La crisi degli anni ’70 e l’inizio della rinascita (Oslo 1982 – Conconi)
Le avvisaglie che la grande squadra cominci a perdere colpi si evidenziano nella stagione 1969-70, che ha il suo momento centrale nei Mondiali di Vysoke Tatry ai quali gli azzurri arrivano con l’ormai consueta trafila di gare internazionali dopo 54 giorni di allenamento in Svezia, che si conclude con il successo di Nones a Remboe e il secondo posto alla Limaloppet, il quinto di Kostner alla Foelingloppet.
Assenti i nordici, nella 30 km della Settimana del fondo si impone Elvico Blanc, “pompiere” della Val d’Aosta, con Gianfranco Stella terzo. Fra i due azzurri si inserisce il polacco Rysula, uno dei centroeuropei di indubbio spessore venuti alla ribalta negli ultimi anni. Stella si prende la rivincita alla Coppa Consiglio di Valle. Nones, che nella 30 km si era ritirato per una caduta ed era arrivato solo 13° nella Coppa Consiglio di Valle, si assicura i titoli della 15 e della 30 km agli assoluti di fine gennaio a Santo Strefano di Cadore.
Ci sono dunque tutte le premesse per ben figurare ai Mondiali, ma in Cecoslovacchia, a metà febbraio, la squadra azzurra ci arriva minata da un’epidemia di influenza che condiziona il risultato. Se non è un disastro, poco ci manca. Il miglior piazzamento è il 13° posto nella 15 km vinta dallo svedese Aslund, la staffetta è sesta, battuta anche dalla Svizzera. Ancora Kostner, il migliore, è 24° nella 30 km dove, dietro il sovietico Vedenin, si classifica Grimmer, il miglior esponente di quello squadrone della Germania Orientale che negli anni successivi si sarebbe inserito di prepotenza ai vertici del settore. Sicuramente merito del gran lavoro di promozione del fondo svolto dai tecnici della DDR, ma ancor più dell’apporto della scienza medica. Di quel doping di Stato che nella Germania Est venne tradotto in sistema da tutte le federazioni e di cui avremo modo di parlare abbondantemente in seguito.
E’ sempre in questa stagione che si registra il debutto dei Giochi invernali della Gioventù (nella foto la 4° edizione a Zoldo Alto), promossi dal CONI, con la collaborazione della FISI e degli Enti locali, attraverso i quali arriveranno all’attività agonistica fior di campioni. Più per lo sci alpino che per il fondo, per la verità. Per la cronaca la prima medaglia d’oro del fondo è il trentino Gianfranco Cecco, mentre nel gigante maschile si impone Paolo De Chiesa di Cuneo e in quello femminile Anna Valle di Asti.
Alle Olimpiadi giapponesi si arriva passando attraverso una crisi della Federazione, la scoperta del fondo di massa con la prima Marcialonga e lo sfascio progressivo della grande squadra. Il giorno 11 aprile 1970, vigilia dell’assemblea federale, arrivano a sorpresa le dimissioni del presidente Conci proprio a metà del mandato quadriennale; gli subentra il vice presidente di sede Omero Vaghi, milanese. Un galantuomo che allo sport ha dedicato tutta la vita e che, forte della sua esperienza, riesce a calmare acque ormai da tempo agitate.
La tempesta, per quanto riguarda il fondo, è solo rinviata di due anni. Nella squadra nazionale il clima è teso ormai da tempo in quanto ci sono atleti, quelli sposati specialmente, che contestano la disciplina imposta da Nilsson ma anche la conduzione del direttore tecnico Strumolo (nella foto con il pugile Carnera). Si arriva alle Olimpiadi fra alti e bassi. Nones che è intenzionato ad abbandonare poiché la tracheite ormai cronica gli impedisce di allenarsi e di gareggiare ad alto livello, viene convinto a partecipare ai campionati assoluti con i quali la Guardia di Finanza celebra, a Predazzo, il cinquantenario della sua Scuola Alpina. Mattatore di questi assoluti risulta Elviro Blanc, che vince 30 e 50 km, ma in un sussulto di orgoglio Nones si impone nella 15 km. Con la neve che gli piace, trova una delle sue grandi giornate e non ce n’è per nessuno. Il che, implicitamente, fa rientrare i propositi di rinuncia e lo rimette in corsa per Sapporo.
