Tanti giovani, per diversi motivi, decidono di cambiare paese. Lasciano l’Italia da giovanissimi, appena terminata la scuola superiore, alla ricerca di un lavoro all’estero, a volte quasi per scappare da una realtà troppo stretta, in alcune occasioni per un amore conosciuto in vacanza o semplicemente per fare esperienza e imparare una nuova lingua. Lasciano amici e parenti, si rifanno una vita, ripartono quasi da zero, adattandosi a nuove abitudini e ritmi diversi. Una scelta coraggiosa, che non è mai semplice, figuriamoci quando si fa in età più adulta, magari a 37 anni. È quanto ha fatto Walter Cogoli, che dopo tanti anni da allenatore di combinata e salto nel nostro paese, partito dai giovani e arrivato fino alla nazionale, ha deciso di mollare tutto e provare una nuova avventura in Austria, sempre nel mondo del salto. Ha lasciato amici e parenti, ha fatto la valigia ed è andato verso una nuova vita, con tutte le difficoltà che comporta e le soddisfazioni che dall’altra parte regala, lasciando in dote un bagaglio d’esperienza enorme. L’abbiamo intervistato per farci raccontare la sua storia e avere anche un’opinione, da un tecnico ormai stimatissimo non soltanto in Italia, anche sulla prossima stagione internazionale di salto.
Ciao Walter. Puoi raccontarci com’è nata questa grande scelta di vita, lasciare tutto per andare ad allenare i giovani in Austria?
«Nel febbraio 2016 un mio amico, conosciuto in anni di lavoro nell’ambiente, mi ha chiamato invitandomi a mandare un curriculum, perché cercavano un allenatore per la squadra regionale di salto dell’Oberösterreich, regione che comprende Hinzenbach, dove si è gareggiato lo scorso weekend. Questa occasione ha coinciso con un periodo per me molto difficile, perché stavo guidando la nazionale e per varie motivazioni le cose non stavano andando affatto bene. Alcuni atleti stavano vivendo una stagione di difficoltà, ma soprattutto non avevamo un grande budget. Dovevo pensare a tutto, ho fatto anche lo sviluppo delle tute. Insomma stavo attraversando un momento stressante, così ho comunicato alla FISI che dopo sedici anni avrei lasciato. Ad aprile ho fatto il colloquio e mi hanno preso, così ho fatto la valigia e dal 1 maggio 2016 ho iniziato a lavorare qui in Austria. Non è stata una scelta facile, ma non avendo una famiglia ho potuto farlo, altrimenti sarebbe stato impossibile».
Non deve essere stato facile affrontare il colloquio in tedesco.
«No, ma per fortuna non partivo da zero, perché la mia lunga esperienza da atleta e allenatore mi ha portato a girare molto. Ho studiato anche qui e lo faccio tutt’ora, perché il tedesco non è una lingua semplice. Il colloquio tecnico non è stato difficile, perché le parole bene o male sono quelle, mentre il curriculum con la mia carriera l’avevo già inviato in inglese. Diciamo che nelle due-tre settimane precedenti al colloquio mi sono chiuso a studiare, per preparare almeno le cose più importanti da dire ed evitare una figuraccia. Visto che mi hanno preso, non devo essere andato tanto male».
Puoi parlarci del momento in cui hai deciso di lasciare l’Italia? Non deve essere stato facile.
«È stata dura, perché ovviamente mi sono venute in mente sedici stagioni consecutive da allenatore e da atleta. Inoltre seguivo anche il GS Monte Giner, al quale sono ancora oggi molto legato. Insomma il cuore era alla mia società, alla mia federazione e agli atleti che seguivo. Ci ho pensato tanto, non è facile lasciare la propria nazione, anche perché ci sono tanti dubbi legati alla lingua e la consapevolezza di stare lontano da amici e affetti familiari. Oggi mi sono adattato e sono soddisfatto della mia scelta, ma all’inizio, ho passato tante notti con mille pensieri, perché sai sempre cosa lasci e mai cosa troverai. Alla fine è stato meglio così, ho staccato con l’ambiente del salto italiano, perché l’ultimo anno era stato durissimo, mi stavo confrontando con condizioni difficili sia a livello economico sia ambientale».
Una cosa che mi sorprende, però, è come tu abbia lasciato dopo meno di un anno alla guida della nazionale italiana, che, leggendo un’intervista di oltre due anni fa, rappresentava il tuo sogno.
