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Sci di fondo

Sci di Fondo – Come vengono prese le decisioni all’interno della FIS? Ne parliamo con Gabriella Paruzzi

Si sta discutendo tanto nell’ultimo periodo dello stato di salute dello sci di fondo, dei format discutibili, un calendario infinito e come se non bastasse anche l’assenza della Norvegia dalle tappe di Davos, Dresda e dal Tour de Ski.

Per comprendere meglio come vengano prese certe decisioni dalla FIS ci siamo rivolti a Gabriella Paruzzi, che oltre ad essere Comandante del Centro Sportivo Carabinieri "Sezione Prove Nordiche – Distaccamento di Auronzo di Cadore", è anche rappresentante dell’Italia presso la Commissione Coppa del Mondo di sci di fondo della FIS, della Commissione Youth & Children e presidente del sotto comitato donne dello sci di fondo.

Buonasera. La disturbiamo perché ci piacerebbe conoscere meglio come si arriva a prendere determinate decisioni in FIS. Come nasce ad esempio un cambiamento come quello dell’assegnazione di punti individuali attraverso le staffette?

«Nel corso della Commissione della Coppa del Mondo di sci di fondo, ogni membro ufficiale, in rappresentanza della propria nazionale, ha la possibilità di fare delle proposte, che vengono valutate dalla FIS e quindi successivamente presentate in sede di  commissione. A quel punto si discute e si vota. Se la maggioranza condivide la proposta, anche se sei contrario devi purtroppo accettarla, come è accaduto in occasione del voto sull’assegnazione di punti per le staffette».

Ecco, si è discusso tanto su questo cambio regolamentare. Come si è arrivati alla decisione di assegnare punti individuali per le staffette, cosa che francamente troviamo assurda?
«La proposta è arrivata dalla Germania. Io mi sono subito detta contraria e ho anche discusso molto in commissione perché la trovo una regola alquanto ingiusta, troppo penalizzante nei confronti degli atleti che non hanno alle loro spalle una squadra competitiva, ma avrebbero le capacità per lottare per la vittoria della Coppa del Mondo. Ho portato l’esempio di un’atleta come Kowalczyk, che era in grado di competere per vincere la Coppa del Mondo ma non aveva certo una squadra in grado di aiutarla a conquistare punti in staffetta. Per atlete o atleti come lei, questa regola è troppo penalizzante. La Coppa del Mondo è un premio individuale, devi sudartela fino alla fine, non puoi perderla perché non fai parte di un team competitivo. La proposta è nata dal fatto che troppi atleti di prestigio disertano le gare di staffetta per prendersi un po di “respiro” in stagioni in cui le gare sono davvero troppe. Ma allora, se si volevano valorizzare le staffette, avrebbe avuto più senso togliere delle gare individuali, sostituendole con staffette. Ai nostri tempi il numero delle staffette era sicuramente più elevato ed era un prestigio gareggiare per la propria nazione,mai nessuno disertava l’appuntamento, ma c’erano meno gare individuali. Le staffette mettono in risalto il valore di una nazione».

Insomma una regola che proprio non le piace.
«No. La Coppa del Mondo deve premiare l’atleta più continuo e completo che tappa dopo tappa si guadagna la coppa di cristallo grazie ai suoi meriti. Ovviamente dietro ai risultati di un’atleta c’è uno staff di persone qualificate che lo aiutano al raggiungimento degli obiettivi, ma è lui in pista a gareggiare. Non credo sia la strada giusta per valorizzare il nostro sport».

Ma oltre lei, anche altre nazionali erano contrarie?
«Sicuramente la Russia, che non a caso è rappresentata da Elena Välbe. Lei, come me, sa cosa significhi per un atleta gareggiare per la vittoria della Coppa del Mondo. Ci siamo messe nei panni degli atleti».

Vero che la Germania aveva proposto anche le sprint da cento metri?
«Si, ma fortunatamente quella proposta non è passata».

Come mai vengono fatte determinate proposte?
«In molti casi l’obiettivo è quello di rendere più appetibile il nostro sport rispetto ad altre discipline. Negli anni abbiamo perso troppi consensi sia in termini di audience che di nuovi atleti e si cerca di portare delle novità, ma non sempre ci si azzecca».

Per esempio?
«In questi anni si è parlato molto dei costi ecessivi dei materiali (extra bagaglio, scioline, numeri di sci al seguito ecc..), la proposta è stata di ridurre il numero degli skiman presenti alle gare permettendo l’accesso in pista ad un numero molto ridotto di persone per far risparmiare le squadre, quando in realtà basterebbe ridurre il numero delle trasferte, disputando  più gare in una singola località, creando eventi nell’evento come fa Il biathlon che ha appena dieci o undici tappe e hanno un seguito di pubblico invidiabile».

Ogni decisione viene presa a maggioranza?
«Si, raramente ci sono dei casi di unanimità. Anche una grande nazione come la Russia, se è sola può perdere nonostante sia una nazione forte».

