Non c’è nulla come le Olimpiadi. Quella magia che per qualche settimana porta ogni nazione ad unirsi, tifare e sperare per i propri atleti, consapevoli che un trionfo, una medaglia o anche solo un bel risultato, valgono qui molto più di quanto valgano in qualsiasi altra manifestazione. Uno spirito che porta gli atleti a spingersi oltre i propri limiti, contro ogni previsione e al di là di ogni aspettativa. È questo lo spirito che negli ultimi giorni ha spinto Gianmarco Tamberi, atleta del salto in alto azzurro, a stringere i denti in occasione delle Olimpiadi di Parigi 2024, nonostante gli assai limitanti problemi fisici. Una storia che, con modalità ed esiti diversi, ricorda un po’ quella di Petra Majdic e del suo miracolo a Vancouver 2010.
Il saltatore marchigiano, oro olimpico a Tokyo 2021, è infatti stato vittima di un calcolo renale che a pochissimi giorni dall’esordio olimpico lo ha costretto in ospedale. Come ben noto a tutti, la sua scelta è stata quella di gareggiare, nonostante le difficoltà fisiche, nel giorno delle qualificazioni riuscendo a centrare un assolutamente non scontato accesso alla finale. Un risultato di buon auspicio, che aveva portato l’azzurro ad approcciarsi con ottimismo all’avvicinamento alla finalissima. Alla vigilia della gara, però, la ricaduta: Tamberi viene nuovamente ricoverato per una colica e la sua partecipazione alla gara che sognava di fare da oltre 3 anni è quanto mai a rischio. “Sono stato portato in ospedale in ambulanza dopo aver vomitato sangue due volte” svelava sui social il saltatore azzurro. Eppure, stringendo i denti e andando oltre le proprie capacità, Tamberi poche ore dopo si presenta allo Stade de France per la finale. A mettersi tra lui e la riconferma olimpica, però, tre errori sulla misura di 2.27 che lo costringono ad abbandonare le speranze di medaglia. “Nessun miracolo questa volta” commenta qualcuno, quando, in realtà, Tamberi il miracolo lo ha fatto già riuscendo a scendere in pedana. Spingendosi al limiti in nome della responsabilità che l’azzurro sentiva sulle proprie spalle in quel momento, da portabandiera italiano.
Tornando invece indietro di 14 anni, ci imbattiamo in un’altra storia. Il teatro sono sempre le Olimpiadi, nella loro versione invernale, e la favola da raccontare (questa volta il finale è più dolce) è ancora più “estrema” di quella di Gimbo. Petra Majdic, fondista slovena che in quel periodo aveva come skiman l’italiano Gianluca Marcolini, arriva alle Olimpiadi canadesi di Vancouver 2010 in una forma strabiliante. “Ero al top della mia carriera”, racconterà in un commovente video comparso sul sito ufficiale dei Giochi. E infatti per Majdic prima dell’appuntamento olimpico erano arrivati solo ottimi piazzamenti in Coppa del Mondo, difficilmente fuori dal podio e 2ª al Tour de Ski dietro alla sola Justyna Kowalczyk. Motivo per cui la slovena puntava con grande determinazione sulle Olimpiadi, dove non aveva mai vinto medaglie prima. La svolta arriva nel riscaldamento pre-gara, quando Majdic scivola in una curva un po’ ghiacciata e finisce dritta in mezzo al bosco, cadendo da un alto gradino a bordo pista. I risultati sono terribili: Majdic rompe entrambi gli sci e si rialza molto dolorante, tenendosi le costole, dove è ben consapevole di aver rimediato una frattura.
Mancano pochi minuti alla gara, una sprint in tecnica classica, e Majdic non vuole arrendersi. Nonostante la prudenza invocata dai suoi collaboratori, la slovena decide di partire nelle qualificazioni, dove gareggia contro il dolore, gridando ad ogni spinta, che le procura fitte lancinanti al costato. In maniera sorprendente riesce però a qualificarsi per le batterie e lo fa con un ottimo secondo tempo assoluto. È lì che Majdic capisce di potercela fare. E così va avanti: quarti di finale, semifinale e infine la finale, dove si ricorda era presente anche l’italiana Magda Genuin. Il dolore è fortissimo, ma Petra Majdic non può arrendersi a un passo dal traguardo e si lancia in un’ultima estenuante fatica. Come nelle altre fasi di gara, anche in finale soffre ad ogni spinta, urla ad ogni passo, ma trova dentro di sé la forza di un titano. Alla fine taglia il traguardo al terzo posto e scoppia in lacrime: è medaglia di bronzo.
La stagione di Majdic finirà quel giorno, considerando che aveva più costole rotte e che lo sforzo al limite del possibile non contribuì certo a migliorare la situazione. La slovena dovette addirittura chiedere aiuto per salire sul podio al momento della premiazione, dove le venne consegnata quella che rimase poi l’unica medaglia olimpica della sua carriera. In Coppa del Mondo chiuse 2ª, con molti rimpianti per quella che avrebbe potuto essere una stagione di trionfi assoluti, se non fosse stato per quella caduta. Una percezione che la stessa Majdic volle sottolineare, mettendo in evidenza il pericolo a cui erano stati sottoposti gli atleti in relazione a quella curva “killer”. “È chiaro che se non fosse successo quello che è successo avrei vinto”, le sue parole nei giorni successivi. Inutile dire che, molto probabilmente, aveva ragione. E invece a vincere fu la norvegese Marit Bjørgen, con Justyna Kowalczyk seconda.
In conclusione, appare chiaro che quella di Gianmarco Tamberi e quella di Petra Majdic sono due storie estremamente differenti. Quello che però accomuna queste due storie è lo spirito combattivo, la volontà di dare tutto per i propri sogni, spendere fino all’ultima goccia di sudore per ripagare i sacrifici fatti per molti anni, per arrivare al meglio a quello che è l’evento più prestigioso del panorama sportivo. Pur rimanendo coscienti che la salute sia la priorità da tenere sempre ben chiara in mente, non si può non ammirare, almeno un po’, la forza di volontà di questi due campioni. A prescindere dai risultati.
Riportiamo, per completezza, il video che riassume la storia del bronzo di Majdic, pubblicato su Olympics.com (CLICCA QUI)