Come normale, dopo la vittoria in Coppa del Mondo, Lisa Vittozzi è rincorsa dai media nostrani e stranieri anche durante la preparazione estiva, momento ideale per poter prendersi più tempo, ripercorrere quella che inizia ormai ad essere una lunga carriera con una bacheca molto ricca di premi e anche raccontare la persona dietro l'atleta. A dedicarle spazio oggi sono le pagine del Corriere della Sera, in un'intervista che, partendo dal duello "rusticano" con Dorothea Wierer nella stagione 2018/19 e passando dal periodo più buio della sua carriera, arriva fino al sogno più grande, l'oro olimpico nelle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026: una storia che può essere riassunta come un viaggio all’inferno e ritorno, o qualcosa di molto simile.
«Ho vissuto un periodo negativo, non stavo bene: ho avuto parecchi attacchi di ansia e non è bello fare sport ad alto livello in quella situazione. Mi sentivo in vortice, il cervello non reagiva. Ero spaesata: arrivavo al poligono e non mi pareva di essere lì, quindi non riuscivo a gestire nulla» ha spiegato, tornando a quel periodo così pieno di dubbi che, abbinati a prestazioni deludenti, l'hanno portata ad un passo dal ritiro. «Mi chiedevo se valesse la pena andare avanti a soffrire o se non fosse meglio fermarmi. Ho deciso di tenere duro: sono scesa fino al punto più basso per poi risalire, mettendo a fuoco tante cose».
Al tiro, gara dopo gara, era diventato sempre più difficile per lei gestire le sessioni di tiro, e anche guardarla dal di fuori era una sofferenza, unita all'incapacità di capire cosa non andasse in quella stessa atleta che pochi anni prima si era giocata la Coppa del Mondo e vinceva medaglie mondiali e olimpiche. Oggi quei giorni restano solo un brutto ricordo, al tiro Vittozzi è tornata ad essere una sentenza, e parte del merito va sicuramente a Jonne Kähkonen, il coach di tiro venuto dalla Finlandia per provare a (e riuscire) a ridare serenità all'atleta. «Gli allenatori contribuiscono prima di tutto a farti sentire al posto giusto. Ma alle spalle del ritorno al vertice c’è anche un lavoro con un mental coach: è stato un percorso dentro me stessa».
L'ultima stagione è stata senza ombra di dubbio l'atleta più costante in pista e questo ha portato la sappadina ad alzare al cielo la sfera di cristallo, oltre alla prima medaglia d'oro iridata in una gare individuale, ma la svolta è arrivata già un anno prima. «Era un’annata nella quale volevo dimostrare di poter tornare competitiva. Mi sono sentita tranquilla e consapevole, gareggiavo senza l’ossessione della vittoria a tutti i costi. La serenità che ho avuto è stata un effetto fionda per il 2024».
Un altro aspetto che, la 29enne ritiene essere un suo punto di forza, oltre all'attuale serenità è la mancanza di sovrastrutture nel presentarsi in pubblico. "What you see is what you get", direbbero gli inglesi. «Mi mostro per quello che sono. Difetti? Ne ho parecchi. Non sono molto diplomatica, anche se cerco di esserlo. In linea di massima rimango sulle mie e mi piace stare da sola. Sono molto sensibile. Ma quando serve, tiro fuori unghie e carattere, soprattutto se mi fanno arrabbiare. Le passioni sono tutte legate allo sport: pratico lo skiroll negli allenamenti estivi e gioco tanto a tennis».
Amante dello sport a tutto tondo, non è propriamente una fan delle vacanze che puntano al relax totale. Anche se le piace il mare, vietato annoiarsi. «Sono un tipo attivo e non mi va di stare troppo sdraiata al sole. In una vacanza deve esserci anche qualcosa da vedere: da poco ho visitato la Scozia».
