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Olimpiadi – Oberhofer e Pilato, da Sochi 2014 a Parigi 2024: quando il quarto posto non è un fallimento

Come accade spesso per i grandi eventi, ancor di più se sportivi, i fatti sono accompagnati da tante parole. Le Olimpiadi di Parigi 2024, da questo punto di vista, non mancano di seguire questo cliché; d’altronde, in puro stile italico, anche se le discipline che in questi giorni si giocano le medaglie vengono seguite con attenzione solo per un paio di settimane ogni quattro anni, tutti si lasciano andare a valutazioni e giudizi sommari di azioni di gara e decisioni arbitrali. E di episodi di cui parlare, a tavola, al bar o semplicemente sui social, questa edizione dei Giochi a Cinque Cerchi, ne sta dando a iosa .. .e siamo solo al quarto giorno di gare.
Ma se dal popolo rinomato per essere composto da santi, poeti, navigatori e allenatori non ci si può aspettare nulla di diverso, qualcosa di più che si attenderebbe da coloro che, in un modo o nell’altro, sono chiamati a veicolare le notizie o a commentare le immagini, fornendo qualche conoscenza in più su questa o quella disciplina che non viene seguita con frequenza. 
Messi per un attimo da parte i torti arbitrali, che richiedono una competenza e una comprensione ben più approfondita degli sport in questione, possiamo però discutere di un altro aspetto, non meno importante: la narrazione del risultato. Sì perché sta facendo molto discutere, da ieri sera, l’approccio con cui alcune voci del commento sportivo hanno affrontato, anche con la diretta interessata, il quarto posto ottenuto nella finale dei 100 m rana femminili da Benedetta Pilato. Dopo un’ottima partenza e una gara tenuta viva fino all’ultimo, in cui tutti hanno tifato e spinto la nuotatrice tarantina affinché salisse sul podio, il talento 19enne del nuoto ha dovuto accontentarsi del primo posto disponibile fuori dal podio, ad un solo centesimo dalla medaglia di bronzo. Un legno di cui la giovanissima atleta è ben contenta, dopo che 3 anni fa, a Tokyo non aveva neanche superato le batterie, e consapevole di aver dato tutta sé stessa oltre ad aver incamerato tanta esperienza in ottica futura.
«Ci ho provato fino alla fine, mi dispiace. Queste sono lacrime di gioia: è stato il giorno più bello della mia vita. Sono troppo contenta» Queste le parole a caldo dell’atleta, che sono alla base di un polverone che la coinvolge suo malgrado. Il tutto perché prima l’intervistatrice della televisione pubblica italiana a bordo vasca, poi un’ex atleta, la schermitrice Elisa Di Francisca, in qualità di commentatrice ed esperta proprio per mamma Rai a Parigi, hanno espresso le loro perplessità – in modi non propriamente garbati – di fronte alla contentezza di una ragazza che è a Parigi anche per il percorso, oltre che per il risultato. «Io non ci ho capito niente: è stata un’intervista surreale, non ci credo che non sia dispiaciuta. Io rabbrividisco» ha commentato la 41enne, doppia campionessa olimpica nel fioretto a Londra 2012. Come se essere contenti per il quarto posto rendesse questa giovanissima atleta meno campionessa, rea di mancare di cattiveria agonistica.
Parole e i toni usati che certamente incalzano l’engagement del pubblico da casa e danno vita ad un aspro dibatto sui social ma che, nell’ottica dell’atleta non possono che risultate inopportune nel contesto in cui sono state pronunciate, proprio a margine di una competizione olimpica che esalta i valori dello sport visto come miglioramento di sé attraverso la partecipazione, il fair play, la lealtà, l’impegno e il rispetto. E sono valori che Pilato ha portato con sé in vasca, uno ad uno, nella finale di ieri sera. Il risultato è stato beffardo? Possibile, ma di certo non un fallimento. E anche il suo commento alla prestazione dimostra una mentalità pulita che troppo spesso si fa fatica a ritrovare in chi lo sport ha il compito di raccontarlo, che per il titolo o per le visualizzazioni, ha bisogno solo ed esclusivamente di atleti che occupino i tre gradini del podio.
Di quarti posti altrettanto onorevoli, che hanno riempito di gioia chi li ha raggiunti, ne è piena la storia dello sport. Un esempio calzante ci viene proprio dagli sport invernali, e più precisamente dal biathlon. In occasione delle Olimpiadi di Sochi 2014, l’Italia ha sfiorato la sua prima medaglia individuale femminile grazie a Karin Oberhofer, quarta nella sprint. Una medaglia di legno – ricevuta davvero grazie ai suoi familiari – che riempì di gioia l’altoatesina nonostante il risultato clamoroso per il movimento azzurro non fosse arrivato.
«Si, quella nacque per gioco. Dopo la gara il giornalista continuava a parlarmi del dispiacere di una medaglia persa, quando in realtà io ero contentissima, perché non è da tutti arrivare quarti a un’Olimpiade, così dissi che ero felice e avrei indossato la medaglia di legno. Quando tornai a casa, mio papà e mio cugino si presentarono all’aeroporto con una medaglia di legno, che per me conta tantissimo. Nessun altro ha una medaglia del genere» 
Dal racconto di Oberhofer, in un’intervista a Fondo Italia rilasciata nel lontano 2017, notiamo come le cose da allora, non siano affatto cambiate: proprio come per Pilato, anche in quel caso si è scavato alla ricerca di un sensazionalismo facile, probabilmente nella speranza di poter fare tv/giornalismo del dolore. Ma chi lo sport lo vive quotidianamente, con duri allenamenti, preparazione e gare, sa quanto ogni singolo piazzamento, anche quello che può sembrare il più duro da accettare, è accolto con benevolenza da chi ha messo in campo tutto sé stesso e tutto il lavoro fatto fino a quel momento. 
E forse, in questi casi, il compito di chi è vicino agli atleti al termine della gara e ne commenta il risultato, dovrebbe essere chiamato a fare un passo indietro e a guardare alla prestazione con uno sguardo “grandangolare”, che comprenda – come ha ricordato questa mattina Federica Pellegrini sui social – anche il viaggio compiuto per essere lì e la persona dietro al "pettorale" o alla corsia: nel caso specifico, una 19enne esplosa prestissimo e su cui presto si sono riversate le speranze, pesanti per le sue giovani spalle, di un intero movimento.
È buona norma non dare mai nulla per scontato ed esprimere giudizi tranchant: questo vale per il singolo spettatore, ma ancora di più per gli addetti ai lavori, che prima di mettersi di fronte ad uno schermo o ad una tastiera dovrebbero più di tutti ragionare su quanto viene detto. In primis per il rispetto dell’atleta, che conosce sé stessa, il proprio livello e i propri obiettivi, ma anche del pubblico che, benché abituato a ragionare e commentare per tifo, può certamente aspirare a vivere queste settimane di sport a tutto tondo nel migliore dei modi, imparando che ci sono anche altri modi, puliti e corretti, per raccontare una prestazione, evitando giudizi distorti e analisi senza mezzi termini.
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