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Biathlon – Simon Fourcade a Biathlonworld: “L’obiettivo era ottenere questo ruolo dal 2026. In squadra abbiamo il giusto mix di atleti esperti e giovani, sarà una stagione di rivalsa”

Fonte: profilo Instagram Simon Fourcade

Simon Fourcade si è ormai da molto tempo scrollato di dosso l’appellativo di "fratello di Martin". Nella sua carriera da biathleta professionista ha ottenuto 8 podi individuali, ma non è mai riuscito a salire sul gradino più alto, se non in staffetta, dove si è tolto pesanti soddisfazioni. Come miglior risultato vanta una medaglia d’argento nella 20 chilometri iridata di Ruhpolding 2012. Il 39enne di Perpignon ha fatto un grande passo lo scorso aprile, passando alla posizione di capo allenatore della squadra maschile francese. Questa l’intervista che Biathlonworld ha realizzato in compagnia del tecnico francese.
Da qualche parte, nel profondo della tua mente, ti stavi già preparando da molto tempo per diventare l’allenatore della Francia? 
"Ho sempre pensato che quando avrei trovato lavoro sarebbe stato come capo allenatore di una squadra del genere. Poteva essere la Francia o un’altra squadra di alto livello della Coppa del Mondo. Ci stavo pensando, lo speravo davvero, ma non pensavo che sarebbe stato così veloce. Molte cose sono arrivate contemporaneamente. Pensavo che dopo quattro anni con le juniores sarei passato all’IBU Cup, il passo successivo, ma le cose in seno alla squadra francese sono cambiate. Quando mi hanno proposto questo lavoro ho rflettuto molto prima di prendere la decisione. Avevo pensato a questo tipo di lavoro dopo il 2026".
Anche se hai appena iniziato a questo livello, allenare e avere successo con gli junior è stato il trampolino di lancio perfetto? 
"Penso che essere l’allenatore della squadra junior mi abbia aiutato a imparare molte cose, perché lo staff non è così numeroso. Dovevo gestire la formazione, la logistica e talvolta anche gli sci. Ho imparato molte cose e ho acquisito ho una visione ampia di quali possono essere i problemi e come fare per risolverli. Agli junior devi spiegare tutto mentre qui gli atleti sono esperti, ma così facendo ho imparato cose che mi hanno aiutato a formarmi come allenatore. Ora, quando gli atleti hanno bisogno di una risposta a un qualsiasi problema, penso di potergliela dare".
Sei stato compagno di squadra di molti di questi ragazzi, com’è non essere un compagno di squadra, ma il "capo?"
"Fin dall’inizio ho parlato molto con tutti per sapere quali fossero le loro esigenze e se fossero d’accordo con il mio programma. Potrei non essere d’accordo con loro su tutto e viceversa, ma penso che la discussione sia il modo migliore per trovare un compromesso. Questa è una squadra interessante con quattro ragazzi che sono team leader e tre giovani di talento che ho allenato per almeno un anno. C’è una doppia sfida: quelli esperti che hanno bisogno di competere al massimo livello e potrebbero aver bisogno di nuove motivazioni. Per i giovani atleti il ​​compito è svilupparli e portarli al top. Per loro non esiste alcuna pressione, ma uno sviluppo a lungo termine. Per quanto riguarda il gruppo più anziano invece, loro vogliono i risultati adesso".
Come gestisci Eric Perrot che è giovane e ha ottenuto buoni risultati; lo tieni un po’ indietro? 
"No, per niente, nessun limite. Non si pone limiti, quindi perché dovrei voler fissare dei limiti io? Capisco che sia ancora giovane e forse a volte sarebbe bello fare un passo indietro, ma è un ragazzo davvero intelligente. Non avevo mai visto prima in Francia un ragazzo della sua età accettare un passo indietro in IBU Cup, senza discutere, poiché non aveva ottenuto buoni risultati. Poi è tornato e ha ottenuto un podio prima della fine dell’anno. Sa cosa deve fare".
È bello avere Jean-Pierre (Amat, ndr) al poligono, sapendo quanto è bravo? 
"Sicuramente Jean-Pierre ha molta esperienza; tanto lavoro alle spalle, essendo in Coppa del Mondo da più di 20 anni. È bello stare con lui. Anche se non sono un allenatore di tiro, la sua esperienza mi aiuta a sapere come reagire in alcune situazioni. È super calmo e non mostra praticamente emozioni nei giorni di gara, il che è molto importante per gli atleti; quando ci sono le gare per lui è come se fosse un giorno come tutti gli altri".
Vedo molta quota nel piano di allenamento, puntando ovviamente al 2026; quanto è importante questo? 
"L’altitudine non è stata un punto debole per noi, ma è un obiettivo a lungo termine. Sappiamo tutti cosa accadrà tra tre anni (Milano/Cortina 2026, ndr). Conosciamo la pista e il luogo e sappiamo come l’altitudine influenza le prestazioni. Bisogna imparare a stressare il proprio corpo e a lavorare bene a tale altitudine. Durante ogni stagione hai forse 30 possibilità di ottenere buoni risultati e salire sul podio. Ma se pensi ai Mondiali o alle Olimpiadi, hai una possibilità. Se non sei davanti nella sprint, perdi l’inseguimento. Ciò che voglio è che siano pronti per questo evento, non da ignorare gli altri eventi, ma che mi concentri sull’obiettivo più importante a lungo termine". 
Qual è la cosa più importante nell’avere un buon rapporto di coaching con gli atleti? 
"La discussione è la cosa più importante. Non sono il tipo di allenatore che mette sul tavolo le sue decisioni. So che bisogna avere la mano forte per mantenere un po’ di ordine nel gruppo, ma comunque è sempre la discussione è il modo migliore per risolvere i problemi". 
Non c’è bisogno di obiettivi specifici, ma qual è la cosa più importante nel tuo primo anno
"Voglio che i ragazzi raggiungano il loro livello. L’anno scorso è stata una stagione complicata per tutti loro. Voglio che siano soddisfatti a fine stagione. Vorrei che i grandi aiutassero i giovani a svilupparsi e ad acquisire più esperienza in Coppa del Mondo. Voglio vedere gli atleti con più esperienza tornare ai vertici della Coppa del Mondo, aiutarli a dare il massimo. Se ciò accadrà, sarò soddisfatto".

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