Sci di fondo | 21 agosto 2024, 14:33

Sinner, la positività al Clostebol e quelle differenze sostanziali con il caso Johaug, squalificata 18 mesi

Sinner, la positività al Clostebol e quelle differenze sostanziali con il caso Johaug, squalificata 18 mesi

Il caso Sinner, risultato positivo due volte e scagionato dall’ITIA, l’International Tennis Integrity Agency, attraverso la decisione di un tribunale esterno, ha portato nuovamente tristemente alla ribalta il Clostebol, sostanza che più volte ha causato casi doping, spesso, almeno nelle tesi delle difese, dopo averlo assunto inconsapevolmente. 

LA SOSTANZA

La sostanza è uno steroide anabolizzante, vietata dalla WADA (Agenzia Mondiale Antidoping), chimicamente del tutto simile al testoterone, che è anche contenuto in medicinali per la cura di ulcere cutanee e ragadi per favorirne la cicatrizzazione sfruttandone l’effetto anabolizzante. Si tratta del 4-cloro derivato del testosterone, famoso perché utilizzato da atleti della Germania Est per migliorare le proprie prestazioni fisiche, ma che fece scandalo anche in Germania Ovest, provocando la morte nel 1987 dell’allora ventiseienne Birgit Dressel, campionessa dell’eptathlon, che ne aveva abusato nel corso degli anni, con addirittura 101 differenti medicazioni rilevate nell’autopsia. L’atleta era seguita dal dottore Armin Klümper, accusato in seguito di aver effettuato le stesse pratiche anche nelle squadre di calcio di Stoccarda e Friburgo tra gli anni settanta e ottanta.

QUANTI CASI IN ITALIA!

Negli ultimi anni questa sostanza è presente in casi antidoping avvenuti soprattutto nel nostro paese, addirittura 38 tra il 2019 e 2023, con la sostanza che si può assumere attraverso delle creme normalmente in commercio e senza ricetta. Sulla scatola deve essere però presente il simbolo di prodotto dopante. Ciò ha portato al fatto che casi di positività a questa sostanza siano largamente arrivati dal nostro paese.

Al di là del calciatore Lucioni, ex Benevento, del cestista Riccardo Moraschini, risultato positivo (0,5 nanogrammi) quando vestiva la maglia dell’Olimpia Milano (giusto specificarlo, perché sui social sta circolando la notizia falsa che il giocatore fosse in cura da Naldi, proprio il fisioterapista di Sinner, che in realtà lavorava per la Virtus Bologna) e di alcuni giovani tennisti, il caso più famoso di positività al Clostebol riguarda proprio le discipline nordiche, avendo colpito la numero 1 al mondo dello sci di fondo, Therese Johaug.

LA VICENDA JOHAUG

Il 16 settembre 2016, la norvegese risultò positiva al Clostebol nel corso di un controllo a sorpresa avvenuto durante il raduno a Livigno (accade spesso che vi siano questi controlli nel corso dei raduni estivi e ormai le squadre stesse se li aspettano, ndr). Come tutti ricorderanno, il dottore del team, Fredrik Bendiksen, le comprò la crema Trofodermin, la stessa utilizzata dal fisioterapista di Sinner, per curare alcune ferite dovute a un colpo di sole, che oltre a febbre e diarrea le provocarono anche dei tagli sulle labbra. Secondo la difesa, Johaug chiese anche al dottore se la crema fosse “pulita” ricevendo risposta affermativa da parte del medico. Nessuno si era accorto dell’immagine che avvertiva la presenza di prodotto dopante apposta sulla scatola. Johaug utilizzò la crema dal 4 al 15 settembre. 
Il 30 settembre, il laboratorio antidoping registrò la positività dell’atleta con la presenza di 13 ng/ml di clostebol nelle urine, 13 nanogrammi per millilitro. Johaug venne così squalificata per 13 mesi, a partire dal 18 ottobre 2016, cosa che le avrebbe così consentito di rientrare proprio al via della stagione 2017/18, quella olimpica di Pyeongchang.

