Era il 22 febbraio 1994, la data in cui quattro fondisti italiani ammutolirono uno stato intero e il loro Re. Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner alle Olimpiadi di Lillehammer nella staffetta 4x10km spodestarono le divinità norrene e sedettero sul loro trono.
La diciassettesima edizione dei Giochi Olimpici invernali -Lillehammer 1994- è celebrata oggigiorno come la più bella di sempre. La cittadina norvegese, che dista poco meno di 200km dalla capitale Oslo, non lasciò niente al caso, l’organizzazione preparò in maniera eccezionale l’impiantistica e per la prima volta prevalse il senso e lo spirito ecologico. I presenti in loco descrissero i quindici giorni in cui si svolsero le competizioni come qualcosa non del nostro mondo, le parole di Leigh Montville riportate su Sport Illustrated ne sono una riprova: “le XVII Olimpiadi invernali in realtà non sono mai esistite, la Norvegia non è mai esistita: si è trattato di Giochi fiabeschi, disegnati dall’immaginazione, messi in scena nelle pagine di un libro per bambini. La realtà non può essere così bella.”
L’Italia con la sua spedizione composta da 104 atleti (78 uomini, 26 donne) raccolse 20 medaglie, di cui sette ori, numeri mai più rivisti. I fondisti, da soli, portarono alla conta finale 9 metalli (3 ori, 2 argenti e 4 bronzi). Furono le Olimpiadi della rivalsa di Manuela Di Centa –due i titoli conquistati nella 15km a skating e nella 30km in classico-, ma l’impresa, che tutti noi ricordiamo e che giornalisti e non hanno paragonato alle più grandi imprese dello sport italiano, fu l’oro nella staffetta 4x10km maschile.
Nella mattinata polare del 22 febbraio 1994 al Birkebeneiren, lo stadio del fondo per antonomasia dedicato agli eroi della patria i Birkebeiner, erano presenti tra le 150000 e le 200000 persone -in televisione parevano milioni- sventolanti bandiere rosse con una croce bianca e blu. Tra di essi, il loro sovrano, Re Harald V -grande appassionato di sport e olimpionico-, giunto a sostenere gli dèi norreni: Sture Sivertsen, Vegard Ulvang (dominatore della rassegna di Albertville), Thomas Alsgaard e Bjørn Dæhlie, il prototipo di campione e fuoriclasse perfetto. Gli azzurri, guidati dal direttore agonistico Sandro Vanoi, scelsero di disporre i frazionisti al fine di giocarsi il tutto per tutto e non di accontentarsi di un “banale” podio. L’obbiettivo era non perdere troppo in prima frazione per poi rimontare e ritrovarsi agganciati ai norvegesi al cambio dell’ultima frazione e disputarsi l’alloro nell’ipotetica volata finale Fauner-Dæhlie. Venne così schierato il quartetto italiano: Maurilio De Zolt (quarantatreenne), Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner. Alla vigilia i pronostici ricadevano all’unanimità verso i padroni di casa, l’Italia poteva ambire al secondo posto, come avvenuto un anno prima ai mondiali di Falun.
Alla partenza il vigile del fuoco di San Pietro di Cadore, Maurilio De Zolt detto il Grillo, si trovò ad affrontare Sture Sivertsen e il finlandese Mika Myllylä. Il ritmo fu da subito elevato, De Zolt -non nella sua tecnica preferita- accorciò il passo e aumentò l’intensità per rimanere agganciato ai due nordici in combutta. Dopo soli 6km di gara al comando vi erano tre nazioni: Norvegia, Finlandia e Italia, le altre già fuori dai giochi per le medaglie con distacchi esorbitanti. Sul volto di De Zolt apparve con l’avanzare della frazione una smorfia di fatica, ma non cedette e al cambio passò il testimone con soli 9.8 secondi dalla vetta, col senno di poi l’oro venne vinto qui. Si sperava che l’azzurro potesse contenere il distacco nell’ordine del mezzo minuto, ma la prestazione che realizzò fu a tutti gli effetti un exploit. Lo stesso Vanoi, come riportò Claudio Gregori sulla Gazzetta dello Sport, disse: “Il Grillo ci ha risolto tutti i problemi. Quando ho visto che non lo staccavano, ho capito che era fatta.”
