Carlotta Gautero è una delle giovani promesse del biathlon italiano, capace di bruciare le tappe, tanto da guadagnarsi addirittura l’ingresso nella squadra juniores pur essendo ancora una classe 2006. La giovane piemontese di Entracque, cresciuta in quello Sci Club Alpi Marittime capace di far emergere tanti atleti in questi anni, ha mostrato nella passata stagione di poter addirittura competere con atlete più grandi di lei, sia nella prima parte, quando le 2006 venivano confrontate con le 2005 per effettuare le convocazioni agli EYOF, ma anche successivamente, quando i selezionatori della nazionale italiana hanno deciso di testarla e farla gareggiare con la categoria Giovani, lei che era ancora aspirante, per capire se potesse addirittura guadagnarsi la convocazione per il Mondiale Giovani di Shchuchinsk.
La giovanissima cuneese, aggregata alle Fiamme Oro di Moena, ha sfruttato la sua occasione e anche in Kazakistan ha mostrato di avere un bel potenziale, sfiorando addirittura il podio nell’individuale, lei che proprio nel tiro ha il maggior margine di miglioramento. Alla fine della stagione, al di là dei titoli nazionali, sono arrivate anche due medaglie internazionali, entrambe in staffetta, con la mista agli EYOF, quartetto tutto “griffato” Entracque, e con la staffetta femminile ai Mondiali Giovani.
Niente affatto timida, Carlotta Gautero non ha nessun timore nemmeno quando deve affrontare un’intervista, anzi, così come in pista, anche a parlare è velocissima, mettendo non poco in difficoltà chi deve trascrivere sul momento ciò che dice. La cosa che ci ha colpito è la sua determinazione, la voglia di lavorare su sé stessa, di cogliere e capire gli aspetti da migliorare, soprattutto dopo aver avuto le sue prime esperienze internazionali e aver compreso che si può andare ancora più forte sugli sci, curando meglio alcuni aspetti che la giovane della Valanga Arancio, come viene comunemente chiamato lo Sci Club Entracque Alpi Marittime, ha già ben chiari.
Ciao Carlotta, complimenti per l’ingresso nella nazionale Juniores. Cosa significa per te aver fatto questo passo pur entrando in realtà solo quest’anno nella categoria Giovani?
«Sicuramente è un’emozione, perché questo mi permetterà di allenarmi con atlete più grandi. Cercherò di sfruttare questa possibilità, che non è scontata e non capita a tutte. Sono contenta, anche perché non me l’aspettavo. Sapevo di aver fatto una bella stagione, ma dal momento che hanno nuovamente fatto un gruppo AIN, non credevo di trovarmi addirittura con le Juniores. Sono poi felice che con me ci sia anche Francesca (Brocchiero, ndr), mia compagna di squadra a Entracque, con cui affronteremo questo percorso assieme. C’è anche Marco (Barale, ndr), oltre ad altri e altre che ho già avuto modo di conoscere in maniera approfondita nel corso del Mondiale, oppure nelle Fiamme Oro, come Fabiana (Carpella, ndr) con cui ho già un bel rapporto. Io credo che sia un messaggio positivo anche per le altre mie coetanee, in quanto dà maggiori motivazioni sapere che anche noi giovani veniamo subito prese in considerazione e possiamo sognare qualcosa di ancora più grande, oltre la nostra categoria. Sappiamo che si può fare».
Insomma credi che la tua presenza nel gruppo juniores stimoli maggiormente anche le altre giovani.
«Certamente. Vi faccio un esempio. Nella passata stagione, quando i tecnici mi dissero di provare a gareggiare con la categoria Giovani, pur essendo io ancora Aspirante, inizialmente ero un po’ titubante, non sapevo se fossi o meno pronta per quel livello. Eppure, già essere lì mi diede una forte carica, mi stimolò a dare il massimo, con la consapevolezza che se fosse andata bene sarebbe stato splendido, altrimenti avrei solo fatto una bella esperienza. È andata bene (ride, ndr)».
