Stando a ciò che vediamo seguendola da oramai una decina d’anni durante gare, interviste e ospitate in Tv, le parole noia, tristezza, infelicità e tutti i vari sinonimi ad essi correlati, per lei non esistono e con buona probabilità non sono mai comparse nel vocabolario "Made in Tiril Kampenhaug Eckhoff". Le pagine contenenti questi termini sono state fondamentalmente tutte strappate via.
Questa nostra affermazione e’ anche ampiamente confermata da chi la conosce bene, l’amica del cuore Ingrid Tandrevold in primis, le altre compagne di allenamento e di gara nel biathlon, gli allenatori e i suoi skimen che possono averla sotto gli occhi praticamente trecentosessantacinque giorni all’anno, ma anche dai vari rappresentanti dei media norvegesi, e da qualsiasi persona ai cui abbiamo chiesto di descrivere il carattere della trentenne nativa di Bærum. Questi termini le sono stati letteralmente cancellati dalla sua mente e dalla sua percezione praticamente fin dalla sua nascita e nel Tiril pensiero, nel suo modo di vivere il biathlon, la sua quotidianità e anche ciò che ruota attorno allo sport vi è rimasta sempre la modalità sorriso, divertimento, gioia etc, che da sempre l’accompagnano in ogni gara, in ogni allenamento, intervista, training camp o spostamento da una località di gara all’altra di qualsiasi sua stagione, mese e giorno dell’anno fin da quando da bambina ha iniziato col biathlon.
Ogni sua gara non è mai banale, noiosa o scontata, sia che la vinca dominando, come accaduto con il tris consecutivo di successi infilato nella tappa di Annecy-Le Grand Bornard sia che finisca al cinquantanovesimo posto come le è successo nella sprint degli scorsi Mondiali di Anterselva, dove partita fra le favorite assolute ha pasticciato parecchio al secondo poligono compromettendo di fatto anche la successiva pursuit e l’andamendo di un po’ tutta la competizione iridata, staffette escluse.
Osserviamo Tiril per una giornata intera, partendo dall’allenamento mattutino svolto nella sua Holmenkollen. Si nota già un ampio sorriso fin dalle prime fasi di riscaldamento a cui segue però una seria fase di concentrazione durante le sessioni di tiro svolte sotto lo sguardo attendo del coach italiano Patrick Oberegger. Al termine dell’allenamento non mancano i divertiti scambi di opinioni con l’amica Ingrid e Johannes Bø.
Eckhoff, una volta sistemati con attenzione attrezzi di lavoro e carabina, si sottopone poi ad un paio di meeting di public relations con alcuni sponsor nazionali, prima del nostro incontro programmato a fine mattina. In questa mezz’ora abbondante trascorsa con sponsor e tifosi il suo atteggiamento non cambia di una virgola, Tiril è sempre tutta sorrisi, gioia e risate. Si vede anche da lontano, oltre il metro e mezzo di distanziamento imposto dal virus, che anche tutto ciò che gira attorno al biathlon una volta terminata una gara o un allenamento non le pesa affatto. Fare biathlon è ciò che ha scelto fin da junior e il divertimento e la gioia è quello che l’ha sempre accompagnata e caratterizzata.
Una volta terminati i meeting con gli sponsor e alcuni tifosi, Tiril ci saluta e si concede alle nostre domande, ma dato il frastuono proveniente dai lavori di ammodernamento che si stanno svolgendo nei pressi della linea d’arrivo nel tempio degli sport invernali norvegesi, lei ci indirizza in un luogo più tranquillo ma di enorme storia per tutto il popolo norvegese ovvero ai piedi della statua di Re Olav V, che con gli sci ai piedi sovrasta le tribune e tutta l’area di Holmenkollen.
Per rompere il ghiaccio con lei, le chiediamo del colore dei suoi capelli che ci sembrano più biondi del solito ma Tiril questa volta in modo serio ci risponde: “No, il colore è sempre lo stesso, forse dipende dal sole estivo di Oslo, poi oggi dovevo essere più in tiro visto che era giornata di interviste e pubbliche relazioni ”, poi però non riesce più a trattenersi e si apre nella sua solita contagiosa risata.
Ilarità e sorrisi che accompagnano buona parte di tutta la nostra chiacchierata con Tiril, che si incrinano solo leggermente quando le dobbiamo poi chiedere della per lei triste conclusione di Coppa del Mondo, con lo sfortunato pursuit che ha deciso per lei in negativo la sua rincorsa alla generale della Coppa del Mondo.
