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Biathlon , Interviste

Biathlon – Patrick Oberegger a Fondo Italia: “A nessuno auguro ciò che ha vissuto Tandrevold a Pechino”

Sabato abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervista fatta a Patrick Oberegger, allenatore della nazionale femminile norvegese di biathlon. L’allenatore italiano ha parlato nell’occasione della sua decisione di restare alla guida della Norvegia e dell’incontro che avrà domani con Røiseland.
Ora vi pubblichiamo la seconda metà dell’intervista, nella quale Oberegger ha tracciato un bilancio della passata stagione, analizzato l’annata di Eckhoff, ci ha descritto le emozioni vissute in occasione della pursuit olimpica, con il drammatico finale di Tandrevold e tanto altro.
Anche quest’anno, pur avendo sofferto all’inizio, sono arrivate medaglie, la classifica generale di Coppa del Mondo e quella per nazioni. È soddisfatto?
«Senza dubbio, proprio come squadra, abbiamo fatto fatica all’inizio e in questo mese abbiamo tutti avuto modo di analizzare la stagione e tirare un po’ le somme. Sicuramente fino a Natale, i risultati sono stati inferiori alle aspettative e ciò ha complicato le cose, in quanto nel biathlon, se inizi zoppicando, diventa poi difficile dare una svolta alla situazione. Così in vista delle Olimpiadi abbiamo dovuto fare delle scelte, tanto che quasi tutti hanno saltato qualche tappa. Alla fine, vedendo come sono andate poi le cose a Pechino, abbiamo fatto la scelta giusta, sia con i maschi che con le donne, sacrificando qualcosa nel corso della stagione, ma ottenendo tantissimo alle Olimpiadi. Quando contava, infatti, i risultati sono arrivati, i Giochi di Pechino sono andati oltre le nostre aspettative. Poi, abbiamo comunque vinto la coppa per nazioni, che per noi rappresenta sempre un obiettivo fondamentale. Il fatto di aver dovuto lottare fino all’ultima gara ci ha anche permesso di tenere tutta la gente motivata, non soltanto Marte (Røiseland, ndr), che doveva vincere la Coppa del Mondo».  

Quanto è stato importante per Eckhoff vincere due gare nella tappa di Oslo, concludendo bene una stagione che per lei era stata complicata.
«Sicuramente quando vinci due gare nell’ultima tappa, esci dalla stagione in un’altra maniera. Fino alle Olimpiadi, Tiril non ha avuto una stagione costante, è stata costretta a fare dei cambiamenti, degli aggiustamenti, per ritrovarsi. Anche la salute non la stava aiutando e a Natale tutto stava andando nella direzione sbagliata. In questi casi vanno prese decisioni anche drastiche e così abbiamo fatto, fermandola un attimo, cercando di farla arrivare nelle condizioni migliori possibili alle Olimpiadi. Alla fine, da quel momento in poi il treno di Tiril ha ripreso nuovamente a viaggiare, ha vinto tre medaglie olimpiche, due gare a Kontiolahti, pursuit e staffetta, la staffetta mista di Otepää, e a Holmenkollen abbiamo rivisto la Tiril che conosciamo. Purtroppo, quando nel biathlon perdi ritmo e routine di gara, si fa difficile e si riparte da zero. La cosa più importante è che abbia dimostrato a sé stessa cosa è in grado di fare, uscendo fuori da una situazione complicata. Alla fine, quando non riesci a tirare giù i bersagli e la salute non aiuta, il biathlon diventa proprio tosto. A quel punto bisogna solo saper accettare la situazione e non farsi prendere dal panico, cosa che è stata brava a fare. Quindi Tiril non deve essere delusa della sua stagione, le è mancata regolarità agonistica. Abbiamo preso tanti appunti e cercheremo di fare le cose diversamente per il prossimo anno, sperando che la salute sia dalla nostra».