È stato un anno importante per te visto che hai vissuto anche tre belle esperienze internazionali, prima a Oberhof con il meeting giovanile, poi agli EYOF in Friuli Venezia Giulia e infine ai Mondiali Giovani di Shchuchinsk. Cosa ti hanno lasciato?
«Sicuramente mi sono servite tanto queste mie prime esperienze internazionali, ho punto sciare con nuove avversarie, vedere come affrontano il poligono e notare anche i diversi modi di lavorare. In occasione dei Mondiali ho anche sentito di avere molta più fiducia al tiro, anche perché in quell’occasione mi ero messa meno pressioni essendo più giovane rispetto alle altre, non avevo grandi aspettative o tensione, non mi aspettavo grandi risultati, ma ero lì per dare il mio meglio e godermi quella esperienza al massimo. Ciò mi ha dato grande fiducia.
Ai Mondiali, poi, il vento ha influito molto, e ho visto che alla fine lo patiscono tutte. Ciò in qualche modo mi ha rassicurata sul fattore tiro.
Sugli sci ho però visto atlete andare molto forte e ciò mi ha dato lo stimolo per migliorare, perché anche gente molto giovane andava subito velocissima. Guardate Grotian, che è addirittura nella nazionale maggiore della Germania. Insomma c’è tanto su cui lavorare per raggiungere un alto livello internazionale perché ci sono tante grandi atlete. Credo, infine, sia stato importante anche avere l’opportunità di lavorare con gli allenatori della nazionale, anche per scoprire un approccio nuovo rispetto a quello a cui sono abituata, avendo sempre lavorato con i tecnici del mio sci club e del comitato».
Torniamo indietro nel tempo. Puoi raccontarci come hai iniziato e perché?
«Qui a Entracque il biathlon è lo sport per eccellenza, inoltre io ho la pista proprio di fronte casa. Eppure, ho cominciato come discesista, in quanto mia mamma è maestra di sci da discesa. In quel periodo, però, mia sorella ha iniziato a fare sci di fondo, perché alcuni suoi compagni di scuola lo praticavano, allora io, che comunque non amavo troppo la discesa, ho voluto provare per seguire mia sorella maggiore. Mi sono subito innamorata dello sci di fondo, poi però è arrivato il biathlon ed è stato amore a prima vista. La prima lezione di tiro l’ho fatta con Rachele Fanesi, perché mentre iniziavano le 2005 aveva chiesto se alcune 2006 volessero già provare. Mi ricordo che Carola (Quaranta, ndr), Fabiola (Miraglio Mellano, ndr) ed io vedevamo le più grandi che lo facevano e quindi provare a sparare era sempre stato il nostro obiettivo.
È bellissimo, perché all’inizio uno lo pratica soprattutto perché sta bene con il gruppo, fa amicizia, vuole divertirsi, mentre oggi tutto ciò è relativo, si hanno degli obiettivi e ci si rapporta agli allenatori in modo diverso. Però da bambina è fondamentale che si crei un gruppo bello e stimolante come il nostro ad Entracque. Per fortuna, perché io all’inizio avevo anche paura di gareggiare (ride, ndr)».
Davvero? Raccontaci.
«È un episodio riguardante il mio primo Campionato Italiano di biathlon, quando ero nell’anno giovani con l’aria compressa. Già a inizio stagione, quando gli allenatori ci dicevano che avremmo preso anche parte agli Italiani, ero terrorizzata nel farli, perché pensavo di non essere in grado, visto che allora non prendevo un bersaglio (ride, ndr).
Quando gli allenatori ci dissero che saremmo partiti, io tornai a casa piangendo e dissi a mia mamma che non volevo andare e di parlare con gli allenatori. Allora mamma andò da Fianda (Alessandro Fiandino, allenatore CS Esercito e Comitato AOC), dicendo che non volevo andare anche perché avevo pure paura del loro giudizio se fossi andata male. Lui le disse che dovevo stare tranquilla, che in realtà dovevamo solo prenderla come un divertimento e di non preoccuparci del risultato.
