A due anni di distanza dal suo ritiro dallo sci di fondo di Coppa del Mondo, Martine Ek Hagen ha vinto la sua prima e unica gara in Coppa del Mondo. Alla norvegese è stato infatti assegnato, con cinque anni di distanza, il successo dello skiathlon di Rybinsk del 25 gennaio 2015, che chiuse al secondo posto alle spalle della russa Yulia Tchekaleva.
A causa della positività riscontrata alle Olimpiadi di Sochi del 2014, infatti, la russa era stata squalificata da tutte le gare olimpiche ed esclusa a vita dai Giochi. La scorsa settimana la FIS ha deciso però di toglierle anche tutti i risultati ottenuti in Coppa del Mondo a partire dalle Olimpiadi russe, compreso quindi il suo unico successo, quello dello skiathlon di Rybinsk. In questa maniera, quindi, la vittoria è andata a Martine Ek Hagen.
La norvegese è stata raggiunta da TV2 per commentare, a cinque anni di distanza il suo unico successo in Coppa del Mondo: «È stata probabilmente la miglior gara della mia carriera – ha ricordato Hagen – ricordo che ero molto felice di aver chiuso seconda, ma allo stesso tempo un po’ delusa. Fu una partenza di massa e ricordo di aver provato a vincere, ma non ci sono riuscita. Ero arrivata vicino alla vittoria, così pensavo tanto a quanto sarebbe stato bello arrivare prima sul traguardo».
Un’emozione che non ha potuto vivere, anche se oggi si è ritrovata vincitrice di quella gara: «Da una parte è divertente (scoprire di aver vinto, ndr), dall’altra dispiace. Non erano le Olimpiadi, ma sarebbe stato molto bello passare il traguardo per prima in una gara di Coppa del Mondo. Sento di aver perso l’opportunità di vivere quell’esperienza. È strano ottenere una vittoria tanto tempo dopo perché qualcuno ha imbrogliato. Devo ammettere che allora non avrei mai immaginato che sulla linea di partenza ci fosse qualcuno che aveva barato. Sono un po’ scioccata da questo».
Insomma sensazioni contrastanti per la norvegese: «È molto bello avere ora una vittoria in Coppa del Mondo, ma dall’altra parte è triste il modo in cui è arrivata. Vorrei non fosse andata così, ma sono comunque contenta che l’argomento sia stato preso sul serio e chi ha barato abbia ricevuto la punizione meritata».
Il 4 aprile del 2018, nel giorno del suo ventisettesimo compleanno, Martine Ek Hagen, si è ritirata, nonostante l’ancor giovane età, perché non sentiva di avere le motivazioni per seguire il programma stilato in vista dei giochi di Pechino 2022. Peccato per un’atleta che da giovane sembrava veramente molto promettente, avendo vinto un argento individuale nella 10km dei Mondiali Juniores di Otepää nel 2011, alle spalle di Heidi Weng, e l’oro in staffetta con Haga, Weng e Kari Oeyre Slind. Da Under 23 aveva anche vinto un oro nello skiathlon e un argento nella 10 km in classico ai Mondiali Under 23 di Erzurum e due ori, skiathlon e 10km in classico, in quelli del 2014 in Val di Fiemme.
Ma se quel giorno avesse vinto in pista, sarebbero cambiate le cose? «È difficile da dire. Non sono Marit Bjørgen, ma probabilmente quel successo avrebbe avuto un peso sulle mie opportunità, sul mio impegno e sulla situazione finanziaria. C’è abbastanza differenza tra essere prima o seconda».
Anche se Hagen è serena circa la sua decisione di aver smesso, vive in maniera molto particolare questo successo arrivato tanto in ritardo: «Fa ragionare sulle conseguenze che ha il doping anche sugli altri partecipanti. Ottenere un successo ora non è lo stesso. Si magari in questo momento è anche bello, ma ti rendi conto di essere stato ingannato e privato di vivere questa possibilità. Dopotutto, non avevo ancora provato l’esperienza di vincere in Coppa del Mondo, quindi è po’ amaro. Ma almeno è bello sapere che il mio nome è ora iscritto per sempre tra i vincitori di una gara di Coppa del Mondo».
È impossibile stabilire se aver ottenuto quel successo in pista avrebbe cambiato la sua carriera. Sarebbe stato però bello aver la possibilità di vederlo sul campo, anziché fare delle ipotesi. Anche questo è uno dei mali del doping, togliere agli altri atleti, coloro che sono onesti, la possibilità di ottenere i risultati meritati sul campo e vivere fino in fondo la propria carriera, senza ritrovarsi un giorno a rimuginare troppo sul passato e su ciò che non è stato.