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Storia del Fondo maschile – Cap.4

La grande squadra di Nilsson

 

E’ una grande squadra quella dei fondisti che Nilsson (a destra) si trova fra le mani. Si è appena defilato Federico De Florian, il fondista più titolato fino a quel momento, e il più anziano è Giuseppe Steiner con i suoi 31 anni. Gli altri sono Pompeo Fattor (27), Antonio Schenatti e Livio Stuffer (25), Alfredo Di Bona e Giulio De Florian (24), Franco Imboden, Eugenio Mayer, Eugenio Martinelli e Gianfranco Steiner (22). Il più giovane è Marcello De Dorigo, che di anni ne ha solo 21, unico assente al primo raduno in quanto impegnato al corso sottufficiali della Finanza. Alle loro spalle, fra gli atleti juniores, stanno emergendo Franco Nones e Mario Bacher. Un materiale umano eccezionale, che B.H. Nilsson, ottimo psicologo e sagace preparatore, trasforma in un gruppo compatto di amici-avversari che sottoporrà ad un allenamento che si sviluppa praticamente senza soluzioni di continuità per tutti i dodici mesi dell’anno, con sport alternativi alla consueta routine fra sci, corsa  e un poco di skiroll, con attrezzi che non raggiungevano certo l’efficacia di quelli attuali.

Il fondo estivo sui ghiacciai ancora non era praticato. Per finalizzare la preparazione, Nilsson anticipa l’inizio degli allenamenti su neve con la trasferta in Scandinavia dove l’innevamento si verifica in anticipo rispetto alle Alpi e dove ci si può allenare a quote minori (3-400 metri contro 1500 e oltre), il che significa poter compiere più chilometri con minor dispendio di energia. In più a Volodalen  i nostri fondisti trovano i nazionali svedesi, con i quali possono confrontarsi in fatto di tecnica e di capacità individuali. Chilometri dietro chilometri, in ogni condizione di tempo, con “richiami” di tecnica individuale e l’effettuazione dei passi senza l’uso dei bastoncini che Nillson impone a tutti, senza alcuna eccezione. Metodi tuttora validi, ma che i campioni d’oggi sottovalutano….. Questa trasferta normalmente si protrae fin dopo l’Epifania, concludendosi con un ciclo di 8-10 giorni di attività agonistica contro i migliori scandinavi, per rientrare in Italia già rodati: infatti ci sono da affrontare immediatamente i concorsi a Le Brassus in Svizzera e a Les Rousses, in Francia, che aprono la stagione internazionale, e subito dopo la Kurikkala che, normalmente, viene preceduta dagli assoluti che determinano la soluzione degli azzurri che verranno schierati nella 15 km e nella staffetta, affiancati dai tre juniores nella 10 km. In gara ogni 3-4 giorni, uno stato di forma che, con i metodi dell’allenatore svedese, gli azzurri sono in grado di mantenere per 3 mesi, senza scadimento di livelli. Una programmazione a breve e lungo termine. Le vittorie verranno; come primo passo è importante, specialmente dal punto di vista psicologico, ridurre all’ambito dei secondi quei distacchi che si contavano prima a minuti nei confronti dei grandi atleti del Nord e sovietici. E cioè dare ai fondisti azzurri la consapevolezza di potersi misurare ad armi quasi pari con atleti fino a quel momento giudicati irraggiungibili.

Ed è a Cogne, che a fine gennaio 1961, la Kurikkala chiude il suo primo ciclo decennale con il successo dell’Italia che piazza Steiner  al 2° posto nella 15 km, dietro lo svedese Olsson che è fuori classifica, ma davanti a Rysula, uno dei big centroeuropei. Nella staffetta i primi due posti  alle squadre italiane formate dai fondisti reduci dalla Svezia, e nei 10 km juniores successo di Nones che batte Bacher di soli 6 secondi. In questa occasione si fanno valere anche Elisabetta Astegiano e Lorenzina Guala, rispettivamente seconda e terza nei 10 km. Con questa vittoria di squadra, la settimana sulle dieci edizioni disputate, la Coppa Kurikkala viene definitivamente assegnata all’Italia.

Pure negli assoluti il dominio degli azzurri è scontato: Steiner si impone nella 15 km, De Florian nella 30 km e nella granfondo di 50 km, mentre la staffetta va alle Fiamme Oro che buttano nella mischia Franco Manfroi, ancora junior, affiancandolo ai più esperti Schenatti e Martinelli.

E anche l’annuale concorso internazionale di sci del CISM (Consiglio Internazionale dello Sport Militare) è appannaggio di un azzurro, Livio Stuffer, che nella prova individuale (un percorso di fondo di 13 km , intervallato da due prove di tiro e uno slalom di 2 km con un dislivello di 350 metri) rinnova il successo ottenuto a Bardonecchia 3 anni prima, mentre la pattuglia (Mismetti, Stuffer, Ossi e Dalmasso) finisce quinta nella gara di 25 km con tiro vinta dalla Svezia.