Alla fine partii comunque contro voglia, in ansia totale. Mi presentai all’azzeramento pallidissima, non volevo gareggiare, ero completamente spaventata. Andai allora da Amos (Pepino, allenatore Sci Club Entracque Alpi Marittime, ndr) e gli chiesi cosa sarebbe accaduto se fossi arrivata ultima. Ricordo che lui scoppiò a ridere dicendomi: “Tanto dovrà esserci una che arriva ultima”. Allora pensai che se diceva ciò, evidentemente anche lui pensava che sarei arrivata ultima. Alla fine iniziò questa gara ed io per la prima volta feci doppio zero e addirittura vinsi (ride, ndr). Allora ero così scarsa al tiro, che quando il papà di Nicola Giordano telefonò a mio padre per dirgli che avevo vinto, pure lui non ci credeva e pensava scherzasse».
Hai vinto tante competizioni nazionali anche nello sci di fondo. Non hai mai pensato di dedicarti a quella disciplina?
«A volte qualche dubbio l’ho avuto, più che altro perché molti mi avevano consigliato di concentrarmi sullo sci di fondo al cento per cento. A me piace praticarlo e anche gareggiare, anzi quando non ci sono tappe di biathlon in contemporanea, prendo parte sempre molto volentieri a competizioni di sci di fondo. Quest’anno non è accaduto perché quando si svolsero le gare di Livigno avevo un problema al gomito, mentre per i Campionati Italiani di Dobbiaco mi sentivo mentalmente cotta, ero proprio stanca e dovevo anche recuperare a scuola. Mi sono però pentita, se tornassi indietro li farei.
Alla fine questo è stato il primo anno in cui non ho fatto nemmeno una gara di sci di fondo, perché nelle stagioni precedente ho sempre partecipato a Campionati Italiani e Skiri Trophy. Partecipare a competizioni di sci di fondo nel corso della stagione mi ha anche aiutata a rendere meglio nel biathlon, perché non dovermi concentrare sul poligono mi aiutava a esprimere tutta me stessa sugli sci, a trovare maggiore resistenza e costanza anche nella gestione dei giri. Ciò credo sia propedeutico al biathlon sotto l’aspetto mentale, oltre che fisico. Comunque no, non cambierò mai, amo troppo il biathlon (ride, ndr)».
Quali aspetti credi di dover migliorare per essere un’atleta ancora più competitiva?
«Sicuramente mi aspetta un percorso ancora lungo, anche perché, come mi hanno sempre detto i miei allenatori, al tiro la perfezione non la trova quasi nessuno, c’è sempre qualche cosa da migliorare.
Io credo di aver fatto dei passi avanti al tiro rispetto a un anno fa, ma mi rendo conto che c’è ancora tantissimo da fare. Sapere che ho tanto da migliorare è proprio ciò che mi dà molta fiducia, perché vuol dire che ho tanti margini di crescita e motivazioni per lavorare. Se tutto andasse bene, avrei meno stimoli, invece so di dover migliorare al tiro, ma anche sugli sci nell’aspetto tecnico.
In estate vorrei lavorare molto sul tiro e trovare continuità. Quest’anno sono migliorata tanto in allenamento ma non sempre sono riuscita a portare in gara ciò che facevo in settimana e ciò mi è dispiaciuto perché lontano dalle competizioni riuscivo a mettere in atto in consigli dei miei allenatori, ma in gara tornavano i soliti errori. Credo ci voglia del tempo per far entrare certi automatismi, ma sono fiduciosa».
Insomma, nonostante la velocità sugli sci sia il tuo marchio di fabbrica, hai notato anche lì diversi aspetti da migliorare.
«Certo, devo migliorare tecnicamente. Gli allenatori mi dicono che tendo sempre a esprimere molta forza senza sfruttare al meglio il gesto tecnico, che mi permetterebbe invece di risparmiare energie. Ai Mondiali ho visto che le atlete più forti della mia categoria sciano molto bene. Alla fine le atlete più competitive sono anche quelle che sciano meglio».