Nata a Pieve di Cadore e cresciuta a Sappada, i suoi punti riferimento sportivi sono certamente gli atleti provenienti dalla sua terra, con quella scorza dura e quello spirito di sacrificio e abnegazione che scorre anche nelle sue vene, che le sono anche valsi l'epiteto di "leonessa dallo sguardo dolce". «Sicuramente gli sportivi della mia terra mi hanno ispirato: Manuela, suo fratello Giorgio, Pietro Piller Cottrer. Pietro è stato il mio idolo da bambina e mi ha trasmesso la passione per lo sci. In età giovanile li vedevo in tv, ora li conosco e sono orgogliosa di essere il loro “sequel”».
Un motto sintetizza il suo atteggiamento agonistico "Qui e ora", ma Lisa non è ossessionata dalla vittoria a tutti i costi. «La frase è un invito a pensare a ciò che stai facendo, senza badare al dopo; bisogna focalizzarsi sul momento e non sul risultato che puoi/vuoi conseguire» Può sembrare un promemoria banale, ma si tratta di un atteggiamento fondamentale in uno sport dagli equilibri precari come il biathlon «È uno sport complesso: il fisico è importante, ma molto lo fa la testa» In gara però, per Lisa è necessario in un certo senso mettere il pilota automatico «Meno penso e meglio vado. Al poligono cerco di concentrarmi su piccoli dettagli tecnici per centrare il bersaglio. La parte di fondo si sposa invece con la visione tattico-strategica per gestire la gara».
In una società in cui resta spesso ancora troppo ampio il divario tra donne e uomini, gli sport invernali offrono modelli femminili vincenti, che generano molto seguito per le rispettive discipline. Non solo la compagna di squadra Wierer, che ha aperto la strada del biathlon ad un pubblico più mainstrema, ma anche Sofia Goggia, Federica Brignone, Marta Bassino...e ora anche Lisa Vittozzi, che prova a dare una sua interpretazione del fenomeno. «Dimostriamo che anche al femminile lo sport può essere declinato in modo coinvolgente»
Purtroppo, però, i media talvolta amano contrapporre personalità creando rivalità più o meno reali. Quanto c'è di vero nei rapporti frizzantini con la compagna di squadra altoatesina? «In certe occasioni (la rivalità, ndr) mi ha fatto sprecare energie. Ma non mi pento di nulla: per diventare la persona che sono c’era bisogno pure degli errori. La rivalità mi ha fatto crescere e migliorare. Ora è tutto a posto».
Per il futuro, il successo degli ultimi anni sta aprendo tante strade alla biatleta del C.S. Carabinieri, che mentre si allena riesce a ritagliare anche del tempo per lo studio, iscritta a Scienze Motorie. «A scuola non ero un genio, quindi l’università è prima di tutto una sfida personale: voglio capire se ce la faccio. Un futuro nello sport? È probabile, nel caso punterò sulla psicologia della preparazione» Una porta per il mondo dello spettacolo, purché in linea con le sue inclinazioni, rimane però aperta: «Lo spero. Quale programma mi piacerebbe? Sono una da Pechino Express: mi andrebbe di partecipare con qualche atleta».
Nel suo futuro c'è anche voglia di famiglia? Tra allenamenti, trasferte, allenamenti e una lunga stagione invernale di gare e difficile conciliare gli impegni con la vita di coppia, ma da buona campionessa Vittozzi sembra riuscirci alla grande: ad aiutare, probabilmente, anche la lontananza del suo compagno dal suo mondo.
«Sono fidanzata da dieci anni, il mio ragazzo non c’entra nulla con il biathlon: dunque in inverno “ci aspettiamo” l’uno con l’altra. Forse è più difficile per lui, ma ci si fa l’abitudine: è comprensivo e non lo fa pesare. Le gare sono poi ravvicinate, io devo concentrarmi sullo sport. Però penso che alla fine ci sposeremo».
Prima però, un ultimo (forse) titolo da aggiungere alla già ricca bacheca di successi e medaglie: quella a cinque cerchi. Dopo il bronzo in staffetta mista a Pyeongchang, e alla luce di quanto fatto nelle ultime stagione, il metallo più pesante è certamente alla sua portata. «Il titolo olimpico è un obiettivo e mi sa che non è solo il mio: Milano-Cortina 2026 è quindi nel mirino, è il caso di dirlo. Sì, spero che il meglio di me debba ancora venire».