La gioia è grande all’interno del team statunitense, quando, alla conclusione della sprint dei Mondiali di Lenzerheide, sul secondo gradino del podio sventola la bandiera a stelle e strisce. Il merito è da attribuire all’ottima prestazione di Campbell Wright, promettente atleta classe 2002, in grado di lasciare alle sue spalle atleti di primissimo livello, andando a prendersi la sua prima medaglia iridata. Cresciuto in Nuova Zelanda e naturalizzato statunitense, Wright può contare sul supporto di un team in gran parte italiano, tra allenatori, skiman e staff tecnico più in generale. Ecco perché, intervistato dall’inviato di Fondo Italia Giorgio Capodaglio, Wright può permettersi di saltare con discreta disinvoltura dall’inglese all’italiano, dando sfoggio anche di un carattere amichevole ed estroverso.
In mezzo ai tanti italiani che con lui condividono allenamenti, trasferte e ore di lavoro, Campbell Wright se sente decisamente a suo agio: “Tutta la squadra americana è piena di italiani – spiega il vice campione del mondo della sprint -, anch’io sento un po’ di Italia nel mio cuore. Passo tanto tempo a Livigno in inverno, quindi mi sento molto a mio agio in Italia. Anche in squadra mi sento bene perché sono tutti italiani e quindi è facile. Per me è una buona cosa, anche per tutto lo staff e gli skiman”.
Parlando poi della gara, l’americano racconta i momenti in cui si è reso conto di essere secondo: “Quando mi sono accorto di essere sul podio? Probabilmente quando Quentin (Fillon-Maillet, ndr) è arrivato. In quel momento ho pensato ‘O mio Dio’. E poi il fisioterapista mi ha detto che avrei potuto vincere una medaglia. Gli ho risposto di non dirmelo finché non fosse successo, era presto parlarne dopo 30 pettorali, in gara ce n’erano 100. Ma poi mi ha detto che l’avrei vinta davvero. Questo è il modo in cui l’ho scoperto ed è stato fantastico”.
Nel suo percorso di crescita, senza dubbio un momento di svolta è arrivato quando dalla stagione 2023/24 è passato a rappresentare la nazionale degli Stati Uniti, passaggio che ha segnato un cambiamento anche nel modo di allenarsi: “Sicuramente allenarmi con gli Stati Uniti ha fatto una grande differenza. Il loro piano di allenamenti e la quantità alla base del modo in cui si allenano è molto di più di quello che facevo prima. Prima avevo solo speranze e sogni, mi impegnavo al massimo e questo mi ha portato piuttosto lontano. Ma il loro piano di allenamento mi ha aiutato molto a migliorare nello sci. Si parla molto dei poligoni, ma se non scii veloce non serve a molto. Quindi direi che avere le giuste persone accanto a me, compagni e allenatori, ha fatto la più grande differenza”.
Spazio poi a un commento riguardo al suo compagno Maxime Germain, oggi protagonista di un ottimo 12° posto: “Maxime ha un grande potenziale. Mi alleno con lui praticamente in ogni sessione e quel ragazzo ha grandi capacità e un enorme potenziale e oggi ha finalmente dimostrato quello che può fare. Per lui riuscire a farlo ai Mondiali, con i suoi genitori qui è stato una favola”.
Infine, un commento sull’emozione di riuscire a battere atleti di primissimo livello come quelli lasciati alle spalle nella sprint iridata: “Penso che per me sia un po’ diverso, perché non sono cresciuto guardando il biathlon. Ovviamente so che questi atleti sono ‘pesci grossi’ e biatleti molto bravi. Ma specialmente mentre gareggio non sono molto preoccupato di quello che mi sta intorno e di quali nomi ci sono e cosa hanno fatto. Per me l’importante è cercare di essere competitivo, non guardo molto gli atleti che riesco a battere, perché non sono cresciuto guardandoli. Il biathlon non è uno sport molto diffuso in Nuova Zelanda e io ci sono arrivato tra i 15 e i 16 anni. Sicuramente è bello batterli, ma sono molto più felice di essere semplicemente competitivo”.