“Due anni fa mi chiedevo se la mia carriera avesse un futuro, le mie coetanee erano in Coppa del Mondo ed io ancora no. Poi tra l’anno scorso e quest’ultima stagione mi sono presa le mie rivincite su questi dubbi”. Federica Cassol è stata senza dubbio l’atleta che ha fatto il salto più grande nell’ultima stagione, passando da “mai qualificata” in una sprint, addirittura a vincere due qualificazioni e anche ottenere la prima top ten in Coppa del Mondo, oltre ai due quinti posti nella team sprint con Ganz.
La valdostana del CS Esercito è apparsa sempre più convinta in sé stessa e nei propri mezzi, determinata ad alzare l’asticella gara dopo gara, restando però sempre molto tranquilla e finalmente certa che la Coppa del Mondo le appartiene.
Qualcosa di diverso in lei si era percepito già in estate, quando l’avevamo incontrata al Dolomiti Apart & Rooms durante il raduno a Passo di Lavazè, in un’intervista nella quale ci sembrava davvero molto determinata e convinta nel conseguimento dei propri obiettivi, con occhi diversi rispetto al passato, come se fosse avvenuto quel click mentale.
«È stato qualcosa quasi di inconsapevole, che mi ha anche stupita – ha ammesso Cassol a Fondo Italia – durante l’estate, parlando con Pasini e Cioffi, che erano i miei punti di riferimento, mi dicevano che ero pronta, perché a livello di mentalità e approccio agli allenamenti ero diversa. Forse a fare la differenza è stata la serenità che ho avuto nel corso di tutta la preparazione, dove, a parte una piccola influenza a Oberhof, sono sempre stata bene. Certo, da lì a dire che avrei fatto questa stagione, non lo avrei immaginato».
Cosa è cambiato in gara?
«Non me lo spiego. Forse, mi ha fatto bene iniziare il weekend di Davos con una team sprint, che mi ha mostrato che nei tempi di qualificazione c’ero. Il giorno dopo sono scesa in pista con maggiore serenità, non avevo l’agitazione degli anni scorsi. Devo anche ammettere che a livello di risultato, qualche rimpianto per Davos ce l’ho, perché stavo bene ma in batteria non sapevo come comportarmi».
Un problema di esperienza?
«Io riguardo sempre le mie gare, cercando di cogliere quei dettagli che magari quando sei nel centro dell’azione puoi perdere. Allora si vedeva proprio che ero lì a pensare più cosa fare che a osare. Purtroppo è successo più di una volta quest’anno nelle batterie. A Falun, lo stesso, era diventata quasi un’ossessione dover passare questi quarti di finale».
Semifinale che è finalmente arrivata a Lahti.
«Prima della gara avevo parlato con Renato (Pasini, ndr), che mi aveva consigliato magari anche di esplodere ma almeno di arrivare al traguardo consapevole di aver dato tutto, perché spesso sentivo di aver dato il 70%. Sai, finisce che ti ritrovi indietro, incastrata alle spalle delle altre. Sono tre minuti che passano veloci. A Lahti finalmente le cose sono cambiate, perché facendo questi tempi di qualifica e partecipando sempre alle batterie, che sono totalmente un altro sport, ho fatto maggiore esperienza. Alla fine puoi allenarti tanto, ma certe situazioni non puoi ripeterle in allenamento, certe cose le impari in gara».
Insomma, era tutto legato a partecipare con maggiore continuità alle batterie.
«Sono rimasta fuori otto volte ai quarti di finale, otto. Parlando con Chicco (Pellegrino, ndr), mi sono resa conto di quanto si veda l’esperienza degli atleti che sanno muoversi bene in quel contesto di gara, proprio in virtù delle tante occasioni in cui si sono trovati in determinate situazioni. Alla fine serviva solo pazienza ed è arrivata. Ogni volta poteva essere quella buona, me lo diceva anche Markus (Cramer, ndr), ma pure a Tallinn ero rimasta fuori nonostante mi sentissi proprio bene quel giorno. Per fortuna alla fine è arrivata, perché devo ammettere che, seppur avrei firmato alla vigilia della stagione per ottenere questi tempi di qualificazione, chiudere senza quella qualificazione alla semifinale mi avrebbe lasciato un po’ di amaro in bocca».
Un bel modo per andare in vacanza serena.
«A dire la verità, quel risultato mi ha messo ancora più fame. Il giorno dopo si è visto con quella bella team sprint con Cate. Insomma, nonostante avessi voglia di riposare, devo ammettere che avrei fatto ancora gare. Alla fine, però, dopo i CISM e gli Italiani, appena ho staccato mi è sopraggiunta tutta la stanchezza di un anno molto impegnativo, anche perché non ero abituata a tutti questi viaggi. Inoltre, in Coppa del Mondo non devi mai perdere la concentrazione ed essere sempre mentalmente al cento per cento. Alla fine anche quello stanca tanto».
Ne sembra passato di tempo, da quando ci incontrammo in estate poco meno di due anni fa e ci dicesti che il tuo obiettivo era ricevere la prima convocazione in Coppa del Mondo.
«Allora non era un periodo facile, perché ancora non avevo avuto l’opportunità di esordire. Sei lì da atleta, che ti chiedi se la tua carriera possa avere un futuro, mentre le tue coetanee sono in Coppa del Mondo e tu no. Poi nelle ultime due stagioni mi sono presa la mia rivincita su queste domande che avevo. Da lì è cresciuta la convinzione e di conseguenza anche la determinazione».
La cosa che mi colpisce, è che raggiunto un obiettivo riesci subito ad alzare l’asticella.