Cominciamo dalla fine. Se ripensa alla scorsa stagione nel suo aspetto globale, è maggiore in lei la soddisfazione per le sette vittorie stagionali in Coppa del Mondo e le due medaglie d’oro ai Mondiali di Anterselva o la delusione di non aver vinto la generale di Coppa del Mondo?
«È stato piuttosto difficile non poter disputare le tre gare finali di Coppa del Mondo a Holmenkollen, per le quali mi ero preparata. È stata molto dura quando sono tornata a casa dopo la cancellazione delle ultime tappe, ero davvero giù di morale, piuttosto stanca, quasi ogni cosa in quei giorni non è andata come previsto. Ero molto delusa, inoltre tutto è stato più difficile per la situazione del Covid 19 in tutta Europa. Era qualcosa di nuovo. Un po’ ero anche contenta per tutte le mie vittorie in Coppa del Mondo e per il miglioramento generale che ho fatto con il tiro quest’anno».
Puntava alla coppa della generale?
«Sì, il mio obiettivo a quel punto era la generale.»
Ha una spiegazione per i suoi risultati non così brillanti nelle gare individuali durante i Mondiali di Anterselva dopo aver avuto un livello così elevato lungo tutta la stagione?
«Ero un po’ malata prima dei Mondiali, e questo mi ha reso un po’ insicura, quindi credo che sia stato il motivo principale per cui in Italia non ero al mio solito livello. Mi sentivo un po’ stressata per rimettermi in forma dopo l’influenza. A causa di questa malattia la mia testa non era a poco come doveva in occasione del Mondiale di Anterselva, ero stanca e non abbastanza affamata per ottenere più medaglie».
Durante quest’estate pensa spesso al suo ultimo poligono dell’inseguimento di Kontiolahti?
«Sì. Ci penso. Ovviamente non solo a quella gara ma anche alle gare precedenti. Sicuramente ricordo che è stata la serie più negativa della mia vita».
Ma dalle immagini televisive i suoi occhi sembravano ben concentrati come al solito sui bersagli in quell’ultima serie. Ha capito cosa è successo?
«Come sempre ero concentrata sui bersagli da centrare. Solo che le prime tre serie erano state molto buone e la quarta non altrettanto. C’era vento. Penso di essere stata la stessa atleta come al solito, ero concentrata come sempre. Ho solo fatto troppi errori».
Durante questa preparazione estiva, sta lavorando a qualcosa di specifico che ha evidenziato sulla sua agenda personale come qualcosa da cambiare, ripensando anche alla scorsa stagione?
«Sto lavorando sulla tecnica sugli sci cercando di migliorare e di essere ancora più efficace, ma il tiro è la cosa più importante in questo momento. Mi sto concentrando principalmente sulla mia velocità di tiro, perché non sto sparando velocemente come le migliori atlete che lottano per la overall. Il mio piano per la prossima stagione è ridurre i tempi di esecuzione al poligono e migliorare le percentuali in piedi».
Riguardo al suo obiettivo di vincere la sfera di cristallo il prossimo anno, chi teme maggiormente fra il duo italiano Wierer e Vittozzi e la coppia delle sue compagne di squadra Røiseland e Tandrevold?
«Penso che Marte Røiseland e Dorothea Wierer saranno le più pericolose. Per me sono le biathete più complete nel circuito femminile. Ma so che se sparo bene, io posso essere poi la più forte sugli sci. Se mi mantengo attorno alle loro percentuali allora …»
C’è un motivo per cui in carriera ha mostrato le sue migliori percentuali di tiro nelle mass start? Nelle ultime sette stagioni praticamente sempre costantemente attorno all’85%.
«Amo le mass start. È il mio format preferito nel biathlon. Questo perché puoi gareggiare donna contro donna e mi piace rincorrere e superare altre atlete. È un po’ come la nostra Formula 1. È una distanza così emozionante per me. A volte quando corri da sola nella sprint o nell’individuale è un po’ noioso. Ma la scorsa stagione sono stata molto contenta dell’inseguimento, perché non avevo mai vinto in quel format prima».
Qual è il poligono di tiro nel quale si sente più sicura e quello dove invece ha meno feeling?
«Amo il poligono e il tracciato di Holmenkollen. Mi alleno qui tutto il tempo e anche la pista è speciale per me. Durante il percorso, quando si attraversa la parte di Midstubakken, si apre la splendida vista del fiordo. Inoltre vivo non molto lontano da Holmenkollen. Ho ricordi speciali anche legati al Mondiale disputato qui. Il peggiore per me credo sia Hochfilzen, dove ho alcune volte cattive sensazioni in quel poligono di tiro. E anche Kontiolahti adesso non è più uno dei miei preferiti, anche se in passato ho vinto lì».
