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Sci di fondo

Sci nordico – Tanti viaggi e attivismo social: il ruolo degli atleti nella lotta ai cambiamenti climatici

È sempre più sotto gli occhi di tutti come l’inverno non sia più quello di una volta. Può sembrare una frase fatta, retorica, ma è un dato di fatto che sempre più spesso, la stagione che dovrebbe essere più fredda e ricca di precipitazioni (nevose o meno, a seconda dell’altitudine) è invece calda e secca. E se il clima è concetto ben più ampio e complesso, che non può essere ridotto alla semplice meteorologia, anche quest’ultima è influenzata dai cambiamenti ad ampio spettro. Gli eventi meteorologici si fanno sempre più estremi: a precipitazioni consistenti nell’arco di poco tempo, possono susseguirsi lunghe giornate di caldo anomalo, fuori stagione.
Ed è così quelle stime che pensavamo essere a lungo tempo sugli effetti dei cambiamenti climatici sulle discipline invernali, sono sempre più una realtà con cui atleti, organizzatori e anche semplici appassionati ormai devono fare i conti tutti i weekend. Le gare si svolgono sempre più di frequente su lembi di neve stoccata e trattata quando è possibile svolgerle, perché non è più raro vedere la cancellazione degli eventi per mancanza di neve, caldo anomalo e piogge che rendono impossibile anche trattare quel po’ di neve a disposizione.
Ed ecco che diventa importante, per ogni singolo “attore” che entra sulla scena degli sport invernali, giocare il proprio ruolo in questa che una vera e propria battaglia per la sopravvivenza delle discipline che si svolgono sulla neve. Ma cosa può attivamente fare uno sciatore o un biatleta di fronte alle forze della natura? La risposta che verrebbe automatica è “nulla”, ma non è detto.
Ad esempio, come racconta fasterskiers.com, dopo la sua vittoria casalinga, Gus Schumacher è andato davanti alle tribune di Minneapolis assieme alla compagna di squadra Jessie Diggins e all’ambientalista e giornalista Bill McKibben per parlare di cambiamento climatico e di quanto rappresenti una minaccia esistenziale per lo sport che ha scelto, non più solo a lungo termine.
"Siamo uno sport che ha bisogno di neve e temperature fredde" ha detto Schumacher in “Possiamo essere un gruppo di persone che possono apportare qualche cambiamento”.
La difesa del clima è al centro della carriera del fondista statunitense, che fa parte di una coalizione di atleti outdoor chiamata Protect Our Winters e indossa il logo dell’organizzazione sul berretto quando gareggia. Non tutti gli atleti riescono o vogliono affrontare il problema così potesse farli, anche forse per il timore di passare per ipocriti, data l’impatto della propria carriera agonistica sull’ambiente, con i lunghi e ripetuti viaggi in giro per il mondo tutto l’anno. Poi c’è anche la questione sponsorizzazioni che pur essendo una risorsa fondamentale per il sostentamento di atlete e federazioni, talvolta non sono in linea con il rispetto dell’ambiente: è il caso della federazione norvegese di sci che è sponsorizzata da una compagnia petrolifera ed energetica di proprietà statale, scelta che suscita proteste e polemiche da parte degli attivisti.
Schumacher, così come Diggins sono pienamente consapevoli dell’ “imperfezione” dietro il loro modo di essere attivisti ma è anche vero che, nella lotta al clima, non a tutti può – o deve – essere richiesto lo stesso sforzo.
“Ci troviamo in un buco troppo profondo per poterne uscire una Tesla alla volta. Non è così che funzionerà” ha spiegato McKibben, scrittore, attivista e appassionato di fondo che ha partecipato all’incontro di Schumacher e Diggins sull’ambiente “La cosa più importante che un individuo può fare è essere meno individuo e unirsi agli altri per lottare per cambiare le regole politiche ed economiche fondamentali”.
Le persone possono apportare le proprie competenze ed esperienze uniche a questo sforzo, ha affermato McKibben. Alcuni possono testimoniare gli impatti dell’innalzamento dei mari; altri testimonieranno la scomparsa dell’inverno, ha aggiunto.
"Penso che l’unico requisito, ora, sia che voi siate effettivamente disposti a parlare chiaro, e per dirla in parole povere intendo la volontà di schierarsi davvero”.
Ecco dunque che, soprattutto quando si parla di atleti di punta, con grandissima visibilità, entra in gioco proprio il loro status e la piattaforma a loro disposizione: decine di migliaia di persone seguono gli atleti sui social media, e altre migliaia si recano di persona per vederli gareggiare.
"Il mezzo dello sport, e il mezzo della narrazione che va di pari passo con lo sport, è uno strumento molto potente da utilizzare per guidare il cambiamento" ha affermato Graham Zimmerman, un alpinista e regista che aiuta a gestire la coalizione di atleti di Protect Our Winters, anche lui tra i protagonisti della tavola rotonda a Minneapolis “L’ipocrisia percepita nell’essere un sostenitore del clima che viaggia molto anche per fare sport è qualcosa che rappresenta un ostacolo per molte persone. Ma è qualcosa che dobbiamo superare. Una difesa imperfetta è l’unica cosa che abbiamo”.
Anche Jessie Diggins ha affermato di aver abbracciato questo concetto.
“Naturalmente c’è un po’ di ipocrisia lì. Voliamo, per il nostro lavoro, come la maggior parte delle persone. Se abbiamo la possibilità di fare qualcosa, o qualsiasi cosa, per fare un passo nella giusta direzione, è meglio che sedersi e limitarsi a guardare il mondo bruciare”.
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