E’ ancora una volta un favoloso Federico Pellegrino quello in pista sulle nevi di Trondheim a margine di uno spettacolare skiathlon dei Mondiali, chiuso alla fine al 5° posto. Brillante fin dalla prima parte di gara in classico, l’azzurro si è poi mantenuto nelle posizioni di testa anche nella seconda parte di gara, riuscendo a sfiorare il podio in volata, alle spalle di 4 norvegesi guidati dal fin qui imbattuto Johannes Høsflot Klæbo. Al termine della sua fatica, Pellegrino racconta ai microfoni di Giorgio Capodaglio, inviato di Fondo Italia a Granåsen, le sensazioni provate durante questa un’ennesima grande prova.
Quanto sei orgoglioso di te stesso oggi?
“Sono molto felice perché ho fatto ciò che dico sempre che devo riuscire a fare, ovvero leggere al meglio le condizioni della gara e mettere in campo il meglio che posso. Oggi ho fatto un super lavoro di testa, il fisico lo sapevamo già da qualche giorno che c’era. Anche nella sciata di ieri mi sono sentito molto ben recuperato rispetto alla gara di giovedì. Oggi avevo dei super sci, in classico stavo veramente da dio. Ma già ieri sera, quando ho visto che davano il vento verso le 14, con raffiche nella direzione opposta alle salita. Poi questa mattina mi ha chiamato Ronc Cella, il mio skiman, dicendomi che la neve era molto compatta. Anche mentalmente sono tutti elementi che cerco di prendere per auto caricarmi. Poi ovvio, a posteriori andrò a rivedermi non so quante volte l’ultimo chilometro e mangiarmi le mani per non essere riuscito a giocarmela meglio. Ma non immaginavo esattamente di poter arrivare in quel punto lì, a giocarmela in quel modo. Quindi è stato bello, una bellissima esperienza”.
Cosa faresti di diverso nel finale?
“Probabilmente andrei davanti nell’ultima salita. Prendendola in testa sicuramente mi avrebbe passato Klæbo, magari anche un altro, ma la curva l’avrei presa con la traiettoria che volevo. Invece mi sono trovato a dover prendere una traiettoria prima larga e poi stringere, trovandomi la porta chiusa all’interno e dover saltar fuori. Sembrava ormai persa, invece poi per 20 centimetri non ho portato a casa un altro argento. E’ stato veramente particolare e inaspettato. Ma è stato il sesto skiathlon della mia carriera, va bene così”.
Col senno di poi, pensi di aver rinunciato a tanto concentrandoti per anni sulle sprint, vedendo come rendi nello skiathlon?
“C’è anche da dire che uno skiathlon da 30 km è anche diverso da uno skiathlon di 20 km, è bene dirle queste cose. Però fa parte dello sport, nel momento in cui sono cambiate le distanze non è che io devo sparire dalle gare. Ho cercato di fare sempre del mio meglio e ho capito che questo tipo di gare erano sempre più alla mia portata. E’ un peccato non aver creduto abbastanza in me da questo punto di vista lungo tutta la carriera. Ancora due settimane fa ero in dubbio per lo skiathlon, invece qua viene fuori quello a cui serve un allenatore, già dalla Val di Fiemme mi ha convinto lui che questa poteva essere una gara dove potevo veramente fare bene. Mi ha lasciato aspettare di avere le sensazioni giuste negli ultimi lavori di avvicinamento e poi quando abbiamo visto i dati degli allenamenti che ho fatto, mi ha fatto capire che ero pronto. Quindi non dovevo temere nulla e provarci. Quando c’è qualcuno che ti aiuta a credere così in te stesso, diventa tutto molto più facile. E’ ovvio che bisogna anche imparare questo aspetto della vita dell’atleta, che è un aspetto difficilissimo e che però ho capito essere la chiave, fin da tanti allenatori fa”.
Adesso nel tuo programma olimpico c’è il rischio di dover rivedere qualcosa?
“Venti minuti fa ero a 185 battiti in gara, quindi da qui a pensare alle Olimpiadi… Sicuramente quello della Val di Fiemme non possiamo definirlo come un caso. Oltretutto mi sembra che su questo tipo di nevi non c’è male sulla resistenza, quindi molto bene così. Se ci penso? Vedremo. Se non sbaglio lo skiathlon è due giorni prima della sprint, quindi ci sarà da pensarci bene”.