Ma alle Olimpiadi 1972 arriva una squadra ben diversa da quella di Grenoble: il gruppo si è sfaldato, non c’è più la stessa convinzione e sono venute meno tante motivazioni. In parole povere, troppi atleti appagati di quanto avevano già raccolto e gli eventuali sostituti non ancora pronti, almeno sul piano psicologico, a ricostruire la squadra dalle fondamenta. Per la prima volta, dopo tanti anni, la trasferta in Svezia si conclude prima di Natale, in modo di consentire ai fondisti di passare le feste in famiglia; Nones e Stella vengono autorizzati ad allenarsi da soli e questo provoca altri malumori.
La spedizione di Sapporo nasce e si presenta in un modo estremamente variegato e fra le polemiche. Sci alpino con una forte squadra maschile ma in subbuglio in quanto viene lasciata a casa la squadra femminile; non partono neppure i saltatori ma in compenso viene schierata per la prima volta la squadra di biathlon. Quanto alle fondiste, manco parlarne: il fondo femminile per altri 10 anni è destinato a rimanere nel limbo.
Queste Olimpiadi passano alla storia per le medaglie di Gustavo Thoeni (oro in gigante e argento in speciale), per la scoperta di Willy Bertin nel biathlon (sedicesimo nella 20 km ma in corsa per l’oro fino all’ultima fatale serie di tiri) e per il crollo definitivo della “grande squadra” che affonda sulla neve giapponese. Il miglior piazzamento è il 20° posto di Elviro Blanc nella 30 km di apertura, la staffetta è nona, Nones solo 40° nella 15 km. In questa gara i giovani Favre e Biondini, all’esordio, 24° e 27° rispettivamente, con Gianfranco Stella 29°. Peggio di così ….
Ce n’è dunque abbastanza perché l’intero settore venga messo sotto processo al rientro. Critiche da parte della stampa, che dopo Grenoble aveva cominciato ad interessarsi maggiormente del fondo e che aveva trovato nuovi spunti di interesse dalla nascita del fondo di massa dopo la Marcialonga del 1971, guerra aperta in Federazione.
Da anni il Comitato leader, quello delle Alpi Centrali, aveva avviato una lotta neppure tanto sotterranea contro la gestione Strumolo-Nilsson attraverso Mario Azittà (nella foto), responsabile del fondo giovanile, e il disastro olimpico costituisce la miglior occasione per un ribaltamento della situazione. Un “golpe” attuato con l’assemblea federale di fine giugno a San Pellegrino Terme che riconferma la presidenza di Omero Vaghi ma contemporaneamente estromette dal consiglio il colonnello Lorenzo Cappello delle Fiamme Oro e il ten. col. Carlo Valentino delle Fiamme Gialle. Un’operazione subdola, irrazionale, assurda, in quanto vengono presi di mira proprio i due corpi militari che forniscono allo sci alpino e nordico la stragrande maggioranza degli atleti. Una rivoluzione che, nella malintesa intenzione di ovviare a sicure carenze, provoca, almeno al fondo, danni irreparabili. Salta Strumolo e, con lui, anche Nilsson al quale non viene rinnovato il contratto, e si improvvisa una direzione agonistica mandando allo sbaraglio Battista Mismetti (nella foto), già responsabile del biathlon, al quale si affida anche il fondo con il giovane allenatore norvegese Roar Hoidal. Bravo ma inesperto, in quanto la sua attività fino a quel momento era stata limitata al Comitato Alpi Centrali, viene affiancato da Gianfranco Stella e Giulio De Florian, con il maestro dello sport Ubaldo Prucker come preparatore atletico. Coordinatore del settore tecnico giovanile è Umberto Macor e Dario D’Incal è il preparatore atletico.