Qual è il ruolo dei dirigenti della FIS?
«Loro non votano, anche se ovviamente hanno il loro peso. Per esempio possono decidere se portare o meno in commissione la proposta di una nazione, che deve essere fatta non a caso con molto anticipo. Inoltre la FIS propone anche le decisioni prese dalle altre commissioni. Su alcune si vota e su altre no. Per esempio, le regole delle competizioni vengono stabilite dalla commissione “rules & control” nella quale l’Italia è rappresentata da Anna Rosa. Ogni disciplina ha varie sotto commissioni nelle quali vengono prese delle decisioni e portate alla commissione dell’esecutivo.  Successivamente tutto ciò che è stato deciso viene sottoposto al Consiglio della FIS, del quale fanno parte i presidenti delle varie federazioni nazionali che alla fine danno il benestare o meno ad ogni proposta».

Si discute da tempo sul calendario della Coppa del Mondo. Come nasce?
«Si parte da alcune tappe fisse, che sono per esempio quelle di Ruka, Lillehammer, Tour de Ski, Lahti, Falun, Oslo. Poi ogni nazione può presentare la propria candidatura ad ospitare altre gare. Per esempio l’Italia non ha grandi opportunità avendo già due tappe fisse all’interno del TDS, salvo qualche annata in cui si disputarono a Dobbiaco e Cogne gare di Coppa del Mondo esterne al TDS, non è assolutamente facile trovare uno slot libero. Ogni candidatura viene votata in sede di commissione ma deve avere i giusti criteri per essere accettata come successe con il Nordic Ski Tour lo scorso anno (novità assoluta) o come Ulricehamn, promossa a pieni voti per successo di pubblico. Una nazione può anche decidere di rinunciare, come ha fatto la Germania con il Tour de Ski, avendo quest’anno il Mondiale. Ogni nazione vuole il suo spazio, non è facile. Una volta decise le località, vengono anche scelti i formati di gara, solitamente tenendo in considerazione i percorsi in funzione delle scelte delle gare per la tecnica classica».

È così difficile rendere il calendario più leggero o strutturato in un modo migliore?
«Diventa difficile, tutti vorrebbero tagliare il calendario ma nessuno vuole rinunciare alle proprie competizioni. Nessuna nazione è pronta a fare un passo indietro, tutti vorrebbero togliere gare ma nessuno è disposto poi a farlo. Una situazione che andrebbe cambiata per il bene del nostro sport. Perché non facciamo tutte le tappe scandinave ad inizio o a fine stagione? Invece andiamo due volte in Finlandia, due in Svezia, due in Norvegia. Sarebbe più facile se ognuno facesse una sola tappa e basta o almeno due tappe ravvicinate».

Cosa pensa della scelta della Norvegia di rinunciare alle competizioni di Davos, Dresda e soprattutto il Tour de Ski?
«Continuo a non comprendere la loro scelta, soprattutto in virtù del fatto che gareggiano regolarmente nel biathlon, nel salto, nello sci alpino ed anche in altre discipline. Solo i fondisti devono fare quarantena?
Qual è il motivo reale della loro rinuncia a buona parte delle gare pre Mondiali solo loro lo sanno. Essendo la nazione che domina da anni, si sentono nella posizione di prendere certe decisioni impopolari, ma per il nostro movimento non è certo positivo. Credo non sia facile per gli atleti norvegesi restar fuori dalle competizioni anche in virtù del fatto che dove gareggiano dominano e questo significa per loro perdite economiche e di immagine pesanti. Al momento la loro giustificazione è legata al fatto che non possono permettersi contagi e quarantene in fase di preparazione dell’appuntamento più importante della stagione, i Mondiali in Germania»
.

Come mai non si è però deciso di modificare il calendario, andando avanti con il programma originale?
«C’erano diverse proposte, in funzione della situazione pandemica che si sarebbe presentata alla viglia della stagione: mantenere il calendario ufficiale, aggiustarlo in corso d’opera accorpando le gare in poche località o addirittura il rischio cancellazione della Coppa del Mondo. Alla fine si è optato per andare avanti con il piano A, poi ovviamente se una nazione avesse chiuso i propri confini, allora si sarebbe andati su una soluzione alternativa. Ma non può essere la FIS a cancellare un evento, devono essere gli organizzatori stessi a rinunciare. A favore della FIS dobbiamo però sottolineare che, anche grazie all’utilizzo dei canali tecnologici, hanno organizzato spesso riunioni online per aggiornare tutti sulle varie situazioni all’interno di ogni singola nazione, ed ogni decisione o proposta è sempre stata condivisa. Stessa cosa è accaduta anche con le altre discipline della FIS».

La Norvegia ha mai chiesto ufficialmente di modificare il calendario?
«Per vie ufficiali non si sono mai espressi in maniera contraria o con proposte diverse, quindi sapevano a cosa si andava incontro. Credo che l’aggravarsi della situazione della pandemia ad inizio novembre abbia fatto prendere delle decisioni pesanti al loro interno, tant’è che non si è neppure gareggiato a Lillehammer pur essendo regolarmente in calendario».

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