«Sono entrato nel gruppo degli allenatori della nazionale italiana nel 2010, passando dalla combinata nordica insieme a Davide Bresadola, che ho sempre seguito da allenatore, diciamo, privato, visto che vivevamo a 200 metri di distanza. Ho fatto tutta la trafila del salto speciale, arrivando poi a essere il secondo allenatore e il primo in Continental Cup. Nel 2015, l’allora tecnico della nazionale di combinata nordica, Jochen Strobl, ha lasciato, così la FISI ha scelto di rimpiazzarlo con Paolo Bernardi, che era alla guida del salto speciale. A quel punto hanno deciso di promuovere me nel ruolo di allenatore responsabile del salto, vista l’esperienza che avevo maturato. Per me era un sogno, perché lo vedevo come il mio momento dopo anni di gavetta. Sapevo che il settore del salto non se la passava benissimo, ma volevo provarci, non potevo rifiutare. Purtroppo però mi sono confrontato con problemi più grandi di quanto mi aspettassi, ambientali ed economici, in quanto dopo Sochi si stava tirando la cinghia. Dopo il mio addio il salto in Italia era a un bivio, per fortuna la FISI ha deciso di rilanciarlo e investire su questa specialità, affidandosi a una persona valida come Kruczek. So che ora il budget è molto più alto, anche perché ci sono le Olimpiadi e soprattutto entrano dei soldi grazie al Mondiale di Cortina. Se ho rimpianti per essermene andato? No, non vivo di rimpianti. Chissà, forse il mio addio è stato utile proprio a dare una scossa all’ambiente».
Torniamo al tuo attuale lavoro. Alleni ragazzi tra gli undici e i quattordici anni: è stato difficile farsi accettare?
«Chi ha fatto un’esperienza di vita all’estero, sa quanto sia diverso vivere in un paese straniero rispetto all’andarci in vacanza. Ho dovuto fare tutto da solo, anche le cose pratiche come trovarmi un appartamento e traslocare. Con i ragazzi ho avuto qualche difficoltà iniziale, anche perché da queste parti parlano un dialetto particolare. È stata però inserita una regola che li costringe a parlare un tedesco corretto. Ho sei ragazze e otto ragazzi e negli allenamenti era molto difficile, in quanto non riuscivo a comunicare bene ciò che volevo e questo mi ha costretto a trovare dei rimedi particolari. Inizialmente ho utilizzato video e gesti, poi mi sono fatto anche aiutare dai colleghi, mostrando i miei appunti su un blocknotes per farmi consigliare la parola giusta da dire. Devo ringraziare i miei colleghi, perché mi hanno accolto molto bene e si sono messi a mia disposizione per aiutarmi. Se ci ripenso oggi, agli inizi è stata proprio dura, perché mi trovavo in palestra a dover spiegare degli esercizi non troppo semplici e i ragazzi non mi capivano, così si creavano momento in cui non sapevo cosa fare. Sono però riuscito a superare le difficoltà, perché sono convinto di quello che faccio e i ragazzi hanno iniziato ad apprezzarmi».
C’era un po’ di pregiudizio nei tuoi confronti? L’Austria rispetto all’Italia ha una tradizione ben diversa in questo sport.
«A qualcuno sicuramente avrà fatto impressione vedere un italiano che insegnava salto a loro, che sono maestri della specialità. È come se un allenatore austriaco venisse ad allenare una squadra di calcio in Italia. Però sono stato subito accettato e stimato, perché sono persone molto tranquille, alla mano, anche gli atleti e i tecnici della nazionale maggiore. Ho trovato una grande organizzazione e programmazione, se hai un problema vieni supportato e soprattutto gli stipendi arrivano sempre puntuali. Posso decidere quasi tutto, dalla sciolina ai raduni, fino alle tute. Certo, la lingua inizialmente ha rappresentato un bel problema, pensate che dovevo utilizzare il computer dell’amministrazione e ho rotto le scatole per mesi alle segretarie dell’ufficio perché era tutto in tedesco (ride ndr)».
Hai imparato così bene la lingua, che oggi sei diventato istruttore anche in Austria.
«Si, mi sono iscritto a un corso da allenatore e l’ho concluso proprio la settimana scorsa passando l’esame a Innsbruck. Ora sono istruttore anche qui».
Ti stai facendo un grande bagaglio di esperienza. Pensi un giorno di portarlo con te in Italia? Come e dove vedi il tuo futuro?