Ci sono tutte le premesse per guardare con ottimismo ai Mondiali in programma a Zakopane nella seconda metà di febbraio del 1962 ai quali gli azzurri arrivano caricati dal duro lavoro effettuato in Svezia, preceduto durante l’estate e l’autunno da periodi di preparazione fatti con la nazionale e non con le rispettive società come era avvenuto l’anno precedente a causa di problemi finanziari della Federazione. Si vince ancora la Kurikkala con Giulio De Florian nella 15 km e le staffette italiane prima e terza; gli atleti della squadra dominano poi gli assoluti (15 km a De Dorigo, 30 km a De Florian e staffetta alle Fiamme Gialle (De Dorigo, De Florian e Nones) e si parte per la Polonia con la certezza di essere competitivi. La conferma arriva il 18 febbraio, nella 30 km che apre i Mondiali, quando Giulio De Florian (nella foto) si esalta nella tormenta di neve e ottiene un risultato eccezionale, suscitando l’ammirazione e il rispetto dei nordici: terzo a 33 secondi dal finlandese Maentyranta  e a 22 dallo svedese Stefansonn, ma lasciandosi alle spalle “miti” del calibro di Jernberg , Hamalainen, Hakulinen, ma anche astri nascenti come Vaganov, Groenningen e Roenllund. Lo svedese vince la 15 km e il “Giulietto”, settimo a poco più di un minuto e mezzo, è ancora il migliore dei nostri, mentre Steiner arriva 8° nella 50 km dominata da Jernberg, ma con un distacco di soli 3 minuti e mezzo, quando in precedenza i minuti di divario venivano conteggiati a manciate. Nella staffetta, vinta dalla Svezia, l’Italia è quinta a tre minuti e mezzo dalla Svezia, che vince, ma lascia a quasi 6 minuti la Francia, prima delle nazioni centroeuropee.

Il 1963 inizia sotto i migliori auspici. A Le Brassus Marcello De Dorigo si impone nella 15 km, con lo stesso tempo del finlandese Oikarainen, e Nones, buon quarto, gli è a ridosso. Con Franco Manfroi, i due azzurri si aggiudicano anche la staffetta, lasciando finlandesi e svedesi a mezzo minuto; quarta e quinta altre due staffette italiane, che superano la Norvegia e le altre nazioni centroeuropee.

Va ancora meglio a Seefeld, dove lo schieramento per le prove preolimpiche è al gran completo. De Dorigo (foto a sinistra), secondo nella 30 km dietro il norvegese Oesbye, stupisce il mondo del fondo battendo, nella 15 km, gente del calibro di Olsson, Hiermstad, Persson, Groenningen, Jernberg, Roennlund, Vaisanen, Tiainen e Kolchin. Un successo che gli merita la copertina della Domenica del Corriere e che, a livello di squadra, viene ribadito alla Kurikkala, che si disputa ad Asiago, dove Nones vince la 15 km battendo il tedesco Demel e De Dorigo, e si impone anche nella staffetta con lo stesso De Dorigo, Gianfranco Stella e Steiner, mentre la 10 km juniores è appannaggio di un altro Stella, Aldo, pronto anche lui per la nazionale. Tutti nomi che si ritrovano sul podio dei campionati assoluti che si svolgono al Nevegal: De Dorigo è primo nella 30 km e nella staffetta con Aldo Piller e Nones, mentre Steiner si impone nella 15 km.

La bontà dei metodi di Nilsson trova puntuale conferma anche nel prolungamento agonistico della stagione da marzo ad aprile: in un circuito di gare minori al nord della Scandinavia arriva una serie di prestigiosi piazzamenti. E questo sta a dimostrare, oltre alla possibilità di mantenere condizioni di forma ottimali per tre mesi abbondanti, la singolare filosofia di vita del grande allenatore svedese che considera queste trasferte al di là del Circolo Polare Artico un impegno agonistico ma anche la migliore occasione per viaggi istruttivi.  Nel bel mezzo della fase di  “scarico” della tensione accumulata nella stagione agonistica ad alto livello, gli atleti possono godere, contemporaneamente, di un momento di fraternizzazione e di scambio di idee sui problemi di allenamento con i più titolati avversari nordici. Ricordi bellissimi che, una volta lasciato lo sport attivo, avranno altrettanto valore delle medaglie conquistate.