Alle Olimpiadi di Pechino ha vissuto una giornata particolare, quando in occasione della pursuit olimpica vinta da Røiseland con Eckhoff terza, vi fu il malore di Tandrevold, bloccata quando stava per cogliere la medaglia. Ci può descrivere cosa ha provato?
«È stata una giornata davvero difficile per me. Da allenatore mi sono trovato con il piede in due staffe, da una parte ovviamente dovevo essere contento per il risultato ottenuto, ma dall’altra ero preoccupato, mi chiedevo se avesse avuto un problema serio, nonostante sapessimo che in passato aveva già avuto quella problematica in alcune occasioni, ma non puoi mai saperlo. A nessuna persona auguro ciò che ha vissuto Ingrid (Tandrevold, ndr) in quel momento. Lei era a un passo dalla realizzazione di un sogno, la medaglia si stava materializzando proprio davanti a sé, ce l’aveva praticamente attorno al collo e se l’è poi vista sfuggire in questa maniera. Ciò mi ha fatto pensare a quanto possa essere crudele lo sport. La medaglia è comunque rimasta a noi, perché Tiril è stata brava a prendersi il terzo posto. Ecco, nemmeno nella più incredibile delle sceneggiature, la medaglia sarebbe poi andata a finire proprio all’amica di Ingrid. Ci tengo a dire che Eckhoff non si era accorta in pista delle difficoltà della compagna, lei pensava avesse preso la classica cotta, una cosa che in quota, come abbiamo visto anche in Cina, può sempre accadere. Sono state le scene all’arrivo che hanno preoccupato lei e tutti noi. Vedere quelle immagini, da allenatore ti fanno pensare. Paradossalmente, quella meno preoccupata era proprio Ingrid stessa, che ci ha subito detto di sapere cosa fosse accaduto, non era affatto preoccupata per la salute perché sapeva cosa le era successo, essendole già capitato in passato. Noi si, lo eravamo. È stata una situazione che ho vissuto proprio male, anche perché da allenatore dovresti celebrare chi ha vinto. Quel giorno Marte fu fantastica, vincendo l’oro con un margine di vantaggio clamoroso, così come Tiril fu bravissima a prendersi la medaglia con un fantastico ultimo giro. Mi dispiaceva avere la sensazione che dopo tanto lavoro fatto da queste ragazze, non potessi celebrarle a dovere. Purtroppo, però, in questi casi togli qualcosa alla persona che ha fatto una prestazione eccezionale, non puoi darle l’attenzione che meriterebbe, perché dedichi giustamente maggiore attenzione a chi ha avuto una difficoltà e cerchi anche di verificare, nel caso di Ingrid, le sue condizioni fisiche e anche mentali. È stato proprio difficile trovare l’equilibrio giusto ed è stato un momento crudele, ovviamente per Ingrid, ma anche per noi allenatori e credo le stesse Marte e Tiril, alle quali non abbiamo potuto dare le attenzioni che avrebbero meritato».

In questo cambio generazionale che potrebbe verificarsi nei prossimi anni, se dovessero lasciare Eckhoff e Røiseland, pensa che proprio Tandrevold possa diventare la leader del gruppo?
«Io dico sempre che, se un atleta è leader lo puoi vedere davvero solo quando si trova veramente nella condizione di essere l’atleta in prima fila, quando gli altri hanno smesso. I giovani puoi valutarli davvero solo quando non sono più nell’ombra degli atleti più esperti. In ogni caso, io credo che la figura del leader sia sopravvalutata, per me il vero leader è il gruppo, perché è quello che fa davvero la differenza. Non voglio che il peso di un grande zaino di responsabilità ricada su una sola persona, ma su tutto il gruppo, una cosa che accade quando hai una squadra competitiva e unita. Solo in quel caso, lo zaino di responsabilità pesa meno».

Allora le porgo la stessa domanda in maniera diversa: vede una Tandrevold più matura?
«Sicuramente si, è maturata, ma è dovuto alle tante esperienze che ha già fatto. Nonostante sia ancora molto giovane, Ingrid ne ha già vissute, è da diverse stagioni in Coppa del Mondo e quando sta bene riesce a lottare per le posizioni di testa. Credo poi che anche le esperienze negative, anzi, soprattutto quelle, come quanto accaduto alle ultime Olimpiadi, ti facciano crescere come persona e atleta più di vittorie e risultati positivi. Comunque ti do ragione, è maturata sia come atleta che come persona, anche se ogni tanto credo sia giusto che si lasci andare a quel suo lato un po’ giocoso che la rappresenta».

Può descriverci il resto del gruppo della prossima stagione?
«Rispetto alla scorsa stagione, Femsteinevik è entrata in squadra al posto di Kalkenberg, una promozione che ha meritato se giudichiamo i suoi risultati in IBU Cup. Ecco, credo il suo ingresso in squadra sia interessante, perché spesso quando in un gruppo cambia pure una sola pedina, qualche dinamica all’interno della squadra si modifica, su molti aspetti si riparte da zero, crei quasi un nuovo gruppo nel quale devi trovare equilibri. Tornando alle atlete, Ida Lien la conoscete bene. Purtroppo nell’ultima stagione non è riuscita a dimostrare il suo vero valore nelle gare in cui ha gareggiato da sola, ma è stata per noi importantissima in staffetta. Karoline (Knotten, ndr) si è invece confermata una sicurezza al poligono».

Quando nel 2018 firmò per la Norvegia, si sarebbe mai aspettato di vivere un quadriennio così ricco di vittorie?
«Personalmente non mi creo mai aspettative basate sui risultati, perché sono molto concentrato sul lavoro da fare per permettere alle atlete di migliorarsi. Per esempio, non so nemmeno quanti podi abbiamo ottenuto quest’anno. Personalmente ritengo lo sviluppo personale di ogni singola atleta più importante rispetto ai podi, perché non tutte possono arrivare a vincere delle gare, ma noi allenatori dobbiamo portarle al punto da esprimersi al meglio delle proprie possibilità. Quello deve essere il nostro obiettivo. Per questo motivo, sono sempre molto felice quando vinciamo la coppa per nazioni, in quanto quello è il nostro biglietto da visita, significa che tutta la squadra va bene e ciò dà sempre una carica in più a tutto il gruppo. In ogni caso, non nascondo che sono felice di quanto abbiamo fatto».

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