Il 6 marzo 2017, però, la FIS fece appello al TAS di Losanna, chiedendo una pena più severa. L’Appello portò a una sua estensione da dodici a diciotto mesi, che costò a Johaug anche le Olimpiadi sudcoreane, in quanto la squalifica terminava il 18 aprile 2018, proprio per farle saltare tutta la stagione. Il TAS nelle sue motivazioni scrisse: “Therese Johaug non ha effettuato un controllo di base della scatola, che non solo elencava una sostanza proibita tra gli ingredienti, ma anche un chiaro avviso di doping. Tali omissioni hanno portato a una violazione della regola antidoping in contrasto con il suo record di controlli pulito. Tuttavia, per garantire l’uguaglianza nell’applicazione delle regole antidoping, il gruppo di esperti ha sottolineato che era obbligato ad applicare una sanzione proporzionale, in linea con il livello di colpa. Per questo motivo, il gruppo di esperti ha osservato che, in una situazione del genere non grave, il codice antidoping della WADA del 2015 fornisce una sospensione tra i 12 e i 24 mesi e determinato, nel presente caso, che un periodo di ineleggibilità di 18 mesi a partire dal 18 ottobre fosse appropriato”.

Squalifica da molti contestata, perché una volta ammesso che l'atleta ha assunto la sostanza senza conoscerne il contenuto dopante, farle perdere due stagioni di attività è apparso a molti, tante colleghe comprese, una esagerazione.

IL CONFRONTO TRA I CASI SINNER E JOHAUG

Si è discusso tanto nella giornata di martedì, una volta uscita la notizia della doppia positività di Sinner al Clostebol e della sua mancata squalifica, anche se WADA e NADO possono ancora appellarsi al TAS per chiedere una squalifica. Sono stati fatti anche confronti con atleti squalificati per l’utilizzo di sostanze assunte inconsapevolmente, tra i quali anche il caso Johaug.
A volte, però, lo si è fatto con grande superficialità, in quanto ogni caso ha le proprie specifiche.

Sicuramente vi sono due differenze sostanziali nei casi di Sinner e Johaug che sono piuttosto evidenti. La prima riguarda il quantitativo della sostanza trovata nelle urine dei due atleti. Therese Johaug, secondo le carte, aveva un quantitativo di 13 ng/ml, 13 nanogrammi per millilitro. Nel caso di Jannik Sinner, invece, si parla di 86 pg/ml, cioè 86 picogrammi per millilitro che sono pari a 0,086 ng/ml, quindi 0,086 nanogrammi per millilitro, nel primo caso, e 76 pg/ml, 76 picogrammi per millilitro che sono pari a 0,076 ng/ml, quindi 0,076 nanogrammi per millilitro, numeri infinitesimali. Insomma, da questo punto di vista le due vicende non sono nemmeno paragonabili.

L’altro dato fondamentale è legato all’assunzione della sostanza. Se Johaug la assunse direttamente, seppure non conoscendone l’effetto dopante, cosa riconosciuta anche dal TAS, Jannik Sinner lo ha fatto indirettamente, contaminato dalle mani del suo fisioterapista, Giacomo Naldi, che aveva utilizzato il Trofondermin per curare una ferita che si era procurato a un dito (lo si vede con una fasciatura proprio quel giorno). Insomma, fondamentale nella condanna di Johaug, fu la colpa di non aver controllato la scatola del prodotto, ma una volta riconosciuto che Sinner non ha assunto direttamente la sostanza, questa colpa decade. Johaug è stata vittima dell'errore del suo dottore ma anche della propria riconosciuta imperizia, mentre Sinner ha pagato quella del suo fisioterapista e del preparatore atletico Ferrara.

Dall’altra parte, anche per questo caso è poi legittimo chiedersi come dei professionisti che hanno in cura il tennista numero uno al mondo, un campione, un esempio per i giovani, passateci il termine, anche una macchina da soldi, possano commettere un errore così grave come quello di Umberto Ferrara, preparatore atletico dell’atleta, che aveva acquistato il prodotto, e del fisioterapista Naldi, quando nel mondo dello sport erano già tanti i casi legati a questa pomata. È la stessa domanda che ci si poneva nel 2016 con Johaug. Anno dopo, il medico della nazionale norvegese si giustificò affermando: "Se la mole di lavoro è eccessiva per un lungo periodo di tempo, oltre i limiti del sopportabile, credo che il rischio di errore aumenti. È l'unico legame causale che posso vedere ora, quattro anni dopo. Avevo attraversato un periodo di lavoro estremamente pesante con molte richieste, inoltre, la mia attività di medico di base era sotto pressione per le malattie in famiglia. Era semplicemente troppo". Sarà stato anche questo il caso?

Come accaduto a Johaug, nel caso di Sinner solo per la leggerezza di altri, fino a prova contraria, il danno di immagine resta ed è enorme, nonostante la provata innocenza.

 

Giorgio Capodaglio