Si aspetta dunque Insbruck con la quasi matematica certezza che la IX edizione dei Giochi olimpici, in programma dal 29 gennaio al 9 febbraio 1964 riconfermi, con qualche altro exploit di De Dorigo, anche la forza complessiva del gruppo. Attese e calcoli vanificati purtroppo da una caduta  in cui De Dorigo incorre in una delle gare che si effettuano durante il periodo di allenamento in Svezia, fra Natale e Capodanno. Una 30 km nel paese di Sixten Jerberg, sull’anello che il grande campione svedese si era costruito si misura per testare le proprie condizioni. Un tracciato duro, un susseguirsi di salite secche e picchiate brevi e tecnicamente impegnative dove occorre una gran padronanza degli sci. In una di queste discese, che si conclude con la curva ad angolo stretto, Marcello esce di pista e va a sbattere contro una pianta. Si rovina la faccia e riporta una gran botta all’anca destra. Arriva ugualmente al traguardo ma ha il viso talmente coperto di sangue che la ragazza in costume addetta al ritiro del pettorale scappa inorridita. Si trascina le conseguenze per tre settimane, tanto che non riesce neppure a mettere gli sci e perde quindi quell’allenamento di qualità che avrebbe dovuto portarlo in gran forma all’appuntamento olimpico. Ancora oggi, a quasi 40 anni di distanza, avverte quel dolore che gli è rimasto nelle ossa.

A Innsbruck De Dorigo è l’ombra del campione che aveva dimostrato di essere l’anno precedente. Si butta nella mischia, è il primo degli italiani ma solo 14° nella 30 km vinta da Maentyranta; fra i centroeuropei viene battuto dal tedesco Demel, decimo. Delude anche nella successiva 15 km, dove è l’ultimo della squadra, mentre Nones, il primo, si classifica al decimo posto. All’oscuro del male che si porta ancora addosso, si pensa e si scrive che De Dorigo abbia “patito” la responsabilità del risultato che tutti, lui compreso, si aspettavano, ipotesi avallata dall’ottima prestazione ottenuta invece nella staffetta dove la nazionale italiana arriva quinta, a 2 minuti e 40 secondi dalla Svezia che precede Finlandia, Unione Sovietica e Norvegia. Una gara in cui la responsabilità non è più individuale ma va divisa equamente con i tre compagni di squadra. Al sesto posto c’è la Francia, ma 5’14” dall’Italia. Nella 50 km, vinta dal grande specialista Jernberg, Stuffer arriva 13°, primo dei centro-europei.

 Il previsto salto di qualità viene dunque rimandato a migliore occasione, ai campionati mondiali in programma di lì a due anni sulle nevi di Oslo. Ma a questo appuntamento De Dorigo non arriverà: nella successiva stagione invernale, che per quanto riguarda la Fisi è caratterizzata dalla nomina a presidente dell’ing. Mario Conci, con Omero Vaghi, Costanzo Picco e Lamberto Cimini nel ruolo di vice presidenti, Marcello si vedrà troncata la carriera da un assideramento riportato dopo aver perso la strada ed essere rimasto in giro per i boschi, tutta la notte, a 22 sottozero, durante un allenamento solitario sulle piste di Volodalen . Un avventura allucinante di cui si parla a parte, nel suo “ritratto”.

Con lui la nazionale perde il primattore ma, contemporaneamente, acquisisce un Nones in forma strepitosa che ne ricalca le orme, primo italiano a vincere al Nord in più di un’occasione. La prima volta  il 2 gennaio 1965, ad Aeldvalen, nella “Starklitt”che con i migliori esponenti svedesi vedeva presente anche il norvegese Groenningen. Poi  per due volte a Kuopio dove, tanto per fare un esempio, nella stagione olimpica 2001-2002 che pure ha visto 5 medaglie italiane, nella gara di apertura della Coppa del Mondo i norvegesi hanno piazzato nove uomini ai primi nove posti della classifica. Una specie di campionato sociale. Quella del 1964-65 è una stagione a cavallo fra Olimpiadi e Mondiali, e quindi priva di grandi appuntamenti internazionali. Il rendiconto lo si fa agli assoluti di Asiago, che vedono Nones dominare 15 e 30 km e imporsi anche nella staffetta con la formazione delle Fiamme Gialle insieme ad Aldo Piller e Giulio De Florian. Quest’ultimo, a fine marzo, vince la gran fondo a Madonna di Campiglio. E’ un anno comunque da ricordare per l’apparizione, sulla scena agonistica, del Centro Sportivo Forestale che in Mario Bacher ha il suo elemento di punta.

I Mondiali di Oslo vengono preparati con una cura particolare. Ad un primo periodo di allenamento su neve in luglio al Colle del Gigante, ne seguono quattro di preparazione atletica. Ancora neve in quota nella prima quindicina di novembre, e il 21 partenza per l’ormai consueta trasferta a Volodalen dove, con gli svedesi, trovano anche francesi e sovietici che, evidentemente, copiano il sistema di preparazione di Nilsson.

