Nel corso della tappa inaugurale di Coppa del Mondo ad Oestersund, c’è stata una prima volta molto particolare per una piccola nazione all’interno della grande famiglia del biathlon. Nella prima giornata di gare, il programma prevedeva in apertura una Single Mixed Relay. Tra i partecipanti, una coppia davvero speciale Ukaleq Astri e Sondre Slettemark, due fratelli “figli d’arte” che per la prima volta hanno portato il proprio Paese, la Groenlandia, ad essere al via di una staffetta di Coppa del Mondo.
Un traguardo immenso, per una nazione tanto piccola, con pochissimi partecipanti, pochi mezzi e neanche un Comitato Olimpico. Fondo Italia li ha incontrati nel corso delle due settimane di gare svedesi del dicembre scorso, quando insieme si sono presentati nel Media Center dello Stadio del Biathlon di Oestersund, forse un po’ intimoriti da questo mondo così più grande di loro, in particolare il giovane Sondre, classe 2004, al suo debutto assoluto nel massimo circuito, ma anche molto emozionati da questa grande chance per sé stessi e per la loro nazione.
Un traguardo per la Groenlandia, certo, ma un traguardo anche personale e familiare, visto che tutta la famiglia, a partire da papà Øystein e mamma Uiloq, sono votati al biathlon e investono tempo e risorse per far crescere questa disciplina in Groenlandia anche grazie al traino che i due giovani fratelli Slettemark garantiscono con i loro risultati.
Una dimensione familiare senza soluzione di continuità, con i figli in pista e i genitori al poligono, dopo può capitare che il confine tra sport e famiglia si perda, generando conflitti e piccoli litigi che però restituiscono ancora l’immagine di famiglia tanto cara al mondo del biathlon.
Ukaleq, Sondre, quali sono state le vostre sensazioni durante l’azzeramento, avendo portato per la prima volta per il vostro Paese in una staffetta in Coppa del Mondo?
Ukaleq Slettemark – «È stato davvero incredibile, eravamo entrambi davvero emozionati, visto che è la prima volta per mio fratello in Coppa del Mondo, e poi perché eravamo insieme come squadra. E poi provare un nuovo format, più corto e con le ricariche è stato molto divertente.»
Sondre – «Ero sicuramente nervoso, era il mio debutto in Coppa del mondo. Gareggiavamo contro i migliori atleti del mondo, quindi sapevamo che la gara sarebbe stata dura, tutto doveva essere perfetto per chiudere la gara. Quindi ero nervoso ma anche emozionato, sono davvero onorato di gareggiare in coppa del mondo per la Groenlandia e poi la staffetta è diversa e speciale rispetto alle gare individuali. Mi sentivo come un bambino nello schieramento di partenza, ma è andata bene, ho sciato bene soprattutto nei primi due giri, ma in generale tutti i giri sono stati molto veloci. Giri veloci e tiro rapido, è molto divertente cercare di stare al passo dei migliori atleti al mondo»
Ukaleq, capelli blu che ben si sposano con la divisa del suo Paese e la freschezza dei suoi 22anni, ci racconta il suo incontro con il biathlon che, a differenza di tanti atleti non è un vero e proprio incontro: ancora una volta, infatti il biathlon è al centro della sua famiglia. Non sarebbe poi così strano, del resto, affermare che la piccola Ukaleq sia nata con sci e carabina in mano.
U – «I miei genitori praticavano biathlon, sono stati loro ad avviare in un certo senso la Federazione di biathlon groenlandese, hanno iniziato quando sono nata quindi dalla nascita fino ai 4 anni viaggiavo con loro tra coppa del mondo e IBU Cup più di quanto restavo a casa. Quando poi hanno si sono ritirati hanno iniziato ad occuparsi del biathlon in Groenlandia. Poi nel 2016 ho partecipato agli Artic Winter Games, dei giochi per le popolazioni artiche, e ho vinto tutte le gare. Facevo fondo e avevo un certo talento per il tiro e da lì mi è stato permesso di partecipare alla Junior IBU Cup. A quel punto con tutta la famiglia ci siamo trasferiti in Norvegia perché volevo fare biathlon, e tutta la mia famiglia mi ha sostenuto. Ed è stato in Norvegia che Sondre ha iniziato a praticare biathlon»
Hai vinto un campionato mondiale giovanile, puoi descrivere la reazione della tua nazione alla tua vittoria?
