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Storia del Fondo femminile – Cap.3

L’epopea delle primedonne: Manuela Di Centa e Stefania Belmondo


L’artefice delle medaglie e del “boom” qualitativo del fondo femminile ha un nome preciso: quello di Camillo Onesti, del quale pubblichiamo un “ritratto” nella rubrica dei personaggi famosi. Piccolo imprenditore nell’edilizia, fanatico dello sport in generale e dello sci e della montagna in particolare, il classico tipo del “milanese con il cuore in mano”. Un vulcano di iniziative in tutta la sua vita professionale e sportiva; il personaggio più adatto a creare dal niente un movimento e a dargli visibilità e credibilità. Il suo maggior merito è stato quello di avere le idee chiare su quello che si doveva e si poteva fare e di aver recuperato alla nazionale Manuela Di Centa; in più ha avuto la fortuna di veder sbocciare Stefania Belmondo e la capacità di farla convivere con Manuela senza che si strappassero i capelli, mantenendo la loro rivalità al livello delle frecciate verbali. Inoltre è riuscito a far crescere con pazienza Gabriella Paruzzi e riportare in squadra Bice Vanzetta dopo che aveva abbandonato l’agonismo per sposarsi. Alle medaglie individuali delle due primedonne si sono quindi potute aggiungere quelle di staffetta, a dimostrazione della forza e della compattezza della squadra che era riuscito a formare e che, per la prima volta nella storia del fondo femminile, aveva potuto godere di una propria autonomia.

Per il settore femminile questo ha significato non essere più subordinato a quello maschile e di poter programmare la propria attività contando sulla completa assistenza tecnica e medica, separata da quella dei maschi. In più, e questo è stato l’effettivo salto di qualità, è venuta a cadere la discriminazione attuata fino a quel momento anche sul piano dei benefici economici. Per la prima volta le donne, oltre alla “pari dignità”, hanno raggiunto anche la stessa remunerazione e si sono viste aprire le porte dei gruppi sportivi militari,  (il primo è stato quello della Forestale) conquistando quel traguardo che altre discipline sportive avevano raggiunto già da tempo. Anche le fondista, insomma, potevano finalmente fare sport a tempo pieno con uno stipendio e con un lavoro sicuro a fine carriera. Almeno per le più brave si apriva una prospettiva che le metteva in condizione di non abbandonare più l’attività in giovane età per cercarsi un lavoro.

Quando è entrato in FISI, chiamato da Gattai ad assumere la neonata direzione agonistica del fondo, Camillo Onesti ha stupito tutti con le sue dichiarazioni. Se non l’hanno preso per i fondelli, poco ci è mancato. “Ci vengo, disse, perché sono convinto di arrivare entro tre anni ad una medaglia olimpica o mondiale”. Sembrava la sbruffonata tipica del “bauscia” milanese, ma lui era certo di poter raggiungere quel traguardo. Sapeva che, creando motivazioni e dando fiducia, il fondo femminile disponeva di grosse potenzialità tutte da esprimere. Solo che, fino a quel momento, era stato tenuto ai margini.  Invece che 3 anni ne ha impiegati 5 per vedere sul podio una delle sue ragazze, ma dal 1989 al 1988, quando ha lasciato l’incarico, di medaglie ne ha vinte più d’una e ha posto le basi perché se ne mettesse insieme  un canestro. Solo le schermitrici, forse, ne hanno collezionate di più, ma la loro è una specialità che ha sempre avuto continuità nel tempo. Ripartendo da Guidina Dal Sasso (nella foto 2002), e dalle juniores Sperotto, Pozzoni, Angerer e Carrel, ha partecipato ai Mondiali di Seefeld nel 1985, con il 5° posto nella staffetta (Vanzetta, Pozzoni, Desderi e Dal Sasso) e il 7° della Guidina nella 20 km, miglior piazzamento individuale fino ad allora; poi ha recuperato la Manuela, ha lanciato quel fenomeno della Stefania, è riuscito nella difficile impresa di far convivere le due prime donne e ha creato la squadra che ha stupito tutto il mondo, inserendovi Gabriella Paruzzi e convincendo Bice Vanzetta, che aveva smesso l’attività con il matrimonio, a riprendere gli sci. Staffetta a ripetizione sul podio in Coppa del Mondo, ai Mondiali (argento in Val di Fiemme, 1991) e alle Olimpiadi (bronzo ad Albertville 1992, a Lillehammer 1994 e a Nagano 1988). Quanto alle medaglie che si era ripromesso di raggiungere nell’arco di tre anni, il ritardo ha una spiegazione. Per le Olimpiadi di Calgary, nel 1988, Manuela Di Centa era in una forma strepitosa ma durante il periodo di allenamento in quota, in Canada, si è presa un’influenza che ha vanificato tutto il lavoro fatto fino a quel momento.