L’alpino valdostano Marco Albarello recuperò in men che non si dica lo svantaggio sulla coppia al comando piombando sul blasonato finnico Kirvesniemi e lo scandinavo Ulvang, lasciato a riposo insieme a Aalsgard nella 15km -19 febbraio- proprio per essere al meglio nella staffetta. Il terzo passaggio alla stadio presentò nuovamente un terzetto al comando, Albarello pare brillante e prova ad allungare. I chilometri che seguirono furono caratterizzati da fasi molto concitate con screzi da una parte all’altra, al termine della gara ci saranno commenti poco garbati da Kirvesniemi nei confronti di Albarello. L’alpino, però, fu capace di non farsi innervosire e in totale controllo -da esperto finisseur– chiuse l’ampia curva all’interno del Birkebeneiren e passò il testimone davanti a tutti a metà gara.
La terza frazione fu compito di Giorgio Vanzetta, finanziere di Cavalese. Si mise alla spalle di Alsgaard sin da subito. Abituato ad inseguire, come avvenuto nei precedenti appuntamenti di quella stagione, non portò mai il muso davanti. Seguì come un’ombra il norvegese e ad ogni singolo scatto dei nordici non perse nemmeno un passo, braccando a vista gli altri due contendenti alle medaglie per tutto il suo segmento di gara. Al cambio passò per prima la Finlandia con in scia Italia e Norvegia.
Il pubblico, che invase la pista quel giorno, era esperto e amante del fondo, sapeva cosa significasse una volata Fauner-Dæhlie, di sicuro non una vittoria certa per il padrone di casa. L’aria, allora, iniziò a farsi sempre più pesante e tesa, ogni attimo diventava minuto e ogni chilometro sembrava un metro. Silvio Fauner, carabiniere originario di Pieve di Cadore, studiò per filo e per segno la pista -seguendo l’esempio di Manuela Di Centa– e la strategia da adottare, voleva entrare davanti nel rettifilo finale per gestire gli ultimi 200m.
Bjørn Dæhlie, galvanizzato dalla folla, aprì il gas appena ricevette il testimone. Una serie di accelerazioni indiavolate portarono al cedimento dopo 4km del finlandese Jari Isometsä, ma non recarono nessun segno di fatica sul volto di Fauner, dotato di materiali eccezionali per l’occasione. Il tempo scorre e i metri che separano i due dall’arrivo sono sempre meno, Dæhlie deve staccare l’italiano (nella stagione 1993/1994 uno dei pochi capace di battere in più occasioni il fuoriclasse norvegese fu proprio Fauner). Al passaggio degli otto chilometri lo scandinavo iniziò una forsennata progressione, ma -ancora una volta- il carabiniere non cedette nessun centimetro e anzi copiò il passo. Da qui in poi conosciamo tutti la storia, i telecronisti di Telemontecarlo iniziarono ad avventurarsi in festeggiamenti. Dæhlie, all’ingresso per l’ultima volta allo stadio, lasciò passare Fauner. L’azzurrò vide materializzarsi la sua strategia, imboccò il rettilineo finale all’interno del Birkebeneiren davanti. Iniziò a spingere come mai prima d’ora, il norvegese provò ad uscire dalla scia, una nazione lo spingeva dal sovrano all’ultimo suddito, ma niente poté di fronte alle spinte simil pistoni per potenza di Silvio Fauner.
La linea del traguardo segnò l’esplosione di gioia di una nazione lontana dalle nevi fiabesche di Lillehammer. Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner furono consci di aver compiuto un’impresa da leggenda, che portò al Ragnarok, la sconfitta degli dèi norreni.
A trent’anni da quell’impresa è doveroso ripercorrere e narrare le gesta del quartetto azzurro. Nel pomeriggio odierno, alle ore 17:00, sul nostro canale YouTube Fondo Italia e in home sul sito verrà trasmessa una diretta in ricordo di quella giornata. Parteciperanno i quattro staffettisti, lo staff tecnico e autorità in rappresentanza di FISI e CONI.