Sci di fondo - 12 marzo 2024, 08:00

Sci di fondo - L'addio di Maurice Manificat a parole sue: "È una pagina si chiude, anche se è di piombo ed è difficile girarla"

Domenica, nel tempio degli sport invernali Maurice Manificat ha concluso la sua lunga carriera nello sci di fondo "tradizionale". Un'ultima apparizione in Coppa del Mondo, nella più storica e sentite delle gare del circuito, la leggendaria classica 50km di Holmenkollen, per dire addio alla massima serie del fondo che tante soddisfazioni e successi gli ha regalato, dopo una stagione complessa, fatta di alti e bassi e di una continua rincorsa alla convocazione dopo essere stato messo da parte dalla squadra A della nazionale francese.

Al traguardo, accolto dallo staff e dai compagni, ha festeggiato non nascondendo la sua emozioni. Ai nostri colleghi di Nordic Magazine, "Momo" ha concesso un racconto esclusivo della sua ultima gara.

«Sapevo che mi sarei goduto al massimo il weekend ed era quello che stavo aspettando. Alla riunione della vigilia della gara sono riuscito ad arrivare tardi! Era un po' come se non volessi affrontare l'ultima gara!» ha raccontato ridendo «C’era già molta emozione negli ultimi preparativi per la gara con i discorsi di Thibaut (Chêne) e Alex (Rousselet). Poi abbiamo bevuto un'ultima birra con lo staff perché la maggior parte di loro sarebbe andato a Drammen già domenica pomeriggio.»

Poi è arrivato il giorno della gara, ma il 37enne francese non ha mai avuto alcuna intenzione di viverlo come fosse l'ultimo giorno di scuola; bensì affrontandolo seriamente, per concludere al meglio la lunga storia che le ha portato ad essere uno dei più grandi fondisti francesi di sempre.

«Il D-Day è stato come una normale mattina in Coppa del Mondo. Non ho mai voluto fare il "barbatrucco" perché si tratta pur sempre di una gara di 50 chilometri e non è una gara banale. Non volevo finirla male perché l'ho chiusa tante volte disidratato, con i crampi... dovevo gestire bene la gara e questo mi avrebbe permesso di godermela appieno.»

Ma la 50km è una competizione che chiede tanto a chi l'affronta, fisicamente e mentalmente: ancora di più se c'è la consapevolezza che al traguardo si scrive la parola fine di una carriera lunga 27 anni.

«Mi chiedevo come sarebbe andato l'ultimo giro e cosa avrei fatto al traguardo. Più andava avanti, più mi dicevo che ci siamo, questo era l'ultima volta. È una pagina si chiude, anche se è di piombo ed è difficile girarla. È la prima volta che non riesco a controllare le mie emozioni durante una gara. Nelle staffette dei grandi eventi, c'è sempre quel momento in cui le cose vanno bene e si vede la medaglia in arrivo o, al contrario, le cose possono andare male. Finché non hai passato il testimone o tagliato il traguardo, sei concentrato su quello che stai facendo. Nelle gare sono sempre stato in grado di controllare le cose, ma in questo caso era impossibile»

 

Federica Trozzi