Biathlon - 07 dicembre 2023, 19:10

Biathlon - Fondo Italia intervista Émilien Jacquelin: "Noi atleti non siamo mai soddisfatti, ma è una trappola. Dobbiamo imparare ad apprezzare ciò che abbiamo fatto"

Foto credit: Dmytro Yevenko

A Östersund, Émilien Jacquelin è tornato a gareggiare in Coppa del Mondo a nove mesi di distanza dal Mondiale di Oberhof, quando aveva deciso di fermarsi per ritrovarsi e lavorare su sé stesso, avendo perso fiducia e piacere nel gareggiare. In occasione del weekend svedese, il due volte campione del mondo nell’inseguimento, innamorato dell’Italia e desideroso di migliorare il suo italiano, ci aveva promesso un’intervista, che è stata impossibile da realizzare nella freddissima mixed zone della splendida località svedese. Così, grazie all’ottimo lavoro dell’ufficio stampa della nazionale francese di biathlon e la grande disponibilità del biatleta transalpino, lo abbiamo contattato mercoledì pomeriggio a Hochfilzen, dove Jacquelin sta preparando la tappa austriaca.

Con lui, un po' italiano e un po' in inglese, abbiamo affrontato tanti argomenti, a partire dal percorso per ritrovare sé stesso, trovando un ragazzo che sta cercando di seguire il proprio modo di vedere lo sport, per vivere bene la sua carriera da professionista, al di là dei risultati. Il biatleta francese vuole mettere al centro l’uomo Émilien, prima del Jacquelin professionista e due volte campione del mondo. Parole che offrono spunti molto interessanti.


Foto credit: Dmytro Yevenko

Ciao Émilien, come è stato questo ritorno in Coppa del Mondo dopo tanti mesi di pausa?

«Ho sentito forse un po’ di stress, perché erano tanti mesi che non gareggiavo in Coppa del Mondo. Addirittura, a Östersund ho disputato il mio primo inseguimento da quello a Le Grand Bornand del dicembre 2022. Ero già preparato alla possibilità che in questa prima settimana avrei potuto trovare delle difficoltà. Sono però molto contento della condizione fisica e anche mentale, perché non ho avuto paura e sugli sci mi sono sentito bene. Per quanto riguarda il tiro, credo di avere solo bisogno di un po’ di tempo per essere al mio livello. Al poligono non ho avuto delle buone sensazioni, ma ho solo bisogno di gareggiare per ritrovarle. Mi serve tempo, devo avere pazienza e continuare a lavorare sul tiro. Vediamo se già a Hochfilzen ci saranno dei passi avanti».  

Restiamo sul tiro. Che cosa hai fatto in questo periodo? Hai svolto un lavoro esclusivamente mentale oppure hai anche apportato qualche cambiamento tecnico?

«Ho voluto solo tornare indietro al tiro precedente, quello che avevo quando ho ottenuto i miei migliori risultati. Negli ultimi anni ho provato a fare qualcosa di diverso, ma non mi sono sentito a mio agio con queste novità, non mi sentivo sicuro e non provavo nemmeno piacere. Per un anno e mezzo non sono stato me stesso. Oggi sto cercando di credere fortemente alla mia maniera di fare biathlon. In ogni gara a Östersund ho sentito che le cose stavano andando sempre meglio sia mentalmente che tecnicamente. Ovviamente, al momento, le cose non vanno ancora completamente bene».

Sei venuto da un periodo difficile. Anche altri atleti hanno avuto problemi simili, come da noi, in Italia, Lisa Vittozzi, che oggi è tornata ad altissimo livello. Cosa pensi del suo ritorno? Tu che tipo di percorso hai fatto?

