È un Federico Pellegrino orgoglioso quello che sentiamo dopo la 50 km di Holmenkollen, da lui chiusa al settimo posto, dopo aver lottato per il podio quasi fino alla fine. L'azzurro ha affrontato tanti temi, commentando la sua prova, il lavoro fatto per arrivare fin qui, la bontà del progetto Cramer, ma anche descrivendo le emozioni della vigilia e svelando che quella odierna al 99% sarà la sua ultima 50 km di Holmenkollen.
Ciao Federico, complimenti per questo bel risultato. Settimo posto a Holmenkollen, quanto vale?
«Sicuramente lo posso mettere a livello di una vittoria in Coppa del mondo, giungere settimo in una 50 km in tecnica classica in questa stagione è un bellissimo risultato di cui vado fiero.
Il lavoro fatto sulla tecnica, sullo sciare su nevi difficili soprattutto in classico, sulla mia condizione fisica, quello mentale che da due o tre anni sto facendo in tutte le gare, tutto si è sommato al meglio per questa prestazione.
Oltre al fisico, aggiungo anche la parte dell’integrazione gestita molto bene, che mi ha permesso di fare un passo avanti rispetto a Planica, dove già ero super orgoglioso della prestazione. Sono veramente contento, vale tanto».
Anche questa volta, come a Planica, sei stato nelle posizioni di testa del gruppo fin dall’inizio. Come avevi impostato la gara?
«Volevo capire fin da subito come eravamo messi come materiali. A maggior ragione, dopo il nevischio sceso prima della gara, non volevo stare troppo nella pancia del gruppo, perché sapevo che una caduta o la rottura di un bastone erano dietro l’angolo, quindi, anche a costo di stare ogni tanto all’aria, ho preso il rischio di stare davanti, senza mai reagire agli attacchi per i traguardi volanti».
Hai creduto nel podio? Cosa è mancato per essere il primo italiano a salire sul podio a Holmenkollen in tecnica classica?
«Devo ammettere che, quando nel terzo giro c’è stato il forcing di Niskanen, non è stato facile restare agganciato, sono arrivato giù allo stadio, a metà gara, che ho iniziato ad avere un po’ di crampi ai miei tricipiti, che è una costante delle mie gare lunghe. Ciò mi fa capire che ancora c’è da lavorare. Così come quei crampetti venuti fuori all’interno delle gambe in zona stadio nell’ultimo giro. A quel punto, in salita, col forcing di Tønseth, un po’ ho pagato, ero al gancio. Peccato, perché ciò mi ha impedito di portarmi più avanti sulla salita della sprint e giocarmi qualche carta in più, Al podio ci ho pensato verso il quarto o quinto giro, perché mi sono reso conto che se fossero andati a quel ritmo, sarebbe potuto accadere di tutto. Allora mi sono detto di crederci, perché sono io il primo a dire che le cose non cadono dal cielo».
In due anni hai fatto grandi passi avanti in questo format di gara, cresci 50 dopo 50. Oggi hai preso altri appunti su dove migliorare?
«Appunti ne ho presi anche oggi, degli aspetti su cui migliorare, alcuni tecnici, ma anche fisici, perché voglio riuscire a capire questi crampi da dove vengono fuori. Qui sono stati meno invadenti rispetto ad altre occasioni. C’è del margine a livello di integrazione in gara. Mi sono preparato tanto su uno dei muscoli che per il tipo di tecnica che sto cercando di mettere in pratica, consigliata da Markus (Cramer, ndr), devono essere preparati a dovere. Un po’ alla volta, i miglioramenti ci sono e si vedono, mi fa capire che la strada è quella giusta».
Molti sono sorpresi di vederti così avanti in una 50 km.
