Non vede l’ora di unirsi alla nazionale juniores ed iniziare ad allenarsi. Alice Pacchioni, classe 2004 cresciuta nel Gruppo Sportivo VV.F. G. Godioz, vuole mettere da parte una primavera un po’ complicata.
La giovane valdostana, che nella passata stagione ha preso parte ai Mondiali Youth di Shchuchinsk, sta infatti recuperando a seguito di un’operazione al menisco. Le sue giornate sono quindi riempite dallo studio, per recuperare lezioni e verifiche perse nel corso della stagione, e la fisioterapia per recuperare dalle problematiche al menisco.
Pacchiodi ha trovato però il tempo per rispondere alle nostre domande, spiegarci quanto sia importante per lei l’ingresso in nazionale, descriverci le problematiche fisiche che l’hanno tormentata nel corso della sua stagione e raccontarci un po’ la sua storia. La valdostana, che ha ben due gemelli (un fratello e una sorella) ha parlato di come ha iniziato e di quanto sia stata forte la sua passione anche di fonte alle prime difficoltà.
Ciao Alice. Complimenti per l’ingresso in nazionale juniores. Cosa significa per te?
«È una grandissima soddisfazione e rappresenta uno stimolo per continuare a dare il meglio di me. Entro in un ambiente nuovo, dove trovo nuovi compagni e allenatori, sicuramente è un’opportunità per migliorare atleticamente e a livello personale. Certamente non è un punto di arrivo.
Credo sia molto importante avere l’opportunità di allenarmi con atlete che hanno già colto diversi importanti risultati internazionali. Conosco molto bene Astrid (Plosch, ndr) e ho conosciuto quest’anno anche Fabiana (Carpella, ndr). Con entrambe mi sono trovata subito bene e certamente ho tanto da imparare da loro. Credo che ci sono tutte le condizioni per svolgere un bel lavoro. Ne ho bisogno perché, come si è visto anche ai Mondiali Giovanili, ci sono molti aspetti su cui devo migliorare».
Puoi spiegarci quali sono?
«Ritengo di dover migliorare soprattutto nel tiro in piedi. Ultimamente ho fatto alcuni passi avanti, ma devo essere più precisa e costante nei tempi di esecuzione, in quanto tendo spesso a velocizzare durante la serie. C’è poi anche tanto da migliorare sulla tecnica di sciata. Inoltre devo migliorare anche mentalmente e nella mia routine, in quanto devo imparare a organizzarmi meglio, soprattutto in questo periodo in cui ho questo problema al ginocchio».
Che problema hai avuto?
«Un anno fa avevo iniziato a sentire male al ginocchio sinistro, avevo fatto diversi esami ed era uscito fuori che avevo un problema al menisco interno. I medici ritenevano che potesse migliorare nel corso dell’anno attraverso la fisioterapia ed effettivamente un po’ era migliorato, ma continuavo a sentire dolore e faticavo a correre. Ciò mi aveva anche costretto a stare tanto ferma nel corso della passata estate. Il problema me lo sono poi portata dietro anche per tutta la stagione, in particolare quando ho trovato condizioni di neve ghiacciata, così a fine stagione, insieme agli allenatori e ai dottori, abbiamo optato per l’intervento chirurgico. Ora mi auguro sia tutto risolto».
Nonostante le difficoltà fisiche hai disputato un’ottima stagione, guadagnandoti un pettorale per i Mondiali giovanili e chiudendo al secondo posto in Coppa Italia Giovani. Mi ha impressionato soprattutto la tua continuità. Cosa ti ha portato a questa crescita?
«Sono molto contenta dell’ultima stagione, perché è stata quella in cui ho imparato di più. Per questo devo ringraziare tanto gli allenatori del comitato. Purtroppo ho avuto tanti problemi fisici, anche per colpa mia, perché non riesco mai a fermarmi e ho solo peggiorato la situazione. A fine stagione ero veramente tanto stanca e ci messo tanto a recuperare. Ho imparato la lezione, bisogna sapersi anche fermare. Quest’anno non l’ho fatto.