Sulle piste di Holmenkollen la rivincita delle Olimpiadi avviene nella staffetta 4×10 km. Il quartetto composto da Giulio De Florian, Franco Nones, Gianfranco Stella e Franco Manfroi si classifica al terzo posto, preceduto da Norvegia e Finlandia, ma lasciandosi dietro Svezia e Unione Sovietica. E’ il primo podio di squadra in presenza di un campo di concorrenti del massimo livello, dopo il terzo posto del “Giulietto” nel 1962 a Zakopane; manca solo la medaglia d’oro individuale, che puntualmente arriverà, due anni dopo, alle Olimpiadi di Grenoble, che legittima la progressiva ascesa di Franco Nones fra gli “eletti” del fondo. Due anni di attesa durante i quali in Trentino-Alto Adige, sulla spinta del dott. Claudio Battisti, consigliere Fisi addetto al fondo, nasce la “Settimana Internazionale del fondo”: tre gare fra Castelrotto, Ronzone (dove Battisti sarà anche sindaco) e Folgarida-Dimaro. Una manifestazione che si propone come incontro ad alto livello, in apertura di stagione, fra centroeuropei e nordici, e che è dominio dei norvegesi: Bekkemellen nella 12 km di Castelrotto, Martinsen nella 18 km di Ronzone, e nella staffetta che vede al terzo posto la formazione italiana (De Florian, Nones, Manfroi), mentre Mario Bacher è secondo a Ronzone.

Quelle di Grenoble sono le Olimpiadi del trionfo di Nones ma, contemporaneamente, del declino della squadra azzurra come complesso. Il giocattolo, logorato da decine di migliaia di km di allenamento, gare e trasferte in ogni parte del mondo, si sta ormai sfilacciando. Gli atleti, al di là di qualche innesto come Blanc, Serafini ed Aldo Stella, sono più o meno gli stessi, ma il gruppo è avviato alla rottura. C’è meno armonia e si avvertono sintomi di indisciplina. Qualcuno si è sposato e, al di là di Nones, che in Svezia si trovava tanto bene da trovarvi pure la moglie Inger che lo affiancherà nella sua fortunata carriera da imprenditore, sopportano a gran fatica la lontananza dalle famiglie durante le feste natalizie. Gianfranco Stella in particolare. Una stanchezza psicologica che Nilsson, pur con tutta la buona volontà e disponibilità, non riesce più a tenere sotto controllo.

Il gran giorno arriva il 18 febbraio 1968, con la 30 km che apre i Giochi appena inaugurati dal presidente De Gaulle all’insegna della consueta “grandeur” francese. Nones vince in maniera strepitosa, come descriviamo nel suo ritratto, ma contemporaneamente pregiudica il seguito della sua carriera. Il suo successo “storico” ha attirato verso il fondo l’attenzione anche di quei giornalisti che fino a quel momento non si erano mai curati di questa disciplina. Dopo l’arrivo resta esposto al freddo per troppo tempo e si becca una tracheite che ne anticipa la fine agonistica e di cui ancora oggi si trascina le conseguenze. Quasi nessuno si accorge che De Florian, partito dopo di lui, si è inserito al quinto posto di una classifica di grandissimi. Due prestazioni che facevano prevedere una 15 km altrettanto entusiasmante e un’altra staffetta da sogno. Purtroppo non è così.  Tre giorni passati fra festeggiamenti e interviste contribuiscono ad aggravare invece che migliorare il malanno di Nones che nella 15 km finisce addirittura 46°, a oltre 4 minuti da Groenningen, e coinvolge nel suo crollo anche i compagni di staffetta De Florian, Serafini e Aldo Stella. Sesti dietro non solo alle quattro nazioni leader (Norvegia, Svezia, Finlandia e Unione Sovietica), ma anche alla Svizzera. A risollevare un poco il morale provvede il 12° posto di Bacher nella 50 km a soli 2’48” dal vincitore, il norvegese Ellefsaeter.

Anche se nessuno è ancora in grado di prevederlo, perché a Grenoble il fondo italiano ha raggiunto il suo massimo risultato, è proprio qui che si chiude il ciclo di Nones e della “grande squadra” di Nilsson. Il crollo definitivo avverrà quattro anni dopo, ai Giochi di Sapporo, in Giappone, dove arriverà un gruppo fatto di atleti ormai demotivati e di giovani di gran classe ma senza gli attributi che avevano caratterizzato i loro immediati predecessori. Non saranno quindi in grado di reagire quando, dopo le Olimpiadi, verranno praticamente abbandonati a se stessi perché il settore fondo si sfascia e viene a mancare, per qualche anno, quella programmazione che era stata la sua forza fino a quel momento. Sarà l’inizio di un ciclo involutivo che riprenderà la fase ascendente solo nella seconda metà degli anni ’80 quando alla preparazione di carattere tecnico e organico si affiancherà l’apporto della scienza medica prima e biochimica in seguito.

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