«Intanto, sicuramente è stato importante l’aiuto che ho ricevuto dalla mia famiglia, i miei genitori, gli amici, e anche il mio psicologo. Non ho pensato a come tornare a vincere le gare o il titolo mondiale, ma prima di tutto avevo bisogno di capire perché faccio biathlon e perché è difficile per me reggere lo stress che sento dai media e dai miei tifosi, che sono ben felice di avere. Ho visto che anche Lisa ha avuto un lungo periodo difficile. Io credo che il tiro rifletta in qualche modo la nostra testa, se non ti senti bene mentalmente non è possibile essere un buon biatleta.
Per quanto riguarda me, ma penso valga lo stesso anche per Lisa ed altri, quando eravamo giovani abbiamo avuto persone che si sono sempre aspettate molto da noi, forse in un certo momento abbiamo smesso di essere noi stessi, non abbiamo più pensato a noi ma a fare le cose per le altre persone. Ecco, Lisa ha fatto veramente bene in passato, quindi tutti volevano che lei continuasse così, ma a volte tutto diventa troppo per un atleta. A quel punto bisogna forse distruggere tutto per poi ricostruire. Io penso che per Lisa sia stato così e ci sia voluto molto tempo, ma ora è tornata».


A che punto sei?


«Per quanto mi riguarda, sto seguendo la mia strada, penso di aver ritrovato il piacere di essere in gara. Anche se finisco ventesimo, sono soddisfatto se so di aver dato il cento per cento. È bello ritrovare questo tipo di sensazione, anziché essere qualcuno che non è mai orgoglioso di ciò che ha fatto nella sua carriera, perché vuole sempre di più. Nel periodo che mi ha portato fino alle gare di Östersund, ho compreso di aver fatto qualcosa di grande in passato e devo esserne orgoglioso. Essere nella top venti in Coppa del Mondo è sempre difficile, quindi salire sul podio, vincere due titoli mondiali ed altro è fantastico. Spesso siamo troppo concentrati sul voler lottare per il podio o per la vittoria ad ogni gara, non siamo mai soddisfatti, vogliamo sempre di più, ma a volte ciò è una trappola, non riusciamo a guardare indietro ed apprezzare il fatto che siamo fortunati a essere qui in Coppa del Mondo e praticare lo sport che amiamo. Penso che dobbiamo provare a dare il meglio a ogni gara, se ci riusciamo è una grande cosa, ma dobbiamo accettare che lo sport è come la vita, non tutti possono vincere ogni giorno. Questo è il mio nuovo modo di approcciare il mio
sport, ma sono ancora molto motivato di vedere cosa a posso fare con questa mentalità di spingere me stesso al limite ogni giorno. Forse non sarò in grado di lottare di nuovo per dei titoli o vincere medaglie, o forse si, ma voglio essere me stesso. Poi, se riuscirò a ottenere altri podi in carriera, voglio riuscire a essere veramente grato di quello che ho fatto, del lavoro delle persone attorno a me e tutto il resto, perché quando siamo giovani tendiamo a dimenticare queste cose, siamo concentrati soltanto su noi stessi, su medaglie e vittorie, dimenticando il percorso che abbiamo fatto. Penso che sarò più orgoglioso dei futuri podi rispetto al passato».


Foto credit: Manzoni/IBU


Ecco, collegandomi anche questa cosa, ho visto che hai creato un canale broadcast su Instagram. Qual è lo scopo? Fa parte di questo tuo percorso?

«Io sono uno sportivo di alto livello, ma penso prima di tutto di essere un uomo. Nella vita, noi sportivi abbiamo il compito di dimostrare che non conta solo la vittoria, ma essere anche noi stessi. È importante per me mostrare alla gente, che forse sono un buono atleta, ma come tutti posso essere di cattivo umore, che oltre a lottare sempre in gara, ci sono anche altri aspetti di me, come l’amore per la musica e altre passioni. Ecco, questo canale broadcast ha proprio questo scopo. Qualche volta tendiamo troppo a idolatrare gli atleti per le loro prestazioni, anziché considerare anche le persone che sono. Voglio quindi solo mostrare chi sono al di là dell’essere atleta».

Lo staff tecnico della nazionale francese è stato rivoluzionato dopo la chiusura della passata Coppa del Mondo. Come stanno andando le cose? Cosa è accaduto col passato staff tecnico? Ricordo per esempio una brutta reazione di Vittoz.

