Quella appena conclusa è stata una stagione dalle due facce per Sturla Holm Laegreid che, dopo un inizio complesso anche a causa di alcuni problemi di salute, è stato in procinto di perdere il suo posto in squadra. Quando le cose sembravano andare meglio da punto di vista fisico un incidente con la carabina durante una sessione di “dry shooting” in albergo, lo ha fatto ripiombare nelle difficoltà, questa volta mentalmente. Eppure, proprio in questa stagione fatta più di bassi che di alti, il 27enne di Baerum ha ottenuto una medaglia iridata nella gara dove forse meno ci si sarebbe aspettati di vederlo trionfare. Intervistato da alcuni suoi vecchi amici, Sindre Mangen Haram e Joar Hougen, entrambi professionisti del cinema, a conclusione di un progetto che ha portato le telecamere nel “dietro le quinte” del biathlon, il campione traccia un bilancio sulla stagione, partendo subito dalla medaglia d'oro conquistata a Nove Mesto.
Mentre Fondo Italia vi offre di seguito una traduzione dei punti più salienti, potete trovare QUI l'intervista completa con i sottotitoli in inglese.
«È stato un momento importante per me. Se si pensa a quanti atleti ci sono nel mondo e vogliono salire sul gradino più alto del podio e io sono quello che ce l'ha fatta. È pazzesco pensare che ho vinto la medaglia d'oro. È stata la gara perfetta, tutto ha funzionato: sia al poligono che in pista. Dopo una stagione complicata è stato bello riuscirci proprio in quell'occasione. Mi sentivo come se a quel punto la stagione fosse completa, avevo raggiunto l'obiettivo che volevo anche se non avevo fatto bene come in passato in Coppa del Mondo e avevo avuto problemi sia di forma che al tiro e in altre piccole cose. Tutto passa in cavalleria quando vinci l'oro. È stata come una lezione per fare meglio e imparare nuove cose. È difficile da spiegare, ma è stato un mix tra sollievo, soddisfazione e gioia.»
Per quanto riguarda invece l'intero inverno, il racconto si fa complicato e letteralmente accidentato, visti gli ostacoli che Laegreid ha dovuto affrontare fin da prima che la Coppa del Mondo partisse: eppure ogni volta è riuscito a rialzarsi.
«Sia ai Campionati Nazionali estivi che all'inizio della stagione ad Östersund si vedeva che c'era qualcosa in me che non andava. Non capivo cosa fosse esattamente, pensavo che la mia forma non fosse buona e che sarei cresciuto ma non succedeva mai. Credevo di stare bene ma non riuscivo ad esprimermi bene in gara, quindi ho capito che ci doveva essere qualcosa che non andava nel mio corpo. Ho avuto un avvio difficile in Svezia, con il freddo e dei problemi ai polmoni. Poi siamo andati nel Centro Europa dove è andata meglio perché le temperature erano meno rigide ma c'era ancora qualcosa che che non funzionava. Mi sono ripreso solo durante la pausa natalizia, quando mi sono rivolto al mio medico e ho preso gli antibiotici per i polmoni perché si è capito che avevo un'infezione che mi portavo dietro da settembre. A quel punto però c'è stata la questione dell'incidente con la carabina a Lenzerheide. Se il mio corpo era a posto, la mia testa no. Mentre aspettavo la decisione, ho sempre pensato che nella peggiore delle ipotesi mi avrebbero espulso per un paio di anni a causa di quel “wet shot”. Inizi a pensare che quella potrebbe essere l'ultima gara della tua carriera, ma non avevo idea di come avrebbero gestito la questione. Le tre settimane successive di gara sono state abbastanza stressanti, non si sapeva nulla su verdetto. Si poteva solo aspettare. Quando hanno deciso dopo l'ultima tappa di Coppa del Mondo prima dei Mondiali, finalmente mi ho potuto concentrarmi solamente sui Mondiali. Penso di aver imparato tanto da quegli ostacoli lungo il percorso. Con il senno di poi, è bello ora poter guardare indietro. Ho affrontato le avversità, spingendomi oltre e senza mai arrendermi e dando tutto me stesso.»
Noto per essere uno dei migliori tiratori del circuito, classifiche alla mano, quest'anno è stato lontano dai suoi standard in piazzola. Tuttavia non è qualcosa che lo preoccupa e il suo approccio sulla questione è molto razionale.