«Negli ultimi anni ho cambiato approccio, sto facendo tante gare per imparare sempre di più su vari aspetti, come i materiali, oppure l’importanza di integrarsi al meglio in gare del genere, ma anche l’allenamento in avvicinamento alla gara. Magari all’esterno può sembrare sorprendente vedermi così avanti nelle distance, perché in passato non ne disputavo tante, in quanto il mio obiettivo è sempre stato il risultato e allora lo vedevo più raggiungibile nelle sprint. Ho dovuto fare delle scelte nella mia carriera, di cui certamente non mi pento. Però qualcuno potrà stupirsi, ma non io. Negli ultimi tre anni, con il cambio di allenamento, ho notato un miglioramento incredibile, non solo nella singola prestazione ma nel metterne insieme tante, nelle capacità di recupero».
A questo punto, la 50 km a Lago di Tesero nel 2026 può essere un obiettivo concreto?
«Oggi ho provato delle emozioni particolari. Ho vissuto l’avvicinamento a questa gara come la mia ultima Holmenkollen, perché sono convinto al 99% che sarà così. Ho pensato di godermi questa esperienza, divertirmi, non lasciar perdere alcuna opportunità, magari anche illudermi, ma credere di poter fare una grande prestazione. Devo ammettere che questa notte non ho dormito, come non mi è mai successo in passato, mi sono svegliato tante volte, alla fine mi sono trovato in piedi alle 5.
La cosa più bella di oggi è stata avere Greta e Alexis a bordopista. Vivere questa emozionante esperienza e tutto l’avvicinamento insieme a loro è stato fantastico, così come fatico anche a descrivere ciò che ho provato quando li ho trovati appena dopo il traguardo e Alexis non vedeva l’ora di salirmi in braccio.
Insomma, al momento posso solo confermare che al 99% quella di oggi sarà la mia ultima 50 di Holmenkollen, ma che potrebbero esserci altre situazioni in cui divertirmi su questa distanza».
Noto che, al di là dei tuoi risultati, praticamente in ogni gara c’è almeno un azzurro che si mette in luce. Significa che il percorso è quello giusto?
«Per quanto riguarda la squadra, si. Quello che ho sempre detto: bisogna lavorare e lasciare che si lavori. Troppa gente si perde per strada, cambiando idee e percorsi, puntando il dito al di fuori da sé stessi, invece io sapevo che questo percorso avrebbe fatto bene come sta facendo, alzando il livello medio del gruppo. La linea che Markus (Cramer, ndr) detta è rivolta a tutto lo sci di fondo italiano. Ci sono stati episodi in cui coloro che sono arrivati dalle squadre Milano-Cortina o di sede, come Nöckler e Salvadori, hanno contribuito a questo innalzamento del livello medio. Quando lo alzi, succede poi che una volta uno e una l’altro tirano fuori un bel risultato.
Oggi mi faceva strapiacere vedere il numero 40 di Ventura in mezzo ai primi. Senza dimenticare ci mancava quella che è forse la carta più importante per una 50 km in tecnica classica, specie su pista del genere, come Defa (De Fabiani), piuttosto che Graz.
Io mi sento sempre più coinvolto e cerco di far capire a tutti che se anche vieni etichettato come sprinter o atleta di un certo tipo, non significa che per tutta la carriera tu debba essere così, il lavoro dà i suoi frutti.
Bisogna poi saper sfruttare le occasioni, come ho fatto io oggi con materiali eccelsi, ma soprattutto un fisico e una testa veramente sul pezzo. A proposito ci tengo a ringraziare gli skiman che oggi si sono superati.
Infine voglio anche ringraziare qualche tifoso valdostano, gressonaro, salito fin qui a fare il tifo. Per loro è stata una bella esperienza, anche perché la mitica 50 km di Holmenkollen è sempre una gara speciale, unica».
Sci di fondo | 10 marzo 2024, 20:25
Sci di fondo - Pellegrino: "Stanotte non ho dormito per l'emozione, al 99% è stata la mia ultima 50 di Holmenkollen e la gara di oggi vale una vittoria"
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