Se sono comunque riuscita ad avere continuità nel corso della stagione lo devo tanto all’aiuto degli allenatori del Comitato Asiva. All’inizio della stagione ero giù per i problemi al ginocchio e alla prima gara a Forni Avoltri ho anche sparato male. Allora Stefano Saracco mi ha tirato su di morale, mi ha invitato a non abbattermi, a non pensare solo al risultato ma a tutto il lavoro fatto in estate. Queste sue parole mi hanno dato convinzione in me stessa. Durante la stagione ho trovato maggiore continuità soprattutto al tiro, dove avevo avuto tanti problemi nelle stagioni precedenti. Nel fondo, invece, di solito iniziavo bene e andavo in calando. Se tutto è andato meglio lo devo quindi a Stefano Saracco e Marino Oreiller, rispettivamente allenatore di fondo e di tiro. Entrambi mi sono sempre stati vicino, tirandomi su di morale quando mi vedevano giù».
Com’è stato essere allenata da Stefano Saracco, allenatore che ha vinto tanto nella sua carriera con Pellegrino e Lampic?
«Veramente tanto bene. Così come Marino, Steo è una persona tanto disponibile. Mi ha cambiato completamente allenamento, ho iniziato a fare dei lavori diversi. Lui è una persona veramente competente, che ama il suo lavoro e a cui piace stare con i giovani. Saracco è bravo a parlare e ad insegnare. Così come Marino, anche lui dà sempre il centodieci per cento di sé stesso. È stato bello lavorare con lui nel fondo e Marino al tiro, dove è stato veramente bravo con me. Saracco credo sia uno degli allenatori con cui mi sono trovata meglio, perché tende ad aiutarti tanto a livello mentale, si vede che è esperto e ha vissuto tante esperienze. Steo riesce sempre a farti guardare la parte positiva e non abbatterti. Poi quando deve farti capire dove hai sbagliato cerca di spiegarlo sempre con serenità e tranquillità. Per questo l’ho apprezzato tanto».
Cosa è successo in Val Martello? Come mai non hai preso parte alle ultime gare della stagione?
«Sono arrivata che stavo male dopo i Mondiali, avevo la febbre e Marino mi ha detto di non partire e pensare solo a guarire, così mi sono ritirata. Allora sono tornata a casa e mi sono riposata due settimane di fila».
Hai avuto l’opportunità di prendere parte alle tue prima competizioni internazionali. Cosa hai imparato da un contesto più ampio rispetto a quello italiano?
«Innanzitutto far parte della squadra azzurra ai Mondiali di Shchuchinsk ha rappresentato per me una grande soddisfazione e una forte emozione. Ho avuto l’opportunità di imparare da atleti più esperti in competizioni internazionali, ho osservato anche il loro modo di approcciare la gara e capito dove dover migliorare su quell’aspetto e più in generale su cosa devo lavorare per crescere come atleta. Inoltre ho avuto modo di conoscere gli allenatori che mi seguiranno in questa stagione e ho trovato persone con passione, che lavorano con serietà riuscendo anche a trasmettere serenità. Sono felice di ritrovarli quest’anno e lavorare con loro per tutta la stagione».
Torniamo indietro nel tempo: puoi raccontarci i tuoi inizi nel biathlon?
«Ho cominciato tardi a fare sci di fondo, perché da bambina praticavo ginnastica artistica. A causa di alcuni problemi fisici sono stata costretta ad abbandonare questa disciplina e, dal momento che da sempre non riesco mai a stare ferma, dovevo sempre riempire la giornata praticando qualche sport.
Ho così iniziato a sciare, seguendo una mia amica. Allora tutti i weekend la mia famiglia ha iniziato ad andare sulla neve e successivamente mi sono iscritta allo sci club dei Vigili del Fuoco di Godioz, dove c’era anche il biathlon. L’allenatore Enrico Communod ha fatto provare sia me che mio fratello a sparare con l’aria compressa. Ci è piaciuto e abbiamo così iniziato ad allenarci assieme. Si è formato subito un bel gruppo, tanto che con i miei compagni di squadra di allora ci alleniamo spesso ancora assieme e sono tutt’ora legata con gli allenatori e i ragazzi con cui ho iniziato».