Hai sempre detto che il tuo idolo e punto di riferimento è Johannes Bø. Tra le donne non c’è un’atleta che ti piace in modo particolare?
«Si, Johannes Bø è sempre il mio punto di riferimento, l’idolo. Però c’è un’atleta che mi è sempre piaciuta e mi dispiace tanto che abbia smesso: è Denise Herrmann. Lei ha iniziato come fondista per poi spostarsi nel biathlon, inoltre ha anche appena scritto un libro che spero verra tradotto anche in italiano, perché vorrei tanto leggerlo. Scia divinamente, ma mi è sempre piaciuta anche caratterialmente, è solare, sorridente ed è anche amata dalle avversarie, come si è visto tante volte.
Ecco, io credo che questo sia l’aspetto più bello del biathlon, che non è soltanto competizione, ma soprattutto quell’amicizia che si crea anche tra avversari. In questo mi rivedo in lei, perché nonostante le tante competizioni sia nazionali che internazionali, le battaglie al poligono e sugli sci, ciò che più mi piace del biathlon è quel rapporto di amicizia che si crea con atlete e atleti di altri comitati o altre nazioni.
Per esempio, ho visto che lei è molto amica delle francesi e non solo. La festa che le hanno fatto quando ha smesso è stata molto bella».
Anche se il tuo percorso è ancora lungo, certamente l’ingresso nella nazionale Juniores rappresenta un passo importante della tua ancor giovanissima carriera. Vuoi ringraziare qualcuno?
«Sicuramente lo Sci Club Entracque Alpi Marittime e tutte le persone che ne fanno parte, perché mi hanno accompagnata in tutto questo tempo facendomi vivere dei bellissimi momenti che porterò sempre nel cuore. Inoltre il Comitato AOC e i suoi allenatori che mi hanno guidata in questi anni e le Fiamme Oro che mi hanno aggregata. Ovviamente dico grazie anche alla mia famiglia e a mia sorella, che mi ha spinto a iniziare.
Infine ringrazio anche le mie compagne di squadra dello Sci Club Entracque Alpi Marittime, perché mi hanno sempre fatta divertire tanto. Durante l’allenamento siamo sempre state concentrate sul lavoro da fare, ma è importante vivere con spensieratezza i momenti successivi. Siamo sempre state un grande gruppo e questo è il nostro segreto.
In particolare mi sento di dire grazie alle mie super amiche Carola Quaranta, Matilde Salvagno e Francesca Brocchiero, con la quale vivrò ora anche l’esperienza in nazionale. Soprattutto quest’anno queste ragazze si sono molto unite a me e ciò mi aiutato, così come hanno fatto tutte le altre atlete del nostro gruppo».
È difficile conciliare scuola e impegno agonistico?
«Si, abbastanza, ma sono fortunata perché la scuola mi piace, ho scelto l’indirizzo scolastico che volevo e mi sono anche trovata bene con la classe. Ovviamente è difficile perché durante l’inverno si fanno tante assenze, soprattutto qui da noi, visto che non sempre abbiamo abbastanza neve e partiamo spesso prima del previsto. A volte vado a scuola solo due o tre giorni nel corso della settimana e quando ciò accade devo anche recuperare tante verifiche. Io frequento anche una scuola in cui si va a lezione in sabato, quindi i miei giorni di assenza crescono ulteriormente. Credo di aver saltato le lezioni di matematica per due mesi di fila.
Inoltre per me non è semplice perché non ho scelto il liceo sportivo, ci tenevo a fare lo scientifico dove era presente anche il latino. Lo aveva preso mia sorella e mi era piaciuto.
Alla fine quando era il momento di scegliere l’indirizzo scolastico da seguire, non sapevo se avrei fatto l’atleta, non avevo certezze sul mio percorso, anche se ovviamente ho sempre sognato di essere un’atleta.
Amo le materie scientifiche e mi piacciono, quindi credo sia anche giusto prepararsi un piano B con un percorso alternativo a quello sportivo, che resta ovviamente la prima scelta».