Bravi ragazzi, questi due maestri dello sport, ma senza esperienza specifica perché provenienti da tutt’altra disciplina. Fortunatamente imparano presto e bene. Prucker, infatti, diventerà subito il braccio destro di Mismetti e in seguito lo sostituirà nella direzione agonistica del biathlon. Lo stesso farà D’Incal che affianca Macor fino alle Olimpiadi di Innsbruck nel 1976, per diventare poi allenatore insieme a Biondini e a Demetrio Rela, la triade che porta avanti il fondo fino all’ottobre 1980. A questo punto arriva l’allenatore finlandese Wille Sadeharju, “coach” della squadra giovanile del suo Paese, che Nones ha consigliato al direttore agonistico Azittà il quale, dopo la serie di disfatte, aveva dato la dimissioni ma che il presidente Gattai aveva poi confermato. Quello che fa specie, in tutto questo marasma, è che si sia rinunciato in partenza al prezioso apporto di Rizzieri Rodeghiero, e questa è stata una decisione grave, sicuramente controproducente, che dà l’esatta dimensione del disorientamento generale. Il Rode (nella foto con il figlio Giuliano e due atleti sovietici), infatti, pur con tutti i suoi difetti, sarebbe potuto risultare fondamentale non solo per le scioline di cui era da anni artefice invidiato da tutto il mondo, ma anche come istruttore. In compenso si registra un passaggio di allenatori e tecnici da una squadra all’altra, fra promozioni e declassamenti, che basta da solo a confermare come tutto il settore sia finito nel marasma più completo.
Si va creando solo una gran confusione. Si naviga a vista, per improvvisazione del momento, non c’è una programmazione né a breve né a lungo termine, e neppure un punto di riferimento preciso. Giovani interessanti vengono lasciati soli, mandati quasi allo sbaraglio. Parafrasando un vecchio detto popolare, nella fretta di cambiare tutto, con l’acqua sporca si è buttato via anche il bambino che si trova nel bacile. E questo proprio nel momento in cui il fondo si avvia a diventare quel fenomeno di massa che, come le corse non competitive, avrebbe rivoluzionato le abitudini di un Paese che, ai santi, ai poeti e ai navigatori per i quali fin qui è conosciuto, ora può aggiungere anche i fondisti e i corridori.
Gli sport di resistenza e di fatica diventano di moda, con conseguenze che si riflettono sulle abitudini della gente e anche sui mercati. Prima degli anni ’70, infatti, il fondo era riservato a poche centinaia di agonisti; trovare l’attrezzatura era praticamente impossibile al di fuori delle vallate dove questa disciplina veniva praticata. A Milano, tanto per fare un esempio, un solo negozio, quello di Colombo in Corso Buenos Aires, trattava sci da fondo. Importava Jarvinen; perché arrivassero i Karhu, si sarebbe dovuto aspettare che Nones si mettesse in commercio. Nelle stazioni invernali non c’erano neppure le piste dove un turista potesse farsi una sgambata in quanto la battitura meccanica, dove esisteva, era limitata all’impiego di una motoslitta munita di tracciatore. Di norma la battitura veniva effettuata, con gli sci, dagli stessi atleti, e ne approfittavano poi anche i pochi fondisti turisti.
I risultati di questa gestione “folle” si riscontrano immediatamente ai Mondiali di Falun nel 1974 dove la squadra arriva senza medico. Personaggio sconosciuto ai fondisti: evidentemente si riteneva non ne avessero mai bisogno. Per fortuna alla compagnia si aggrega all’ultimo momento, quasi per compassione, il dott. Angelo Quarenghi, appassionato fondista che era stato medico dell’Inter e collaborava anche con la FISI. In pratica si salva solo Tonino Biondini (nella foto), con un ottavo posto che, considerate le condizioni in cui è stato ottenuto, costituisce sicuramente un grande risultato. Renzo Chiocchetti è 23° nella 15 km e 31° nella 30, gli altri oltre il 40° posto. La staffetta finisce ottava. Un episodio, che merita di essere raccontato, può dare la misura della confusione e del pressapochismo di quel periodo. La dietetica sportiva è del tutto ignorata dagli atleti; l’alimentazione appropriata è un optional che ognuno si adatta a proprio piacimento. La sera della vigilia della 50 km qualcuno prospetta l’opportunità di una spaghettata per incrementare, con i carboidrati, i depositi di glicogeno nel fegato e nei muscoli. Ma proprio gli atleti impegnati la mattina successiva nella gran fondo sono i primi a rifiutare. Preferiscono la carne.