Hai subito capito che il biathlon era lo sport giusto per te?
«Non proprio (ride, ndr). Vi racconto un episodio. Avevo appena iniziato ed ero al secondo anno della categoria “Ragazzi”. Non sparavo molto bene e mi buttavo un po’ giù, così mia mamma mi diceva che potevo pur sempre passare allo sci di fondo, visto che avevo un buon ritmo sugli sci. Io volevo però provare a fare almeno una gara, anche se in allenamento ero colei che sparava peggio all’interno del gruppo.
Avevo quindi intenzione di partecipare a tutti i costi a una gara Regionale a Rhêmes-Notre-Dame, poi se fosse andata male avrei lasciato. Quel giorno faceva freddissimo, addirittura -18 gradi, tanto che la gara era stata rinviata di tre ore. Mia mamma mi diceva di tornare a casa, perché aveva paura che se fosse andata male mi sarei buttata giù, visto che sin da piccola ho sempre preteso tanto da me stessa.
Alla fine, però, rimasi lì, sentivo che era la mia gara di prova per capire se proseguire o meno, era una sfida personale. Chiusi la gara con 0-1, come non mi era mai accaduto fino a quel momento, arrivai seconda e ricordo il sorriso di mia mamma all’arrivo. Allora capii che ce la potevo fare ed era solo una questione di testa. Il biathlon era ciò che volevo e anche mia mamma si è convinta di ciò, tanto che da allora mi ha sempre sostenuta».
Cosa ti spinse a insistere tanto?
«Mi piace troppo il biathlon. Credo ciò sia legato alle sensazioni che mi dà. Mi è sempre piaciuto fare fatica, ma rispetto allo sci di fondo ho subito sentito che il biathlon mi dà qualcosa in più. C’è il poligono, dove devo concentrarmi e pensare a quello che bisogna fare, devo stare sola con me stessa, tutto dipende da me e dal lavoro che faccio».
C’è un o una atleta in particolare che è il tuo punto di riferimento nel biathlon?
«È Tiril Eckhoff, anche se purtroppo ha smesso. Mi piaceva molto il suo sorriso. È sempre stata un personaggio positivo per il nostro sport, allegra e sorridente, ma soprattutto fortissima su ogni aspetto della nostra disciplina, al poligono e sugli sci. Come si è visto anche quando ha lasciato, pure con le avversarie ha sempre avuto un rapporto amichevole. Mi è dispiaciuto tanto per i problemi che ha avuto nell’ultimo anno. È stata un’atleta veramente forte».
Vedere degli atleti valdostani come Comola e Bionaz vincere delle medaglie ai Mondiali, è uno stimolo in più per tutti voi cresciuti nell’Asiva?
«Sicuramente vedere loro vincere medaglie, così come Nicolò Betemps avere successo in campo giovanile, è un grande stimolo per tutti noi. Non soltanto per me, ma anche per tutti i miei compagni e le mie compagne di squadra, anche chi è appena aspirante. È bello vedere tanti valdostani in nazionale e due di loro vincere addirittura delle medaglie. Sono felice per loro e per l’Asiva, perché è il segnale che il biathlon valdostano sta facendo dei grandi passi avanti in questi anni».
La nazionale juniores è una tappa importante della tua giovane carriera. Chi vuoi ringraziare?
«Senza alcun dubbio dico grazie al Comitato Asiva, che soprattutto quest’anno mi ha dato una grande mano, facendomi crescere tanto anche a livello personale. Ci tengo a ringraziare il Gruppo Sportivo Vigili del Fuoco di Godioz che mi hanno fatto muovere i primi passi. In particolare voglio dire grazie a Marino Oreiller, Rayan Chapellu, Enrico Communod, Gianni Gens e Stefano Saracco.
Un grazie ai miei genitori è poi doveroso, perché mi hanno sempre sostenuta sia dal punto di vista personale che economico. Poi ringrazio mio fratello e mia sorella. Siamo tre gemelli e siamo tanto legati, è anche difficile da spiegare quanto sia stretto il rapporto tra noi».