Sci di fondo | 07 aprile 2024, 14:35

Sci di fondo - Francesca Baudin, allenatrice Fiamme Gialle: "I risultati dimostrano che il nostro progetto funziona"

Sci di fondo - Francesca Baudin, allenatrice Fiamme Gialle: "I risultati dimostrano che il nostro progetto funziona"

Nonostante sia ancora giovanissima, essendo appena trentenne e avendo chiuso la sua carriera agonistica solo nel 2019 a causa dei tanti infortuni, è già una delle allenatrici più stimate nell’ambiente. Francesca Baudin ha bruciato le tappe, perché, complice l’ingresso di Fulvio Scola nei quadri FISI delle nazionali azzurre, si è ritrovata subito a guidare la squadra di sede delle Fiamme Gialle, seguendo i consigli del suo collega più esperto che l’ha aiutata al suo primo anno. La valdostana, che da atleta vinse anche l’oro nella sprint dei Mondiali Under 23 di Almaty nel 2015, è riuscita a calarsi subito nel ruolo, si è immediatamente appassionata all’allenamento e ha iniziato a studiare, un corso dietro l’altro, con l’obiettivo di specializzarsi sempre di più.

Oggi Baudin riesce quindi ad abbinare alle sue capacità di relazionarsi agli atleti, frutto delle sue esperienze da atleta, soprattutto quelle negative, delle conoscenze importanti, avendo appena chiuso il master istruttori e preparandosi anche a terminare a breve il corso allenatori di terzo livello.

Insieme alla valdostana, che abbiamo incontrato in occasione dei Campionati Italiani Assoluti di Pragelato, abbiamo parlato del suo lavoro, tracciato un bilancio dei risultati ottenuti dalla squadra di sede dei GS Fiamme Gialle e soprattutto parlato del settore giovanile e della politica sui giovani della squadra della Finanza.

Iniziamo dalla squadra di sede. Com’è andata la stagione?

«Nella squadra di sede avevamo i soli Salvadori e Del Fabbro. Per entrambi l’obiettivo era di riportarli a disputare gare internazionali, in FESA Cup e Coppa del mondo. È andata discretamente bene per Salvadori, che si è qualificato al Tour de Ski, dove ha ottenuto anche buoni risultati nelle gare a classico, dove a inizio stagione andava più forte, poi nel finale di stagione è giunto anche 24° nella 50 km di Holmenkollen. Giando si è rilanciato bene, dopo che lo scorso anno aveva forse patito un po’ il cambio di programmazione degli allenamenti, con il nuovo sistema portato da due stagioni da Markus (Cramer, ndr). Per quanto riguarda Del Fabbro, l’inizio stagione è stato impegnativo e complicato, in quanto ha avuto ancora una volta problemi al ginocchio che si era già infortunato lo scorso anno. Ovviamente, restando a inizio stagione fuori dal giro FESA Cup, che offre la possibilità di ingresso in Coppa del mondo, resti più indietro rispetto agli altri. Poi se quelli che vengono portati vanno forte, come è successo, si creano anche meno opportunità.
Lui è stato bravo, da metà gennaio, a reagire mentalmente e fare delle belle gare. Possiamo però dire che sia io che lui, tutti avevamo forse l’asticella un pochino più alta. Ci si può lavorare, è l’obiettivo per il prossimo anno».


Ci parli del settore giovanile che ha ereditato da Fulvio Scola, insieme alla guida della squadra di sede. Come siete organizzati? Qual è la vostra politica con gli aggregati?