«Nelle ultime due stagioni ho visto che posso fare determinate cose, e un atleta, se è competitivo, non si accontenta. Inoltre sono ancora più convinta in me stessa perché so di non aver raggiunto il mio limite, ho ancora tanti aspetti sui quali posso migliorare».
Intanto a Lahti hai quasi rischiato di salire sul podio insieme a Caterina Ganz. Per l’Italia femminile sarebbe stato il primo dopo 14 anni.
«Sono rimasta impressionata dalla nostra prestazione. In qualificazione ci siamo un po’ tenute, perché abbiamo visto che è inutile spendere troppe energie in quella fase. Tanto la pista era larga e c’era spazio per passare, pur partendo dalla decima posizione. Alla vigilia della gara Cate aveva dei dubbi sulla sua condizione, dopo le difficoltà del giorno precedente, invece è stata fantastica e quando l’ho vista attaccare e darmi il cambio terza, sono rimasta impressionata».
A quel punto hai creduto davvero di salire sul podio?
«Quando ho fatto l’ultima curva e ho visto che ero lì, ci ho creduto fortemente. Ero anche uscita bene, poi mi sono toccata con Fähndrich e alla fine mi stono spostata. Ho sempre quell’immagine in testa, mi chiedo come sarebbe finita se avessi fatto diversamente. In realtà credo non sarei comunque riuscita a chiudere terza, perché ero stremata. Però anche questo finale mi ha insegnato un aspetto su cui devo migliorare».
Quale?
«Le altre atlete, in particolare le sprinter di alto livello, sanno anche essere prepotenti al punto giusto quando sono in pista. Quando rivedo le mie gare, noto che guardo troppo le altre, sto attenta, ho un occhio di riguardo. Invece, rispetto a me le altre sono più prepotenti, non hanno timore reverenziale. Vorrei imparare questo aspetto, anche perché poi ti guadagni un certo rispetto. Al di là che è sempre davanti, quante volte qualcuno salta sugli sci di Klæbo? Lui è sveglio e si tira fuori dalle situazioni, ma si è anche guadagnato un rispetto».
Quanto è stato importante aver anche lavorato con Monsorno, che già un anno fa era giunta in top ten, per dimostrarti che poi alla fine non eri lontana?
«Sicuramente lo è stato. Io e Nicole abbiamo caratteristiche diverse, ma quando ci si allena con un’atleta tua coetanea che ha già fatto top ten in Coppa del Mondo, si crea quella cattiveria agonistica positiva anche in allenamento e sale il livello».
Hai già pensato su quali altri aspetti migliorare?
«Nel corso della prossima estate, vorrei lavorare tanto sulla resistenza. Penso di avere già una buona base, perché l’anno prima di entrare in squadra avevo fatto buoni risultati nelle distance. So che però posso migliorare ancora su questo aspetto che, come giustamente mi ha sottolineato Cramer, aiuta anche nelle sprint e nelle team sprint, dove devi reggere un certo ritmo per più turni. Per il resto, l’obiettivo sarà avanzare più turni possibili, non è scontato entrare tutte le volte in semifinale, ma vedremo se arriverà anche una finale».
Certamente l’esperienza maturata quest’anno sarà utile.
«Quest’anno era tutto nuovo, dovevo scoprire ogni pista o tracciato, capire tante cose. Prima delle gare Chicco (Pellegrino, ndr) ci dava tante indicazioni sulle piste ed era per me utilissimo, perché in ognuna di quelle piste avrà gareggiato una decina di volte».
La presenza di Pellegrino è stata importante per te?
«Certo, Chicco è molto utile su diversi aspetti, lo vedi sempre focalizzato su certi dettagli, ai quali magari non avevi pensato. A Lahti, ho sciato un’oretta con lui e ho ascoltato tutto ciò che mi diceva, perché in un’ora ti tira fuori tante di quelle cose che nemmeno immagini. Se segui i suoi consigli, è difficile che sbagli. Ho notato che se vai li e gli chiedi consiglio, lui è solo felice di darli e ti parla con passione, da chi vuole veramente aiutarti».
Al termine di questa stagione, chi vuoi ringraziare?
«Inizio dai miei allenatori Renato Pasini e Giuseppe Cioffi, perché in estate mi sono allenata con grande serenità e questo ha aiutato tanto. Poi coloro che sono sempre al mio fianco, la mia famiglia innanzitutto, ma anche Alessandra Rigamonti e Paolo Carrara, che mi hanno sostenuta tanto. Ovviamente ringrazio il Centro Sportivo Esercito, Markus Cramer e il gruppo della nazionale che mi ha accolto benissimo. In Coppa del mondo, mi hanno affiancato come skiman Claudio Consagra, e lo ringrazio di cuore perché la sua presenza mi ha aiutato tantissimo».
Insomma, si è subito creato un rapporto di fiducia con lui?
«Si, mi ha trasmesso grande tranquillità. Non sono un’atleta che ha tanti problemi nella scelta dello sci, questo lo devo al Comitato Asiva e a Manuel Tovagliari che voleva scegliessimo da soli gli sci da utilizzare, magari anche imparando dai nostri errori. Alla fine io e “Consa” ci mettevamo dieci minuti a testare, ci fidavamo l’uno dell’altra, e se io ero convinta allora lo era anche lui, mi dava fiducia. Per questo motivo l’ho anche ascoltato tanto, perché magari quella volta che non ero sicura e volevo quel qualcosa in più di tenuta, lui mi invitava a fidarmi maggiormente di me stessa, di tenere un filino meno perché comunque ce l’avrei fatta a stare lì, per poi avere quel qualcosa in più in discesa. La sua esperienza ed umanità sono state davvero importanti».