 Dopo Seraievo e prima dell’arrivo di Stefania e del recupero di Manuela, il fondo attraversa un altro periodo di transizione, che si aggiunge ai tanti del passato. Risultati dignitosi, che dimostrano che c’è materiale umano su cui lavorare, ma non ancora il salto di qualità tanto sperato. La migliore è Guidina Dal Sasso che, al di là di qualche intromissione di Manuela, vince tutti i titoli italiani lasciandone uno alla Canins (5 km nel 1985), alla Vanzetta (20 km nel 1987) e a Paola Pozzoni (10 km  nello stesso anno), ma sono le ultime fiammate per il semplice fatto che, dal 1988 in poi, i titoli se li divideranno Di Centa (a sinistra) e Belmondo (a destra). A fasi alterne di predominio perché, secondo le condizioni fisiche e di forma del momento, l’una patisce regolarmente il complesso dell’altra e viceversa. Per le altre non c’è più posto sul gradino più alto del podio; quando proprio va bene, qualcuna arriva sul secondo. Troppo lo strapotere delle due primedonne che si manifesta, oltre che in campo nazionale, anche in ambito internazionale dal 1991 in avanti. C’è la prima vittoria di Stefania in Coppa del Mondo a Salt  Lake City dove, a 13 anni di distanza, avrebbe chiuso la sua carriera con l’oro della 15 km TL con partenza di massa e con l’argento della 30 km TC, e quindi la prima medaglia mondiale (bronzo) in Val di Fiemme, nel 1991, sempre di Stefania, nella 15 km TC che precede di Medaglie che fanno esplodere una rivalità che si protrarrà fino al 1988, alle Olimpiadi di Nagano, dopo le quali Manuela uscirà di scena per confluire nel CIO, eletta dagli atleti come loro rappresentante.

Periodo d’oro, questo, per il fondo femminile, che “patisce” la rivalità fra le primedonne non solo per l’atmosfera che si crea in squadra, ma anche nella gestione della stessa perché Onesti, pur con tutta la sua diplomazia, non può fare a meno di assegnare l’incarico di allenatore al tecnico indicato dall’una o dall’altra sulla base dei risultati che Manuela o Stefania ottengono. Pesano al punto che, da un certo momento in poi, la FISI concede a Manuela un suo staff personale, al di fuori della nazionale. Lo stesso avverrà con Stefania quando la rivale abbandonerà l’attività.

Singolare la questione degli allenatori che si sono succeduti alla guida della nazionale. Si è cominciato nel 1981 con la coppia Migliorini-Berto, che è durata fino al 1984, e da quel momento è una sequela impressionante che passa per Berto (a sinistra), Demetrio Rela, Vincenzo Trozzi. In Val di Fiemme nel 1991 e ad Albertville nel 1992 l’allenatore è Benito Moriconi (a destra) che dal 1993 al 1997 diventa l’allenatore personale e capo dello staff di Manuela Di Centa.  Al suo posto rientra in nazionale Berto, quindi di nuovo Trozzi e poi Bellodis. Quando Vanoi, già direttore agonistico del fondo maschile assume la direzione agonistica anche di quello femminile, allenatore della squadra A diventa Gianfranco Pizio, di Schilpario. Contemporaneamente Stefania si estrania dalla squadra, e si affida ad un suo staff personale con il cortinese Alverà come allenatore e il forestale Stauder come skiman, il cui posto viene successivamente preso da Laurent e Gontier. Morto quest’ultimo in un incidente stradale, l’incarico di skiman viene conferito a Gianluca Marcolini il quale, fino a quel momento, con il friulano Barbacetto era stato lo skiman di Muehlegg e della nazionale spagnola.

Un bel casino, come si vede, che può aver contribuito a creare tensioni ma non ha influito sui risultati perché le medaglie sono arrivate a manciate con Stefania e Manuela nelle gare individuali, e con l’aggiunta, nella staffetta, di Paruzzi (presenza fissa), Valbusa, Moroder, Confortola o Paluselli nelle gare di Coppa, alle Olimpiadi o ai Mondiali. Argento o bronzo. L’oro sarebbe stato a portata di mano a Salt Lake City, con l’assenza della Russia a causa della squalifica per doping di Lazutina e Danilova, ma una caduta dell’esordiente Marianna Longa in prima frazione e prestazioni sottotono di Paruzzi e Valbusa nelle due successive, hanno impedito il consueto recupero di Stefania in quella conclusiva. Troppo il distacco accumulato per riuscire ad andare al di là di un deprimente 6° posto, a fronte della sorprendente vittoria della Germania sulla favorita Norvegia. Terza addirittura la Svizzera, che non doveva neppure presentarsi in pista visti i risultati precedenti.

Dell’ultimo decennio c’è poco altro da dire: altri particolari si trovano nel “ritratto” delle protagoniste, inserito fra i personaggi del fondo. Del resto parlano da soli i risultati delle Olimpiadi, dei Mondiali e dei campionati italiani assoluti che si possono trovare nell’apposita sezione. Risultati che, come detto, vanno ascritti per la massima parte a Manuela Di Centa e Stefania Belmondo. Da rilevare, comunque, la crescita progressiva di Gabriella Paruzzi (a destra) che a Salt Lake City, con la squalifica della russa Lazutina, che aveva vinto la prova, ha ottenuto l’oro della 30 km TC, e di Sabina Valbusa (a sinistra, con il fratello Fulvio), tre volte sul podio in Coppa del Mondo, di cui due nello sprint. Medaglia inaspettata, quella di Gabriella, ma più che meritata, degno coronamento di una carriera che non si è certo chiusa a 33 anni, come è invece avvenuto il 30 maggio per Stefania Belmondo, quando ha deciso di porre fine all’attività agonistica ed è stata inserita nel Comitato organizzatore delle Olimpiadi Torino 2006. Non ha certo lasciato lo sport, perché si allena regolarmente e si mantiene in ottima forma.

Il suo abbandono, e quello prevedibile di Paruzzi dopo i Mondiali in Val di Fiemme, lascia il settore in braghe di tela anche perché Valbusa ha passato la trentina e i rincalzi non sono all’altezza di questo terzetto. Il futuro, almeno a breve termine, non si presenta certo roseo. C’è solo da augurarsi che crescano bene un paio di ragazze inserite nella squadra Torino 2006.

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