Osserva i suoi giovani fondisti da bordocampo, mentre è in corso una partitella di calcio tra gli azzurri della nazionale di sci di fondo, Squadra A e Milano Cortina, insieme anche ai tecnici. Lui quasi scalpita nel volersi unire a loro e dare due calci all’immancabile pallone. Ma con grande disponibilità, come sempre, Stefano Saracco parla con noi e ci descrive questa sua nuova avventura alla guida del gruppo Milano-Cortina 2026. Qualcosa di nuovo per lui, quasi un ritorno al passato, dopo stagioni alla guida di atleti in grado di vincere competizioni di Coppa del Mondo e medaglie. Da Federico Pellegrino a Francesco De Fabiani, ovviamente passando per quella Anamarija Lampic che tutt’ora allena, il tecnico valdostano ha esperienza da vendere e sa come ottenere il massimo dai suoi atleti. I nove azzurri del gruppo Milano-Cortina 2026, che vanno dal 1997 al 2000, lo seguono con attenzione, sanno di avere di fronte un allenatore vincente, in grado di far fare loro il salto di qualità.
Saracco, però, non vuole che questa diventi un’arma a doppio taglio ed i giovani si pongano delle aspettative esagerate. Da Pellegrino chiede che riprendano soprattutto una cosa. «A questi ragazzi chiedo di imparare prima di tutto a conoscere il proprio corpo – afferma con un tono di voce quasi paterno – non devono soltanto leggere il programma di allenamento e seguirlo alla lettera, ma sentire il proprio corpo. Ma soprattutto devono capire a cosa serve un determinato lavoro, quali sono gli obiettivi e rendersi poi conto di quali benefici ha portato, dandomi anche un feedback che è fondamentale. A volte è capitato di allenarsi con loro in passato, quando guidavo la Squadra A, ed in alcuni lavori cercavano anche di farsi vedere, stare davanti allo stesso Pellegrino, erano troppo generosi. Se oggi sto lavorando sulla potenza aerobica che è a cavallo della soglia, devo stare lì, non posso distruggermi perché voglio spingere di più, ma stare in quella zona lì. Se Chicco ha un medio, fa quello, non esagera. In questa fase devo costruirmi la casa, capire che bisogna dare il massimo quando viene richiesto, perché non è l’esagerazione che fa la prestazione, ma tante piccole cose che devono essere eseguite bene e con semplicità. Poi ripeto, è fondamentale che inizino a conoscersi, capiscano come il loro corpo reagisce ad un determinato lavoro».
Intanto due azzurri si avvicinano per chiedere qualche consiglio, lui risponde e mette in pratica ciò che ci sta dicendo, in quanto vuole capiscano da soli che il programma non deve necessariamente essere preso alla lettera, ma ognuno deve imparare a sentire di cosa ha bisogno. Appena i due si allontanano, lui riprende a parlare. «I campioni come Pellegrino, Klæbo e gli altri capiscono quando devono riposare ed allo stesso tempo sentono quando devono dare un po’ di più. Se un determinato giorno capiscono che hanno bisogno di fare quelle due prove in più, le fanno. Non stanno lì a guardare il programma e fanno sei prove da due perché così è scritto. Ciò significherebbe non dare il massimo quando devono perché ne hanno. Ed è anche vero il contrario: se un giorno non stanno bene, non ha senso dare di più rispetto a ciò che sentono. È una cosa che si impara col tempo e voglio aiutare i giovani in questo».
Dal campo iniziano a chiamarlo perché la partita è iniziata, Saracco ride e gli urla di iniziare senza di lui che presto li raggiungerà. A questo punto gli chiediamo cosa prova nel vivere un’avventura nuova, nel passare da atleti che partono per le medaglie a giovani con obiettivi diversi. L’allenatore valdostano non ha dubbi, gli stimoli sono altrettanto alti. «Da una parte è un ritorno al passato – afferma – al periodo in cui allenavo un giovane Federico Pellegrino. In quel gruppo c’era anche uno sprinter già esperto come Fulvio Scola, che oggi allena con me. Evidentemente sto invecchiando (ride, ndr). Per me è uno stimolo nuovo, una nuova sfida e come sempre ci metterò l’anima per fare le cose al meglio e tirare fuori il massimo da questi ragazzi. A me sembra che siamo partiti bene, anche perché ci alleneremo tutta l’estate con la Squadra A, quindi questi giovani avranno a disposizione il meglio. Anche nel nostro staff ci sono tante eccellenze, dal preparatore Perri alla nuova fisioterapista, Ottavia Maffei, ex Juventus femminile. Il presidente Roda mi ha dato una grande responsabilità, allenare gli atleti sui quali il fondo italiano punta in vista delle Olimpiadi casalinghe del 2026. Ne sono onorato. Inoltre mi piace anche come si sta muovendo la direzione agonistica, come vuole lavorare a livello giovanile e formare gli allenatori».
