficili possono capitare, fanno parte della vita e della carriera di un atleta. L’importante è non lasciarsi sopraffare da essi, ma circondarsi delle persone giuste che ascoltano e aiutano, ascoltando anche le critiche costruttive, perché tutto ciò che serve per crescere e migliorare va bene».

Ti sei già posta il prossimo obiettivo?

«Quello principale è legato alla fine del quadriennio, le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Per quanto riguarda la prossima stagione, voglio viverla serenamente, senza particolari ansie, perché probabilmente la forte tensione per i Giochi di Pechino ha contribuito all’esito negativo di quella passata. La testa è solo sull’allenamento, voglio fare tutto al meglio delle mie possibilità e vedere come va, passo dopo passo, gara dopo gara, con l’obiettivo 2026».

Un’ultima domanda. Si sta discutendo tanto della decisione della FIS di equiparare le distanze di uomini e donne. Qual è il tuo pensiero in merito?
«Non sono favorevole. Non tanto per l’aumento dei chilometraggi delle gare femminili, in quanto secondo me con il giusto allenamento si può gareggiare su qualsiasi distanza. Il problema è semmai un altro. Se volevano far diventare lo sci di fondo più attraente, in questa maniera, a mio parere, rischiano di ottenere l’opposto, soprattutto per il settore femminile. I maschi si trovano con distanze minori, 50 a parte, quindi credo che le gare saranno più avvincenti e i distacchi minori. Nel loro caso penso sia stata fatta la scelta giusta, pure se non so cosa ne pensino i protagonisti. Per noi invece è diverso, soprattutto nella 50, perché se già nella 30 in alcuni casi c’erano distacchi pesanti, con venti chilometri in più possono solo aumentare. Ovviamente sono solo mie supposizioni.
Inoltre non capisco perché la FIS ci abbia chiesto un parere, attraverso un sondaggio, nel quale la maggior parte di noi si era detta contraria alla modifica delle distanze, senza poi prendere in considerazione il nostro parere.
Infine, proprio non comprendo per quale motivo ci facciano correre tutta la stagione su delle distanze che poi non troveremo nell’evento clou dell’anno, il Mondiale di Planica. Ma alla fine hanno deciso così, vediamo come andrà la stagione».

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