Tempi duri, dunque, per il fondo azzurro. Risultati mortificanti che deprimono gli atleti invece che indurli a reagire per cercare una rivincita. Non riescono a capacitarsi delle differenze che si riscontrano fra le gare internazionali, dove ottengono normalmente buoni piazzamenti e anche qualche vittoria, e i Mondiali e le Olimpiadi dove si vedono pesantemente battuti da avversari, non solo nordici, che fino a quel momento erano rimasti dietro di loro. Sanno perfettamente che campioni si diventa, non ci si improvvisa. Se si verifica questo salto di qualità, lo si può spiegare soltanto con apporti esterni alla normale preparazione, che di colpo porta sul podio atleti che finora ne erano rimasti abbondantemente ai margini. Finlandesi e tedeschi orientali in particolare. Ricorso all’aiuto della medicina e della chimica. Manipolazioni del sangue, uso di ormoni che prendono il posto dei normali eccitanti usati fino ad allora. E’ già capitato nell’atletica leggera, capita nel fondo e succederà nel nuoto. Quello femminile in particolare.
La differenza, dunque, non sono più le gambe a farla, ma la scienza, il cui apporto è sempre stato del tutto marginale nel caso dei nostri fondisti che i farmaci e le iniezioni li hanno sempre guardati con giustificato sospetto. Come è stato nel caso di Sapporo dove il CONI ha mandato più medici che non sciatori in un ambiente, come quello del fondo, dove certe pratiche erano fino allora sconosciute. Con la sola eccezione delle pastiglie di vitamina C che l’Esercito forniva a Stella e di cui si servivano anche i compagni di squadra. Ovviamente si preferiva, quando si riusciva a trovarlo, e al Nord non era semplice, qualche bicchiere di vino buono.
Malgrado tutto questo, la mancanza di assistenza, la disorganizzazione e la tante, troppe carenze anche in fatto di materiali e di tecnologia, qualche passo in avanti si riesce a farlo. Restiamo comunque sempre tagliati fuori dalle novità che vengono sfornate dalle aziende di sciolina che non siano la Rode. La Swix, infatti, privilegia i nordici e per un certo tempo snobba i nostri tecnici che fanno ugualmente miracoli con la dotazione di cui sono in possesso, valida per temperature sopra e sottozero ma non quando la neve è umida e la temperatura è attorno allo zero. E la differenza, alle Olimpiadi di Seefeld, nel 1976, oltre che i nuovi attacchi Adidas che facilitano e prolungano l’effetto della spinta, la fa anche la blu extra, ultimo ritrovato Swix, che noi non avevamo. Ci si deve arrangiare miscelando la gialla, che in condizioni del genere si rivela un semplice palliativo. Di qui il ritiro di Primus, Biondini, Favre e Kostner nella 50 km, e il 7° posto di una staffetta che si poteva concludere sul podio se Renzo Chiocchetti non avesse clamorosamente fallito la prima frazione, considerato che nelle successive Biondini, Kostner e Capitanio sono autori di prestazioni eccellenti. Un errore inconcepibile, quello del “Gnaccio” di Moena: al momento di punzonare gli sci ne ha preso un paio sbagliato, non sciolinati (o sciolinati con una sciolina sbagliata) al posto di quelli già provati per la gara. Ha concluso la frazione penultimo, con un distacco irreparabile; dietro di lui era rimasto solo un turco. Una jattura vera e propria, tanto più se si pensa che, in quell’occasione, l’allenatore Macor e il tecnico Longoborghini avevano trovato una sciolina perfetta per quel tipo di neve.