«Direi che il nostro settore giovanile sta portando i risultati sperati. Da ciò che vediamo anche dagli atleti arrivati oggi all’alto livello, credo proprio che in questi anni sia stato fatto un lavoro abbastanza buono. Vediamo se ora anche le nuove leve, che negli ultimi anni abbiamo cresciuto insieme ai loro comitati piuttosto che alla squadra junior, riusciranno poi a fare quel salto di qualità in più ed arrivare all’alto livello. C’è una linea di continuità nel nostro lavoro. Quando ho terminato la mia carriera da atleta, ho fatto un anno di apprendistato in caserma al fianco di Fulvio (Scola, ndr), nel ruolo di aiuto allenatrice. Un periodo in cui lui mi ha insegnato le basi dell’essere allenatore. Credo che avere subito qualcuno che ti dà le giuste indicazioni sia la cosa più importante quando intraprendi questo percorso, perché sono due mondi diversi quelli da atleta e allenatore. Poi siamo riusciti creare un nostro sistema interno e organizzativo che a mio parere funziona abbastanza bene. Fulvio (Scola, ndr) è il nostro responsabile interno in caserma, ma allenando il gruppo Milano-Cortina, certe mansioni le eseguiamo io e Daniele Delugan. Fulvio ci aiuta tanto nella parte organizzativa e burocratica, di cui prima si occupava Campaci.
Scola, quindi, cura i rapporti interni con comandanti e la burocrazia dei vari uffici, io mi occupo dell’allenamento, della programmazione, seguo i ragazzi sede, curo i rapporti con la FISI e i suoi allenatori, come Pasini, Rivero, Betta, Corradini e Cramer. Delugan fa un grande lavoro sui materiali, stando sempre dietro le quinte ma eseguendo un lavoro che è stato spaziale.
Per quanto riguarda i giovani, quest’anno abbiamo lavorato con Davide Negroni, collaborando con il comitato Alpi Centrali. Il nostro obiettivo è quello di dare una mano a comitati e famiglie, rimborsando ai nostri aggregati la maggior parte degli alberghi, anche in occasione della Coppa Italia, e dando un’assistenza per quanto riguarda i materiali. Si collabora. Davide ha svolto alcuni raduni con noi, ma stando sempre in contatto con gli allenatori delle Alpi Centrali.
Solitamente cerchiamo di organizzare due o tre raduni con tutto il settore giovanile e, una volta terminato, confrontarci con i loro allenatori per scambiare delle opinioni. Un modo anche per dare un supporto ai comitati, che
si ritrovano anche a lavorare con una ventina di atleti».  

Ho notato che, nei weekend di gara, sia nello sci di fondo che nel biathlon tendete a lasciare gli aggregati in albergo con i rispettivi comitati. Come mai?

«Secondo noi è importante che restino con il comitato, perché l’ambiente senior è più serio in quanto già rivolto al professionismo, quindi va più verso la specializzazione. Ovvio che per quanto riguarda giovani di sedici o diciassette anni riteniamo anche giusto che stiano con i propri coetanei, che magari possano anche divertirsi con loro a tavola, affrontando argomenti giusti per la loro età. Quando sei senior il focus è diverso, ovviamente anche lì si può scherzare a tavola, sia chiaro, ma è un lavoro. Vogliamo evitare di far fare loro una vita da professionista con troppo anticipo, rischiamo di cuocerli. Anche quando disputano le staffette con i propri comitati, ci teniamo che abbiano le loro tute anziché le nostre e che siano i comitati stessi a preparare gli sci. Devono sentirsi uguali agli altri.
Poi, in occasione della prima e dell’ultima tappa stagionale, gli aggregati vengono con noi, ma solo per mostrare loro come funziona l’ambiente senior, prendere spunto dai pro».

Come vi comportate con gli aggregati e arruolati che fanno parte della nazionale juniores?

«La nostra politica è di provare ad aggregare, se possibile, i migliori della classifica finale di Coppa Italia. Certo, quest’anno è stato un po’ particolare, in quanto la nazionale juniores ha avuto un progetto nuovo che prevedeva un incremento dei giorni di raduno, quindi per non stressare gli atleti abbiamo deciso di fare un solo ritiro coinvolgendo anche coloro che facevano parte del gruppo juniores, altrimenti facevamo sempre una decina di giorni tra estate e autunno. Siamo però a completa disposizione per qualsiasi esigenza. Per esempio, nell’ultimo inverno, qualcuno che aveva finito la scuola ci ha chiesto se potesse venire da noi a sciare, così li abbiamo portati con noi, pur seguendo la propria parte di programma».

Qual è il vostro rapporto con i colleghi del biathlon?

«Collaboriamo a stretto contatto con il responsabile Andrea Zattoni e con Luca Ghiglione. Con loro c’è un bel rapporto e ci si confronta, trovandoci in caserma e scambiando idee per crescere tutti insieme».

Come giudica i risultati raggiunti dai vostri aggregati in questa stagione?