U- «È stato pazzesco e anche inaspettato, perché praticavo biathlon da poco e non avevo molta esperienza, ma mi allenavo bene nella mia scuola in Norvegia ed ero in ottima forma, ho coperto tutti i 20 bersagli ed è stata una cosa enorme. La gente in Groenlandia era emozionata, penso fosse la prima volta che in Groenlandia qualcuno vinceva un titolo mondiale in qualunque disciplina, quindi è stata un’esperienza incredibile»
Tornate in Groenlandia ogni tanto o siete stabili in Norvegia ora?
S – «Per qualche anno abbiamo fatto avanti e indietro, ma siamo in Groenlandia ogni estate, quindi abbiamo un legame forte con il nostro Paese, c’è la nostra famiglia che visitiamo tutti gli anni. Viviamo in Norvegia ma ci sentiamo groenlandesi.»
Una piccola squadra ha tante difficoltà che possono diventare insormontabili quando le risorse sono limitate. Ecco perché i programmi della stagione, per i due fratelli, spesso prevedono qualche sacrificio reciproco e non sempre tutto può andare come vorrebbero. Se Sondre è ancora abbastanza concentrato nei circuiti cadetti, la stessa cosa non può dirsi per sua sorella, anche se non sempre possono permettersi si dividersi in due località diverse contemporaneamente. Inoltre, rispetto ai programmi che ci aveva raccontato, qualche difficoltà di forma all’inizio di stagione ha stravolto i piani di Ukaleq, che tornerà in pista questo weekend a Ruhpolding.
S – «La mia priorità per la stagione sono i Campionati Mondiali Junior a Otepaa.»
U – «Dopo natale ripartirò da Ruhpolding e non credo che andrò in Nord America alla fine della stagione. Non è lontana dal nostro Paese ma per andare in Nord America dovremmo passare prima per la Danimarca e per noi sarebbe più lungo. Quando ci separeremo tra Coppa del Mondo e IBU Cup avremo i nostri genitori che si divideranno tra noi, ma già in diverse occasioni lo fanno, quando nostro fratello e altri atleti dalla Groenlandia vanno in IBU Junior e noi siamo in IBU Cup o Coppa del Mondo.»
Grazie all’impegno degli Slettemark, il biathlon non è più una realtà così piccola e può sperare di portare nuovi talenti nei circuiti internazionali in un futuro poi non così lontano.
U – «I nostri genitori stanno lavorando molto duramente nel reclutamento nel nostro Paese. Prima non avevamo un poligono lì, ora c’è un poligono ad aria compressa di 10 m dove ci si allena quasi tutte le settimane e ci sono dei giovani atleti dalla Groenlandia che fanno la Junior IBU Cup, sono stati anche a Lenzerheide per il training camp dell’IBU. Stanno cercando di attirare più persone per far crescere la squadra. Sarebbe un sogno avere una squadra per la staffetta mista»
A proposito di sogni, avete un sogno per la vostra carriera? Se sì, quale?
U – «È difficile dire quale possono essere i margini di miglioramento. Io voglio solo migliorare e vedere quanto posso fare bene. Non so quale sia il mio potenziale, però non voglio fermarmi prima di aver dato tutto»
S – «Lo stesso vale per me, voglio sfruttare tutto il mio potenziale. E poi mi piacerebbe qualificarmi per le Olimpiadi, ma al di là di quello voglio prenderla un anno alla volta e cercare di diventare un’atleta migliore di anno in anno. E poi vediamo quanto bene posso fare.»
A proposito di Olimpiadi: la Groenlandia, in quanto territorio appartenente al Regno di Danimarca nonostante la sua autonomia, non è riconosciuta come nazione autonoma dal CIO, a differenza di quanto accade con l’IBU, e pertanto non può avere un Comitato Olimpico autonomo. Durante i Giochi Olimpici, gli atleti groenlandesi gareggiano, di conseguenza, sotto i colori della bandiera danese. E questa cosa è vissuta in maniera contrastante: da un lato, la voglia di rappresentare il proprio Paese, dall’altro, la riconoscenza per i tanti tifosi danesi che li sostengono.
