Per le persone più intuitive, la sua assenza dal gruppo della nazionale italiana di biathlon per la stagione 2022/23 era più di un’indicazione, forse un indizio di quanto poi è stato confermato domenica pomeriggio con un messaggio sui social: Thomas Bormolini ha deciso di lasciare l’attività agonistica. Reduce dalla migliore stagione della sua carriera, il livignasco del Centro Sportivo Esercito ha deciso di ritirarsi a trentuno anni.
Contattato dalla redazione di Fondo Italia, Bormolini, appena rientrato da una bella vacanza all’estero, molto utile anche a chiarire gli ultimi dubbi su una decisione ovviamente così importante, ha raccontato le motivazioni della sua scelta.
Buon pomeriggio Thomas. Domenica hai annunciato il tuo ritiro dall’attività agonistica, puoi spiegarci cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?
«È tutto scritto nel post che è pubblicato. La motivazione principale è che il tempo passa, vola, gli anni mi sono scivolati addosso senza che me ne rendessi conto. Il quadriennio da Pyeonghang a Pechino è praticamente volato. Da questo deriva il 99% della mia idea di smettere, perché chi mi conosce sa che mi piacciono tante altre cose al di fuori del biathlon, cose che non puoi fare se vuoi prepararti al meglio e affrontare l’attività con la massima serietà come ho sempre fatto. Per tanti anni tutto il resto l’ho messo da parte, rimandandolo a un altro momento, che è ora arrivato. Non mi piaceva l’idea di continuare a rimandare e trovarmi a un certo punto a pensare di aver fatto solo il biathlon».
In molti hanno speculato sul fatto che la tua decisione sia stata condizionata anche dal recente ritiro della tua compagna, Eva Puskarcicova.
«La motivazione principale è quella che vi ho appena esposto. In qualche modo ci rientra anche Eva, nel senso che ho trentuno anni, una compagna con cui le cose vanno benissimo ed è giusto anche prenderci qualche tempo per noi, fare cose che in futuro non potremmo fare se mettessimo su famiglia. A questa età mi rendo conto che il tempo sta passando e devo andare avanti».
Insomma, dopo tanti anni di rinunce e sacrifici, vuoi aprirti ad altro.
«Direi più rinunce che sacrifici. È il discorso della bolla, di cui parlavo nel post. Quando pratichi sport ad alto livello in una nazionale italiana, ti trovi all’interno di una bolla che non è affatto male: sei in nazionale e pagato ogni mese, quando ti sposti viene a prenderti un pulmino quasi sotto casa, giri il mondo, vai in hotel che paga la federazione. Una volta uscito da questa bolla, però, ti lanci verso la vera realtà delle corse, perché questa bolla bellissima, sotto certi aspetti, porta anche mancanze e rinunce, ma soprattutto a volte distoglie dalla realtà. Ho vissuto in questa bolla dai venti ai trent’anni, è ora di aprirsi ad altro».
Il tuo addio ha sorpreso un po’ tutti anche perché è arrivato al termine della migliore stagione della tua carriera.
«Infatti, la scelta di lasciare adesso non è banale: siamo alla conclusione di un quadriennio olimpico, alla vigilia di uno nuovo, ho trentuno anni e ho appena concluso la mia miglior stagione di sempre. So che la gente è rimasta spiazzata e si sta chiedendo come mai abbia deciso di ritirarmi nel momento migliore, perché non fare un’altra stagione. Quanti, però, hanno il lusso di fermarsi dopo aver disputato la loro miglior stagione in carriera? Quanto ho fatto vale tanto per me, ho chiuso ventiquattresimo in generale e mi sono qualificato per tutte le mass start. Sono contento di non aver finito morendo praticamente al termine di ogni gara, ma con la consapevolezza di essere lì tra i migliori».
Ci stai dicendo, che nel corso della stagione e di questo processo decisionale, i risultati positivi non hanno mai messo in dubbio l’idea di lasciare?
«No, probabilmente l’unica opzione possibile sarebbe stata una medaglia olimpica. Se l’avessi ottenuta, sarei tornato indietro sulle mie scelte e avrei riflettuto ancor di più. Non è arrivata. Ho vissuto serenamente questo periodo in cui ho pensato al mio possibile ritiro, ci ho ragionato tanto e fino all’ultimo. Anche dopo le Olimpiadi non era ancora sicuro che smettessi. La scelta definitiva è arrivata con calma nel corso delle vacanze».
Dentro di te, è stata una scelta difficile da fare?
«No, non è stata difficile. Se inizi a pensarci per un po’, cominci anche a prepararti mentalmente a questa possibilità, sai che il ritiro potrebbe arrivare a fine stagione. In occasione delle ultime tappe pensavo che avrebbe potuto essere l’ultima volta in quella precisa località come no. La decisione è poi arrivata nel corso delle vacanze».
Alla vigilia di Oslo, è arrivato l’annuncio di ritiro da parte di Dominik Windisch, tuo compagno di squadra per tanti anni. Ciò ti ha condizionato nella scelta?
«No, questa decisione è arrivata soltanto da me stesso, è una mia cosa personale sulla quale ho ragionato da solo. Si, ho sentito anche diversi amici, ne ho parlato con loro, ma alla fine è stata una decisione tutta mia, ovviamente dopo essermi consultato anche con parenti ed Eva».
Se pensi alla tua carriera nel biathlon, qual è la cosa più bella che ti viene in mente?