Ma qual è l’obiettivo a breve termine del gruppo Milano-Cortina 2026? Qualcuno potrà puntare già sui Giochi di Pechino? Saracco ovviamente non vuole tarpare le ali a nessuno ed è convinto che all’interno della squadra ci siano atleti con buone potenzialità, ma è convinto che tutti debbano prima di tutto pensare a migliorare il proprio livello e solo successivamente pensare al risultato. «L’obiettivo è fargli fare quel passo in più, migliorare. Roda ci ha chiesto di lavorare con questo gruppo e tirare fuori dei buoni atleti in ottica 2026. Non bisogna pensare solo all’immediato, porsi l’obiettivo della qualificazione olimpica per Pechino. Se vogliamo crescere, non dobbiamo pretendere tutto e subito. Prima bisogna migliorare le proprie prestazioni personali, quindi si può puntare al podio in OPA Cup, allora si può andare in Coppa del Mondo per essere a cavallo dei trenta. Deve essere tutto graduale. Io voglio che si impegnino e lavorino sugli aspetti da migliorare, far crescere loro nella prestazione. Ovviamente non tarpo le ali a nessuno, non dico a questi ragazzi che sicuramente non andranno a Pechino, perché non è detto che allenandosi nel modo giusto non possano poi farlo. A volte in questo sport puoi tirare giù un minuto da un anno all’altro, ma non deve essere l’obiettivo obbligato. Non voglio che si mettano pressione pensando a Pechino, perdendo l’attenzione dall’obiettivo più importante: migliorare la prestazione. A loro chiedo di tirare fuori la grinta, affrontare le gare con maggiore cattiveria, che non si accontentino. In questo gruppo ci sono dei ragazzi che hanno tutto per diventare competitivi, a volte hanno dei mezzi fisici ottimi ed io devo riuscire a toccare le corde giuste, aiutarli a tirare fuori il loro meglio. Tanto del lavoro sarà sull’aspetto mentale».
In chiusura è inevitabile per noi chiedere a Saracco come ha reagito alla decisione di Federico Pellegrino e Francesco De Fabiani di unirsi al gruppo Cramer della nazionale russa. L’allenatore valdostano sorride mentre gli arriva il pallone tra i piedi e lo calcia in campo, ci guarda e risponde con grande sincerità. Si nota quanto sia ancora legato ai due valdostani: «Vedi, dagli atleti voglio prima di tutto una cosa, che cerchino il meglio per se stessi. Quando, come in questo caso, due atleti che hanno ottenuto grandi risultati nella loro carriera sono convinti nel prendere una decisione in grado di farli migliorare, posso soltanto essere d’accordo con loro ed appoggiarli, proprio come ha fatto la FISI. Per Chicco, quella di Pechino potrebbe essere l’ultima olimpiade con delle concrete possibilità di vincere una medaglia, deve farla al massimo e lui ha ritenuto che questo fosse il suo percorso: allenarsi con un team forte ed atleti in grado di fargli tirare fuori il massimo in ogni allenamento. Se un’atleta del genere fa una scelta per migliorare ancora e vincere, posso soltanto accettarla, perché è lui che fa il 90% del lavoro e deve fare ciò che è meglio per sé, se la Federazione è d’accordo. Quindi sono dalla loro parte, li sento, ho anche un ottimo rapporto con Cramer. Magari ci daranno notizie di cose diverse, ma non credo, il lavoro alla fine non cambierà tanto. Ciò che è importante nel loro caso è l’altissimo livello del gruppo. Per me questa scelta ha tutto per portare risultati positivi, me lo auguro di cuore. E poi è bello vedere un team così internazionale, un bel modo di sfidare gli scandinavi che dominano da anni».
Lo salutiamo, ci ringrazia, fa un saltello e corre subito in mezzo al campo, dove impettito prende possesso della squadra dando le indicazioni da capitano, tra una risata e l’altra.