«Sicuramente sono molto contenta dei loro risultati. Bea (Beatrice Laurent, ndr) è riuscita addirittura a vincere una gara di FESA Cup e ha fatto molto bene nel corso della stagione, Virginia (Cena, ndr) ha ottenuto una medaglia anche agli ultimi Italiani. Ma parlo anche di Negroni, Matli e Folie. Nell’ultima stagione un po’ tutti ci hanno dato belle soddisfazioni e speriamo continuino a crescere. Sono giovani, non sono atleti che sono stati tanto spremuti, tutti loro speriamo che abbiano modo di riuscire a crescere ulteriormente. Poi devo dare atto ai miei colleghi della nazionale juniores di aver lavorato bene, perché non solo i nostri ma tutti hanno fatto un bel salto in avanti. Hanno un bel gruppo, ho visto anche come si sono ben inseriti tutti i ragazzi. Alla fine anche Ghio stesso, che è già arruolato, ha fatto benissimo in squadra, vincendo anche due medaglie mondiali».

Quanto siete stati felici di vedere atleti che sono stati in passato vostri aggregati, fare oggi bene anche da senior? Segno che il progetto funziona?

«Pensate che questo progetto è nato quando io ero ancora atleta (ride, ndr). Continuiamo su questa linea, anche se c’è sempre un po’ di discussione sull’opportunità di aggregare junior o under 23, ma fin qui questa politica ci ha sempre premiati, perché gli atleti aggregati in passato hanno ottenuto oggi piazzamenti importanti. Pensate ai vari Mocellini e Franchi l’anno scorso, oppure quest’anno i vari Graz, Chiocchetti, Barp e Monsorno, con gli ultimi due entrati anche in top ten di Coppa del Mondo. Evidentemente questo sistema funziona e li aiuta a crescere, grazie alla collaborazione con i comitati, preparandoli poi al meglio per le nazionali. Lasciarli tranquilli da junior è secondo noi fondamentale, poi una volta conosciuti, quando vedi che hanno il talento, cerchi di portarli al passo successivo che è l’arruolamento. Inoltre, va anche detto che pure atleti aggregati da noi che poi si sono arruolati con altri, come Daprà, sono emersi. Ciò vuole dire che aiutare coloro che sono nei comitati porta poi a far fare loro un percorso graduale verso l’alto livello».

Come curate i rapporti con gli atleti arruolati che sono in nazionale?


«Per evitare di stressarli troppo, teniamo i contatti con loro ma senza esagerare, magari con Fulvio ci alterniamo nel sentirli. Inoltre, mi relaziono soprattutto con i loro allenatori, per avere informazioni da loro piuttosto che disturbare gli atleti. Durante la preparazione ho sentito più volte Cramer oppure Pasini, oppure i tecnici della juniores, facendo aggiornare. È importante parlare e confrontarsi, lo ritengo utile alla crescita di tutto il movimento».

A proposito di crescita. A che punto è il tuo percorso da allenatrice?

«Lo scorso autunno ho finito il master istruttori. Ora sono allenatrice di secondo livello e a maggio completerò il terzo livello per finire bene la formazione. Poi ovviamente voglio restare aggiornata, continuare a studiare, perché ogni anno c’è qualcosa di nuovo nelle metodologie di allenamento, ma anche il modo di integrarsi negli ultimi anni sta cambiando non poco».

Da atleta avrebbe mai immaginato che allenare l’avrebbe appassionata così?

«No, anche perché da atleta ero abbastanza un disastro (ride, ndr), su alcuni aspetti organizzativi ero un po’ disordinata. A volte mi rivedo in alcuni ragazzi che lasciano in giro gli sci o si dimenticano le scarpe in albergo. Invece, negli ultimi due anni mi sento più sicura di me, più a mio agio nel fare il mio lavoro. Di conseguenza c’è meno stanchezza e ho meno pensieri. Inoltre sono sempre più consapevole di quanto le mie esperienze da atleta possano essere utili, soprattutto quelle negative. Ho tribolato a causa degli infortuni per tre o quattro anni, ma proprio ciò che ho passato mi dà quel qualcosa in più quando entro a contatto con atleti in difficoltà. Per quello che ho vissuto io, faccio molta attenzione quando vedo che un atleta vive un momento buio e si butta giù. Mi viene istintivo».

Giorgio Capodaglio