Qual è la parte peggiore del biathlon in generale?
«Per me quando non capisci per quale motivo non colpisci i bersagli. Alcune volte impazzisci. Questa è la parte peggiore per me. Rischi di perdere le tue sicurezze e devi sempre spiegare ai media perché la gara è andata davvero male senza magari conoscerne la vera ragione e anche tu ti senti male».
Parliamo del suo livello sugli sci, ha fatto un paio di gare Fis in passato. È curiosa di mettersi alla prova nello sci di fondo in una gara distance rispetto a Johaug, Karlsson ed altre big, magari a fine stagione?
«So che nella sprint in skating posso essere tra le primi tre in Norvegia. Ma per esempio in una 15 km non sento di avere le stesse capacità di Therese Johaug o Frida Karlsson. Se il tracciato è abbastanza piatto posso stargli vicino, ma se ci sono molte salite non ho possibilità contro Johaug. Personalmente il cross-country non è nel mio futuro, non mi interessa. Penso che il biathlon sia lo sport più completo, hai l’aspetto endurance, l’aspetto tecnico, l’aspetto mentale. È uno sport così difficile, quindi non cambierei. Ma sono contenta che atleti di sci di fondo siano passati al biathlon negli ultimi anni e sono molto entusiasta e curiosa di vedere il livello di Stina Nilsson il prossimo anno».
Qual è la migliore e la peggiore qualità di Patrick Oberegger nel biathlon e al di fuori del biathlon?
«La parte migliore di Patrick è che è sempre allo stadio con me. Mi sostiene e mi supporta durante ogni allenamento. Prepara tutto prima della gara, fa tutto in ordine, è sempre puntuale, molto preciso. La parte peggiore è forse quando parli con lui al telefono in norvegese, perché lui lo conosce, gli dico qualcosa e dice di aver capito ma invece non l’ha fatto. Così risponde "Sì, sì, ok, ho capito“, ma poi tu comprendi che gli devi ripetere la questione ancora una volta (risata). Ma come allenatore è davvero meraviglioso».
Ha davanti a lei ancora molti anni nel biathlon (… altrimenti Ingrid si sentirà un pò sola senza di lei ..) con molti obiettivi ancora da raggiungere, ma ha qualche sogno o nuove attività in mente dopo aver concluso con successo la sua carriera da biathleta?
«Penso e spero che Ingrid senza di me si divertirà molto meno… (risata) un giorno. Ancora non so cosa farò nel post-carriera. Mi interessa la psicologia ma non so se vorrò studiare cinque anni dopo la mia carriera nel biathlon, quindi forse lavorerò in tv come esperta o svilupperò le mie conoscenze in altri campi. Ritengo sia piuttosto noioso occuparsi solo di biathlon per tutta la vita. Credo di essere molto di più di una biatleta … (risata)»
Per chi non parla norvegese, cos’è «Kant ut med Tiril og Ingrid»? Tu e Ingrid Tandrevold avete in programma anche qualche episodio in inglese? Entrambi ridete sempre molto durante il vostro podcast?
«Penso che il nostro podcast non sarà mai in inglese perché non siamo così brave in inglese. Ma soprattutto perché parlando in norvegese possiamo descrivere a modo nostro tutta la nostra conversazione nel modo più ironico e divertente, cosa che altrimenti in inglese non sarebbe possibile. Gli argomenti di cui parliamo riguardano la nostra vita, cosa facciamo, cosa succede attorno a noi, le nostre malattie, i nostri allenamenti, i viaggi, raccontiamo nostre storie, ecc. Il nostro piano è solo quello di mostrare il biathlon da un altro lato. È un modo divertente per diffondere la passione per il biathlon soprattutto tra i giovani. Io e Ingrid ci divertiamo molto. E per i non norvegesi il titolo del nostro podcast è una sorta di riproposizione di quando si spara al bordo estremo del bersaglio e a volte esso si chiude e a volte no. Un modo di dire fortunato o non fortunato.»
Ha compiuto 30 anni lo scorso maggio. Da 1 a 10, qual è il suo voto per la torta di compleanno che Ingrid Tandrevold le ha preparato?
«La torta era davvero deliziosa. Quindi si merita il mio 10 pieno (risata). Mi ha anche fatto il regalo che volevo. Ne avevo davvero bisogno. È stato un regalo perfetto da parte di Ingrid. Mi è entrato dritto nel cuore. »
Biathlon – Tiril Eckhoff, la biatleta che sorride sempre: “Wierer e Røiseland saranno le avversarie più pericolose per la generale!”
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