«Mi pongo spesso queste domande. Quando sono partito dall’Italia, volevo staccare un attimo dal nostro ambiente e imparare qualcosa di nuovo. Ho l’intenzione di restare ancora qui, ma non so quanto, anche perché comunque ho un contratto sempre annuale. L’idea e sogno è sempre quello di guidare l’Italia o tornare con un progetto legato ai giovani. Ho allargato il mio bagaglio di esperienza e conoscenze, anche perché qui in Austria non può essere diversamente, in quanto si fanno sempre degli studi e a volte c’è anche l’opportunità di vedere i big della nazionale e rubare qualcosa con lo sguardo. Sarebbe bello mettere un giorno questa esperienza a disposizione dell’Italia, anche a livello giovanile. Chissà che in futuro non possa accadere, anche perché a Predazzo faranno finalmente un trampolino da sessanta metri, utile per allenare i giovani, e anche a Pellizzano c’è questa opportunità. Mi piacerebbe poter crescere un gruppo di giovani italiani, che possano rappresentare il futuro della nostra specialità. Poi chissà, magari succede che mi ritrovo nello staff tecnico della nostra nazionale maggiore o in quello austriaco. Nella vita non si può mai sapere cosa accadrà, anche perché se lavori bene può capitare che qualcuno ti noti. Il mio obiettivo, per il momento, è migliorare ancora la conoscenza della lingua tedesca, aumentare la mia esperienza e poi si vedrà: è l’anno olimpico, ci saranno poi le elezioni federali e possono cambiare tante cose in Italia».
Sei ancora molto legato al GS Monte Giner.
«Si e al suo presidente Massimino Bezzi, che sta facendo di tutto per far costruire un trampolino da sessanta in Val di Sole. Quella società è una famiglia, tanto che anche Davide Bresadola, appena può, allena i ragazzini. Pensate cosa significa per loro avere un atleta di Coppa del Mondo che gli allaccia gli scarponi. Sono tornato a Pellizzano con i ragazzi austriaci a luglio ed è stato bellissimo incontrare i genitori dei miei ex allievi. Molti mi hanno detto che gli manco e ciò significa che qualcosa di buono ho fatto. Mi ha fatto piacere, due settimane fa, in occasione del matrimonio di Davide (Bresadola ndr), incontrare anche tanti atleti che ho seguito in nazionale, come Insam, Varesco, Cecon, Morassi e Dellasega, che mi hanno mostrato la loro riconoscenza».
Un’ultima domanda: domenica si è disputata una prova del Grand Prix a Hinzenbach e ovviamente eri presente: che impressioni hai avuto?
«Innanzitutto è stato bello rivedere quello che fino a un anno e mezzo fa era il mio mondo e poter parlare con atleti e allenatori, tra i quali Kruczek. Mancavano alcuni atleti di alto livello, ma c’era comunque buona parte dei big. I polacchi mi sembrano ancora una volta molto competitivi, proprio come squadra, mentre, a parte Kraft, ho trovato l’Austria più indietro del previsto. Non ho visto bene Peter Prevc, non mi sembra in ripresa. Wellinger, invece, è già in grande forma, mi è piaciuto sia negli allenamenti sia in gara, nonostante il quinto posto. Secondo me lui e Kraft si giocheranno la Coppa del Mondo insieme a un paio di polacchi e Tande. Domen Prevc non credo possa ripetersi, mentre Peter sembra lontano parente rispetto a quello di due anni fa. Non riesco a capire cosa possa essergli accaduto, perché da quella gara di Kuusamo non si è più ripreso. Ma non può essersi spaventato, perché se anche fosse caduto sul telemark non avrebbe potuto farsi troppo male. Secondo me ha pagato la troppa visibilità avuta due anni fa, un po’ come accadde a Stoch dopo le Olimpiadi. Per quanto riguarda l’Italia, ho visto molto bene i ragazzi, perché Lukasz sta facendo un grande lavoro. Sebastian (Colloredo ndr) si è ripreso dopo alcune stagioni durissime, mentre Davide adesso ha più forza nelle gambe, sembra quasi un saltatore di quelli che spaccano il dente (ride ndr). Alex è il talento che ci aspettavamo già in passato, è il più volatore dei tre e quello di domenica per lui era un trampolino troppo piccolo. Questi tre atleti sono riusciti a prendersi i tre pettorali per la Coppa del Mondo e addirittura potremmo arrivare a quattro, anche se purtroppo dietro di loro non siamo messi benissimo. Per fortuna, in ottica futura, ci sono alcuni giovani interessanti, anche se Varesco si è fatto nuovamente male. Giovanni Bresadola e il piccolo Cecon promettono però molto bene, segno che abbiamo qualche speranza per il futuro. Per un paese come il nostro, comunque, è già un bel traguardo avere tre buoni atleti in Coppa del Mondo, in grado di andare a punti ed entrare a volte anche nei quindici. Sono in tre e questo li aiuterà, perché non sentiranno troppe responsabilità, rispetto a quando in Coppa del Mondo andava il solo Bresadola. Ho visto tutti molto positivi, si vede che anche la federazione ha iniziato a credere di più nel salto. Quando si aumenta il budget le cose cambiano, non a caso hanno ottimi materiali e tute davvero buone. In fin dei conti se investi tanto per un allenatore straniero, devi poi mettergli a disposizione qualcosa in più».