«Penso alle amicizie che si sono create sul campo, alle tante volte in cui ho scambiato pensieri e discorsi con colleghi di altre nazionalità nel corso di un defaticamento. Per me la cosa più bella è il pensiero di aver lasciato qualcosa a qualcuno, perché il nostro è uno sport individuale, ma allo stesso tempo è bello condividere, parlare in amicizia, darsi consigli, ma anche lasciare a qualcuno il ricordo solo di un pensiero, una frase, un sorriso. Sono cose che vanno oltre il discorso sportivo, parlo di rapporti umani, che sono la cosa più bella. Quando ho accennato ad alcuni atleti statunitensi, che stavo pensando al ritiro, li ho visti sinceramente dispiaciuti, ho notato l’affetto che provano nei miei confronti. Ciò significa che gli ho lasciato qualcosa, così come hanno fatto loro con me. Ecco, credo che proprio il rapporto con i colleghi, questi momenti da condividere, saranno ciò che più mi mancherà, perché ho sempre amato l’idea di confrontarmi con gli altri, parlare di cose importanti, conoscere culture nuove».
C’è comunque l’intenzione, da parte tua, di restare nel biathlon come ambasciatore per la gender equality?
«A me piaceva e piace ancora l’idea di far parte dell’IBU come ambasciatore per l’uguaglianza di genere. Quindi, mi piacerebbe coprire questo ruolo anche ora che non sono più atleta, portando avanti un progetto che mi sta molto a cuore e ritengo molto interessante e importante. Vorrei ancora dare il mio contributo».
Qual è il primo momento della tua carriera sportiva che ti viene in mente? La soddisfazione più grande?
«La prima immagine credo sia il primo podio che ottenemmo in staffetta a Oberhof, in quanto avevo due sogni da giovanissimo: partecipare alla Coppa del Mondo e alle Olimpiadi. Quel giorno, in Germania, sono salito addirittura sul podio, qualcosa che era andato anche oltre i miei sogni, una giornata pazzesca, se penso che il mio obiettivo era gareggiare almeno una volta in Coppa del Mondo».
Quando ti sei affacciato alla Coppa del Mondo, avresti poi immaginato così la tua carriera?
«Dopo le prime gare, ho avuto stagioni difficili e complicate a livello fisico, vedevo che ripetevo sempre le stesse prestazioni, magari con qualche picco e buon risultato, ma alla fine ero sempre sulla stessa linea. A un certo punto ho iniziato a credere che fosse quello il mio livello. Consapevole, fin dall’inizio, che non avrei chiuso la carriera a quarant’anni, vedevo che gli anni andavano avanti sempre alla stessa maniera, senza arrivare a quello che inizialmente immaginavo fosse il mio reale livello. Poi, nelle ultime due stagioni, le cose sono cambiate, ho iniziato a esprimermi su quei livelli che sapevo essere nelle mie corde, ma non avevo mai raggiunto. Da sempre ero convinto che il mio limite fosse ben sopra rispetto a quanto avevo fatto. Negli ultimi due anni, in particolare l’ultimo, ho quindi raggiunto finalmente quello che ho sempre saputo essere il mio livello, l’ho toccato con le mie mani, e ciò mi ha fatto sentire bene perché sono arrivato dove credevo».
Al termine della tua carriera, c’è qualcuno in particolare che vuoi ringraziare?
«È doveroso, per me, ringraziare la mia famiglia che mi ha permesso di fare tutto ciò che ho fatto fino a oggi. Ringrazio, poi, il Centro Sportivo Esercito, perché mi ha sempre sostenuto, anche in silenzio e nell’ombra c’è sempre stato, pure quando non sono riuscito a metterlo in evidenza con i risultati. Senza di loro, quell’arruolamento arrivato nel 2010, non sarei nemmeno qui a parlare con voi. Infine dico grazie a Livigno, che è sempre stata al mio fianco, dal 2014 in poi mi ha sempre accompagnato in ogni stagione credendo in me».
Sai già cosa farai in futuro?
«In realtà devo ancora pianificarlo. A differenza di molti atleti, che prima ancora di chiudere la carriera già sanno cosa faranno, io non ho progetti già decisi. Chiudo la mia carriera, senza avere nulla in mano, non sono nemmeno maestro di sci. Quindi cercherò di capire cosa voglio fare e mi metterò in gioco. Sono pronto per nuove sfide e nuovi traguardi».
Un’ultima domanda. Oggi la nazionale azzurra è composta da tanti giovani, molti dei quali si stanno affacciando ora all’alto livello; hai qualche consiglio per loro?
«Il mio consiglio più grande e sincero è di essere chiari sui propri obiettivi. Facciamo biathlon, uno sport che consiste molto spesso in gare corte da 25 minuti. È fondamentale che capiscano e si mettano in testa che tutto il lavoro fatto per mesi tra estate e autunno punta al rendere al meglio in quei pochi minuti. Quindi è fondamentale essere concreti, non perdersi in cose inutili. Il biathlon è fare il massimo sugli sci e coprire i bersagli al tiro, tutto il resto è un inutile contorno e non serve a nulla. Quindi siate essenziali e concreti, perché la gara finisce presto e una sprint determina la competizione successiva, senza lasciarvi andare in pensieri come record ed altre sciocchezze inutili. Date importanza alla sostanza».
Biathlon – Thomas Bormolini: “Ai giovani consiglio di essere concreti e dare importanza alla sostanza”
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