È maggiorenne da quattro mesi e ha già al collo una medaglia mondiale. A distanza di otto anni, il cognome Pittin è finito nuovamente nell’albo d’oro dei Mondiali Giovanili grazie a Cristina, argento nella staffetta femminile insieme ad Anna Comarella, Martina Bellini e Francesca Franchi. La ragazza di Maranzanis, piccola frazione del Comune di Comeglians, ha seguito le orme di suo cugino Alessandro, che prima di diventare bronzo olimpico a Vancouver in combinata nordica nel 2010, vinse anche due ori ai Mondiali Giovanili di Zakopane del 2008 e un altro a Strbské Pleso nel 2009. Negli USA Cristina ha dato l’ennesima conferma che la Carnia è terra di grandi sportivi. In questa intervista l’azzurra ci ha descritto le emozioni vissute lo scorso 5 febbraio, quando è salita sul podio insieme alle sue compagne, e ha parlato con noi dei suoi sogni e della passione per lo sci.
Ciao Cristina, cos’hai provato quando sei salita sul podio insieme alle tue compagne?
«Come tutte le altre non me l’aspettavo. Per noi è stata un’emozione grandissima, tanto che all’inizio sembrava un sogno e ho realizzato che davvero eravamo arrivate seconde al Mondiale, soltanto quando ci hanno messo la medaglia al collo».
Sei stata l’ultima frazionista: ci puoi descrivere cos’hai provato quando hai ricevuto il cambio da Francesca Franchi in seconda posizione?
«Quando ho visto che arrivava al cambio in seconda posizione, mi veniva quasi da piangere, perché avevo troppa paura di sprecare quanto avevano costruito loro, ero agitatissima. Le mie compagne Martina (Bellini ndr) e Anna (Comarella ndr) cercavano di tranquillizzarmi e tirarmi su il morale. Una volta in gara però ho messo da parte l’agitazione e ho dato tutto, mi sono attaccata alla russa e l’ho anche tenuta per due chilometri. La pista però era molto dura e stavamo anche in quota, così quando lei ha attaccato in salita ho preferito non rischiare e andare avanti con il mio passo. Non volevo correre il rischio di scoppiare, perché magari potevano ancora rientrare le altre e non mi sarei mai potuta perdonare un mancato podio. Diciamo che se fosse stata una gara individuale ci avrei provato, ma ho pensato alla squadra, non potevo rischiare di cuocermi per inseguirla».
Raccontaci quell’ultimo rettilineo, quando vedevi il traguardo e la medaglia d’argento.
«Ero felicissima e ho iniziato a ridere, non la smettevo più. Le mie compagne di squadra piangevano per la commozione, invece io ridevo».
Rispetto alla Coppa Europa hai trovato avversarie più forti?
«Si c’erano delle avversarie molto toste, fortissime. In particolare le russe, sembrano quasi dei cavalli da corsa, non si fermano mai. Al contrario le norvegesi sono andate in difficoltà, non sono riuscite ad ambientarsi, perché ci trovavamo in quota e loro sono abituate ad allenarsi in condizioni diverse. Molte di loro arrivavano al traguardo e crollavano a terra con la bombola d’ossigeno. Ecco, ora immaginate me, che vedevo queste ragazze avere bisogno della bombola d’ossigeno per respirare dopo la gara, mentre io dovevo partire con addosso già l’agitazione di non poter far perdere il podio alle mia compagne (ride ndr)».
Com’è stato il ritorno a casa?
«Bellissimo, tutti si sono complimentati. Poi nel mio piccolo paese, mi hanno anche fatto trovare uno striscione a me dedicato. Alla fine ci conosciamo tutti, siamo in trenta».
E quello a scuola?
«A dire il vero non sono ancora tornata a scuola, perché non appena sono arrivata dagli Stati Uniti, siamo andati con la classe in gita a Verona. I compagni mi hanno fatto i complimenti e anche i professori che ci hanno accompagnato in gita (l’intervista è stata realizzata domenica pomeriggio ndr)».
A proposito di complimenti, hai ricevuto quelli di tuo cugino Alessandro?
«Si, mi ha subito mandato un messaggio al termine della gara, complimentandosi con me e le mie compagne. Mi ha fatto tanto piacere, anche perché lui non è uno di tante parole (ride ndr)».
Ne avete ricevuti tanti di complimenti al termine della gara.
«Si, ma quelli più speciali gli ho ricevuti dagli allenatori e i miei familiari, da tutte le persone che mi vogliono bene».
Hai un atleta del passato o del presente che stimi particolarmente?
«Ovviamente nella mia regione abbiamo il mito di Manuela Di Centa, ma io non l’ho vista gareggiare. Quando ero piccolina tifavo per Justyna Kowalczyk. Il caso ha voluto che sia tornata alla vittoria in Coppa del Mondo proprio nel giorno in cui ho vinto l’argento con le mie compagne. Tra gli uomini il mio preferito è Cologna, perché è un professionista vero».
Hai sempre praticato sci di fondo?
«No, quando ero più piccola facevo discesa, però mi annoiavo a perdere tutto quel tempo in seggiovia e fare poi una discesa così breve che finiva subito. Alla fine nemmeno sentivo la fatica, non mi realizzava. Così ho iniziato a praticare fondo e quando mi sono sentita pronta ho affrontato le prime gare. All’inizio le cose sono andate proprio male, ne combinavo di tutti i colori, poi sono cresciuta, ho iniziato a vincere e ora ho al collo questa medaglia».
Pensi che ti specializzerai in una particolare distanza o tecnica?
«Non riesco ancora a capirlo, perché mi piacciono entrambe le tecniche e non ho alcune preferenza nemmeno riguardo le distanze, mi piace tutto».
È difficile conciliare studio e sport?
«A volte è un po’ dura, soprattutto quando andiamo fuori il weekend per disputare le gare. Mi porto sempre dietro i libri, ma non è mai facile mettersi a studiare dopo un allenamento o addirittura dopo la gara perché sono stanca. Poi sono all’ultimo anno, quindi è ancora più dura, visto che avrò anche gli esami».
Qual è il tuo sogno legato allo sport?
«Come tutti gli sportivi sogno di raggiungere i massimi livelli. Vorrei tanto entrare in un Gruppo Sportivo, perché mi permetterebbe di trasformare questa passione in un lavoro, dandomi anche l’opportunità di concentrarmi soltanto su questo. Se poi le cose non dovessero andare come spero, allora potrei scegliere un altro percorso, magari diventare maestra di sci».