U – «Nostra madre è nata in Danimarca ma io non mi sento danese, non ho mai vissuto lì, abbiamo alcuni familiari che ci vivono ma penso che sia strano in un certo senso, come se gareggiassi per la Francia non essendo francese, ma allo stesso tempo vedo che ci sono un sacco di fan danesi che seguono il biathlon ed è carino avere un legame con loro in qualche modo. In più è difficile per la Groenlandia ottenere un comitato olimpico perché siamo troppo pochi. Quando ho partecipato alle Olimpiadi per la Danimarca è stata una bellissima esperienza con tanti compagni di squadra, una federazione che si è occupata di noi. Ma ovviamente mi piacerebbe poter gareggiare alle Olimpiadi sotto la bandiera groenlandese»
Al momento, proprio per questa situazione molto familiare, i due giovani si appoggiano ad un team norvegese privato che li sostiene e li guida negli allenamenti e nella preparazione.
U – «Siamo entrambi in un team privato, l’1.5 Lillehammer, con 19 atleti e 2 allenatori, facciamo raduni una volta al mese e allenamenti quotidiani»
S – «È una cosa molto buona per una federazione così piccola come la nostra avere la possibilità di poterci allenare in un team privato, e avere la possibilità di allenarci con altri atleti e avere diversi allenatori a disposizione non avendo una vera e propria squadra»
Com’è avere dei genitori che vi seguono anche come allenatori?
U – «In realtà sono più dei team leader ma non sono i nostri allenatori, non hanno nulla a che vedere con il nostro allenamento. Ad ogni modo ha i suoi lati positivi e negativi, è bello averli con noi, ci sono atleti che non vedono la propria famiglia per tutto l’inverno durante le gare anche perché hanno una grande conoscenza del biathlon. A volte è necessario separare le due cose, un giorno sono i miei genitori, un giorno sono i capi della squadra, ad esempio a volte ci scontriamo sull’opportunità di fare la coppa del mondo o l’IBU Cup, io vorrei fare la Coppa del Mondo visto che sono qualificata per farla ma loro hanno altri piani per il mio sviluppo ma anche per l’organizzazione con mio fratello e quindi talvolta ci scontriamo ma mi devo ricordare che in quel momento stanno parlando come team leader e non da genitori»
Ukaleq, come ogni ragazza della sua età che si rispetti, ama spaziare nei suoi interessi. Dimostra di essere molto energica e ispira subito tanta simpatica quando parla, e lo conferma anche ci ha raccolto questa intervista. Insomma, il profilo perfetto per partecipare ad un programma tv, andato in onda la scorsa estate.
U- «È stato registrato in aprile, era un corso di 8 giorni di allenamenti militari ispirato alle forze armate danesi. C’erano un sacco di sfide molto diverse e toste, e si veniva eliminati se non si era considerati buoni abbastanza oppure uscire da solo se volevi. È stata la cosa più difficile che ho fatto in vita mia, più difficile del biathlon, perché erano 4-5 esercizi al giorno, sempre al massimo, con pochissime ore di sonno, niente cibo ma penso sia stato un buon allenamento mentale.»
Infine una domanda di rito da cui non potevamo esimerci. Cosa vi piace del biathlon e chi è il vostro biathleta preferito?
U – «La cosa che mi piace di più è la biathlon family, tornare in gara e rivedere tutte le persone. Ma anche l’idea di poter migliorare e svilupparti in allenamento e lavorare sui dettagli e capire come migliorarli. Il mio atleta preferito è Bjørndalen perché era quasi in un nerd in un certo senso, sempre alla ricerca di miglioramenti, guardava ai dettagli»
S – «Direi che la stessa cosa vale per me più o meno, e poi mi piace che non puoi fare biathlon senza gli avversari che diventano anche un po’ amici e mi piace tutta la gente che fa parte del giro, è davvero bello tornare a gareggiare con le persone che conosci. Un’altra cosa che mi piace tanto del biathlon è vedere come e quanto le cose possono cambiare giorno dopo giorno con il tiro, un giorno sei tanto deluso e il giorno dopo felicissimo, ma anche come la concentrazione può cambiare totalmente l’esito di una gara grazie al tiro.»
Viaggio in Groenlandia, dove il biathlon è una questione di famiglia: conosciamo i fratelli Ukaleq Astri e Sondre Slettemark: “Un giorno sarebbe un sogno gareggiare nella staffetta mista”
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