«È stato solo il risultato di ciò che mi è capitato. Ero stressato e ci sono stati altri fattori esterni che hanno influito sul tiro. Ho perso concentrazione e il “sistema” che avevo. Sono riuscito a ritrovare la mia dimensione all'inizio dei Mondiali ma ero comunque esausto per via di tutto quello che è accaduto. Non vedevo l'ora di finire la stagione, prendere un respiro profondo e ricaricare le batterie. Poi ero teso all'idea di velocizzare il tiro perché la mia forma non è stata delle migliori e sono stato costretto a forzare un po' di più in pista e quando questo succede poi paghi al poligono. Non ho potuto sparare come prima perché mi sono concentrato di più sullo sci invece che dare la priorità al tiro. Inoltre fisicamente non ero dove avrei voluto essere, ma quando le cose vanno come nella sprint dei Mondiali, vedo che il mio livello è superiore a quello che avevo in passato, però mi sono mancate le basi per farlo durare abbastanza. E questo perché sono stato male. La mia speranza per il prossimo anno è di poter lavorare rimanendo in salute e libero da infortuni, così da avere una forma migliore e una migliore base per l'inverno. Penso di essere sulla buona strada ma quest'anno non ha funzionato appieno.»
Una carriera nata quasi per caso, seguendo un amico che praticava biathlon, quella del ragazzino di Baerum che provava tutti gli sport possibili (tra cui il Taekwon-do con suo fratello Sindre e il bandy, sport all'aperto simile all'hockey), fino a che non ha trovato la sua strada con gli ai piedi e la carabina in spalla. Oggi, conta 124 gare all'attivo in Coppa del Mondo, 6 medaglie mondiali e una olimpica, ma è consapevole che senza il supporto dei suoi familiari nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile.
«I miei genitori mi hanno supportato molto lungo tutto il percorso. Quando facevo 5 sport diversi mi scorrazzavano agli allenamenti. Probabilmente gli è costato tanto ma hanno supportato me e i miei fratelli. Non ho mai sentito “No, non puoi farlo”. Mi hanno sostenuto in ogni cosa io abbia fatto, lo apprezzo tanto. Non sarei arrivato lontano senza di loro.»
Oltre al sostegno della famiglia, però, è stato cruciale anche il suo spirito di sacrificio durante, la costanza nell'affrontare determinate rinunce nella vita di tutti i giorni, come passare del tempo con gli amici o fare altre esperienze al di fuori dello sport, in nome del biathlon e dei risultati. Tanti atleti raccontano di quanto sia difficile fare queste rinunce a lungo, soprattutto quando gli anni passano, ma non Sturla. Il segreto, forse, è nel sentirsi ancora giovani.
«Io mi sento come se avessi ancora 16-17 anni, mentre gli altri sono andati avanti, hanno studiato, hanno una carriera e vivono una vita da adulti» spiega e, riguardo ai sacrifici fatti aggiunge «Non le percepisco come “restrizioni”, tranne quando si tratta di quarantene o malattie. È qualcosa a cui non penso o non mi da fastidio. È un atto di equilibrio. Perché anche io voglio una vita normale, non voglio andare all-in e vivere in isolamento e solo mangiare, dormire e allenarmi. È importante trovare una giusta proporzione. Faccio determinate cose perché voglio migliorare, voglio ottenere i miei obiettivi in questo sport e per questo non vado fuori a bere o al cinema in modo da non rischiare di ammalarmi. Sono cose che vorrei fare ma non le faccio, perché conosco le conseguenze. E poi posso fare un sacco di cose che non mi sarebbero possibili senza quei “sacrifici”. Ma certo a volte vorrei avere un lavoro dalle 9 alle 17 e avere i weekend liberi senza pensare a quel che faccio e come influenza le mie entrate e la mia carriera. E questa è una cosa che si apprezza di più quando ci si ritira: finalmente si ha più libertà di fare quel che si vuole e vivere una vita normale.»
Tuttavia, per il momento, i suoi tifosi possono stare tranquilli: Laegreid, per il momento, e forse per ancora molti anni a venire, non ha intenzione di andare da nessuna parte. È invece determinato a far salire il proprio livello e dimostrare che, quella di quest'inverno, seppur negativo, è stata solo una parentesi.