«Sicuramente quanto successo a Oslo nell’ultima tappa della passata Coppa del Mondo è stato difficile per noi, perché non ci aspettavamo quella reazione dal nostro allenatore. Noi atleti volevamo soltanto un nuovo modo di lavorare, una boccata d’aria fresca, perché a volte, nella vita, si ha bisogno semplicemente di qualcosa di nuovo. Lo volevamo tutti. Certo, magari per alcuni il modo può non essere stato bello, ma volevamo soltanto il meglio per la nostra squadra, poter continuare a migliorare per combattere sempre in Coppa del Mondo. Pensavamo tutti che cambiare allenatori magari non fosse la soluzione, ma una nuova maniera di iniziare nuove cose.
Quando sono arrivati Simon Fourcade e Jean-Pierre Amat, noi già li conoscevamo bene, perché Simon è un buon amico e per il team è un vecchio compagno di squadra, mentre Amat ha forse allenato ognuno di noi in passato, negli anni giovanili. Lui conosce bene tutti nel team. È un modo diverso di allenarsi, ma penso che sicuramente tutti si aspettano tanto dalla nostra squadra. Forse, nell’ultima settimana non abbiamo avuto il livello che tutti si aspettano da noi, ma credo ci voglia tempo per vedere i risultati del cambiamento che abbiamo fatto. Sono convinto al cento per cento, che tutta la squadra migliorerà sia al tiro che sugli sci. Penso, però, che si tratti anche di un progetto triennale fino alle Olimpiadi ad Anterselva, dobbiamo solo continuare a lavorare ed essere concentrati».




So che sei appassionato anche di tanti sport, come basket e ciclismo.


«Ho tanti amici che sono ciclisti professionisti. Da giovane, io ho praticato tanto ciclismo, solo a diciassette anni ho scelto di continuare nel biathlon. Andare in bicicletta mi fa stare bene. Infatti sono andato alle Strade Bianche quest’anno, e anche a Cesenatico per vedere il museo su Marco Pantani. Il ciclismo è una parte di me, della mia vita. Come ho detto in passato, faccio biathlon come avrei fatto ciclismo, sempre all’attacco, facendo a volte qualche gioco tattico con gli altri. In alcuni casi
non è il modo migliore per vincere, ma mi piace tanto gareggiare in questa maniera. Ogni tanto dobbiamo seguire anche quel piacere che ci ha spinto a scegliere un determinato sport, ce lo fanno amare, non pensare soltanto a come vincere una gara»

Il ciclismo è stato utile nella tua carriera da biatleta?

«Si, proprio nella capacità di utilizzare alcuni tatticismi. Mi piace pensare molto nel corso delle gare a come posso avere la meglio sugli altri, magari ogni tanto aspettare per poi provare a staccarli in un punto a me favorevole. Nel biathlon non ci sono molti biatleti che lo fanno. Penso che pensare da ciclista sia un vantaggio e, come ho detto, mi piace farlo».


Nel 2030 la Francia ospiterà le Olimpiadi Invernali, allora avrai 35 anni. Esse potrebbero rappresentare per te una motivazione ad andare avanti fino a quell’età?

«Sicuramente mi piacerebbe essere a quelle Olimpiadi, magari non da atleta, ma lavorando nell’organizzazione o in un altro ruolo. Penso che questo evento rappresenti qualcosa di grande nel nostro paese e ritengo che la Francia abbiamo tutte le infrastrutture necessarie per ospitarlo. Sarei contento di esserci in qualsiasi ruolo, magari non come atleta, ma vedere in gara gli atleti delle nuove generazioni».

Concludiamo parlando di questa tua passione per la lingua italiana.

«Mi piace migliorare il mio italiano, perché da quando sono giovane amo l’Italia. Sono tifoso di Marco Pantani e credo sia stato anche questo a farmi amare il vostro paese. Ho studiato italiano a scuola e appena posso cerco di parlarlo, anche perché vado spesso in vacanza nel vostro paese. Credo di conoscere meglio l’Italia della Francia, perché ho visitato più città italiane che francesi (ride, ndr)».

La tua preferita?

«Roma. Mi piace tanto la sua storia e l’architettura».

Giorgio Capodaglio