La situazione non migliora di granché negli anni immediatamente seguenti. Nel ’77 si aspetta un allenatore sovietico, che non arriva, e D’Incal, restato solo, si trova a fare un po’ di tutto. Biondini, infatti, ha dovuto essere ricoverato all’ospedale in quanto gli è stato riscontrato un male incurabile che lo avrebbe portato a morte un paio d’anni dopo l’intervento chirurgico che in un primo tempo sembrava aver risolto il problema. Impegno in triplice veste per D’Incal (nella foto): allenatore, preparatore atletico e anche skiman perché deve dare una mano a Nando Longoborghini che, dopo avere ben operato come allenatore con le Alpi Centrali, ricopriva lo stesso incarico con la Nazionale juniores. Un acquisto prezioso poiché il “Longo”, che è innanzitutto un mago delle scioline, riesce ad instaurare un proficuo rapporto con i tecnici di Spalding e Maxel, due aziende del Pool, collaborando nello studio e nella preparazione di sci da gara che contribuiscono a ridurre il divario tecnologico. Kostner sta tirando le ultime bordate, Primus dopo la malattia non è più lo stesso: Alterna grandi prestazioni a prove mediocri.
Il più forte del momento è Giulio Capitanio, che ottiene anche una vittoria e piazzamenti prestigiosi in Coppa del Mondo, ma è l’ingresso in squadra di Maurilio De Zolt, “scoperto” da Stelio Busin, che contribuisce a rivitalizzare la squadra. Maurilio è un vigile del fuoco bellunese che normalmente in staffetta vince il lancio per la propria formazione. Piccolo di statura, ma con grinta e energia da vendere. Arriva in nazionale che ha già 26 anni e subito vince la 50 km e si piazza secondo nella 15 dietro Primus, che si impone anche nella 30 km. Non è certo un modello di stile, ma la frequenza dei suoi passetti è estremamente redditizia. Farà ancor più la differenza quando la tecnica classica evolverà nello skating, passando per la mezza pattinata introdotta nelle gare di Coppa del mondo dall’americano Bill Koch. In salita è un fulmine che lascia il segno; anche all’estero cominciano a temerlo.
In prospettiva Mondiali di Lahti, il 1978 induce ad un certo ottimismo dopo anni di magra assoluta. Ma a Lahti spunta a sorpresa il polacco Luszczek a rompere il dominio dei nordici e dei sovietici, mentre gli italiani non decollano. Di Capitanio il risultato migliore, un 14° posto nella 30 km. La staffetta è addirittura 11a. Né va meglio due anni dopo alle Olimpiadi di Lake Placid dove pure gli azzurri si presentano in condizioni ritenute ottimali. In particolare Capitanio e De Zolt vanno alla grande e lo dimostrano durante il periodo di acclimatamento effettuato nel Quebec. Arrivano primo e secondo in una gara-test alla quale partecipano i migliori atleti statunitensi e il francese Pierrot, che finiscono lontani. Sei giorni dopo nella 30 km che apre i Giochi, vince Zimjatov e Pierrat è buon quarto; De Zolt solo 20° e Capitanio ancora più dietro, 27°. Piazzamenti che non migliorano nelle gare successive, mentre nella staffetta, dove trionfano i sovietici davanti a norvegesi e finlandesi, l’Italia è sesta.
Pochi giorni dopo, in Val di Sole, Capitanio ritrova i sovietici che l’hanno battuto e riprende a vincere. Ha dalla sua il fattore campo, ma questo non basta a spiegare la disfatta americana. Nel momento dei grandi appuntamenti, evidentemente, c’è qualcosa che non funziona, ma questo non può dipendere esclusivamente da problemi caratteriali di fronte alla responsabilità di fare risultato in un Mondiale o alle Olimpiadi. Problemi che indubbiamente ci sono, che si ripresentano ciclicamente ma che riguardano soltanto i nostri fondisti e non gli avversari che in effetti riescono sempre a fare il salto di qualità fino a quel momento impensabile. E’ capitato ai tedeschi orientali e in seguito a tanti altri che evidentemente hanno trovato il giusto rimedio in quelle manipolazioni del sangue di cui gli azzurri non hanno finora saputo trovare la strada. E’ solo questione di un altro anno di attesa poiché anche in FISI, come in altre Federazioni, sta per fare ingresso il prof. Francesco Conconi (nella foto), cattedratico di biochimica applicata all’università di Ferrara. Scienziato, programmatore e preparatore. L’artefice delle tante medaglie che verranno dalla metà degli anni ’80 in poi.