Fa ancora discutere la sprint di Lahti, penultima gara della Coppa del Mondo 2022-23 che ha consegnato la Coppa di specialità a Maja Dahlqvist. Il palese gioco di squadra adottato dalla Svezia, con Moa Ilar che si è praticamente fermata a pochi metri dal traguardo pur di permettere alla compagna di qualificarsi per la semifinale, ha provocato non solo la squalifica della classe 1997 dalla sprint ma anche diverse reazioni. A caldo e a freddo, perché in gioco c’è l’interpretazione di uno sport.
Dov’è il confine tra gioco di squadra e antisportività? I norvegesi chiedono linee guida più chiare dalla FIS. E qualcuno difende le scandinave, come Pål Golberg: «Non è che se una cosa è più evidente deve essere punita più severamente», ha affermato il norvegese ai connazionali di NRK. «È già successo che qualcuno abbia rallentato per fare prendere ad altri punti bonus e posizioni finali. C’è un po’ troppa incoerenza, dunque un chiarimento sarebbe abbastanza positivo». Ingvild Flugstad Østberg e Johannes Klæbo sono sulla stessa linea d’onda: se per la classe 1990 «a Lahti era chiaro, ma in generale non si può dire con certezza se uno sta dando il massimo, è la parola mia contro la tua», il quattro volte vincitore della Coppa del Mondo ritiene che la FIS debba sbrigarsi «a decidere se siamo autorizzati a lavorare da squadra». Addirittura, secondo Finn Hågen Krogh, si dovrebbe sdoganare il concetto di gioco di squadra nello sci di fondo: «Forse è giunto il momento di introdurre alcune tattiche in questo sport, che resta individuale, ma ad alti livelli si decide tutto in pochi decimi ed è necessario un po’ di gioco di squadra per decidere le gare. Fa parte dello sport, anch’io ho ricevuto aiuti. Se non è legale, allora non ha senso avere una squadra nazionale».
In realtà la FIS ha ribadito nel 2016 che «qualsiasi manipolazione di un risultato sportivo non è consentita perché può minare la fiducia nello sport e il risultato che sarebbe stato naturale». Ma forse ci vorrebbe meno filosofia e più esempi pratici, che spieghino cosa si possa o non si possa fare. Il direttore di gara FIS Michal Lamplot cerca di spiegare la squalifica di Ilar e perché si siano adottate misure diverse da casi analoghi del passato (che hanno visti protagonisti proprio Østberg e Golberg): «Questa situazione era particolare perché si trattava dell’ultima sprint della stagione di Coppa del Mondo ed era decisiva anche per l’esito complessivo della Coppa di specialità», queste le sue parole a NRK. «Il comportamento antisportivo non è definito dalle Regole di Competizione Internazionale. Spetta a ogni singola giuria giudicare se qualcosa è un comportamento antisportivo o meno. La giuria di Lahti l’ha giudicata in questo modo perché l’azione ha avuto un impatto diretto su altre atlete».
La "vittima", se così possiamo chiamarla, è stata Nadine Fähndrich, che aveva 12 punti di vantaggio su Dahlqvist e con un’uscita di scena della rivale in batteria avrebbe portato a casa la coppa di specialità. Forse innervosita da questo episodio, la svizzera ha poi perso la semifinale proprio contro la svedese. Alla quale sarebbe bastato un quinto posto in finale per artigliare la Coppa, cosa poi accaduta anche perché Emma Ribom le ha fatto da scudiera. Fähndrich ha poi commentato l’episodio con inaspettata lucidità: «Sono una squadra. Lavorano l’uno per l’altro e non l’uno contro l’altro. È una sua scelta, io non so cosa avrei fatto al loro posto».
Dov’è il confine tra gioco di squadra e antisportività? I norvegesi chiedono linee guida più chiare dalla FIS. E qualcuno difende le scandinave, come Pål Golberg: «Non è che se una cosa è più evidente deve essere punita più severamente», ha affermato il norvegese ai connazionali di NRK. «È già successo che qualcuno abbia rallentato per fare prendere ad altri punti bonus e posizioni finali. C’è un po’ troppa incoerenza, dunque un chiarimento sarebbe abbastanza positivo». Ingvild Flugstad Østberg e Johannes Klæbo sono sulla stessa linea d’onda: se per la classe 1990 «a Lahti era chiaro, ma in generale non si può dire con certezza se uno sta dando il massimo, è la parola mia contro la tua», il quattro volte vincitore della Coppa del Mondo ritiene che la FIS debba sbrigarsi «a decidere se siamo autorizzati a lavorare da squadra». Addirittura, secondo Finn Hågen Krogh, si dovrebbe sdoganare il concetto di gioco di squadra nello sci di fondo: «Forse è giunto il momento di introdurre alcune tattiche in questo sport, che resta individuale, ma ad alti livelli si decide tutto in pochi decimi ed è necessario un po’ di gioco di squadra per decidere le gare. Fa parte dello sport, anch’io ho ricevuto aiuti. Se non è legale, allora non ha senso avere una squadra nazionale».
In realtà la FIS ha ribadito nel 2016 che «qualsiasi manipolazione di un risultato sportivo non è consentita perché può minare la fiducia nello sport e il risultato che sarebbe stato naturale». Ma forse ci vorrebbe meno filosofia e più esempi pratici, che spieghino cosa si possa o non si possa fare. Il direttore di gara FIS Michal Lamplot cerca di spiegare la squalifica di Ilar e perché si siano adottate misure diverse da casi analoghi del passato (che hanno visti protagonisti proprio Østberg e Golberg): «Questa situazione era particolare perché si trattava dell’ultima sprint della stagione di Coppa del Mondo ed era decisiva anche per l’esito complessivo della Coppa di specialità», queste le sue parole a NRK. «Il comportamento antisportivo non è definito dalle Regole di Competizione Internazionale. Spetta a ogni singola giuria giudicare se qualcosa è un comportamento antisportivo o meno. La giuria di Lahti l’ha giudicata in questo modo perché l’azione ha avuto un impatto diretto su altre atlete».
La "vittima", se così possiamo chiamarla, è stata Nadine Fähndrich, che aveva 12 punti di vantaggio su Dahlqvist e con un’uscita di scena della rivale in batteria avrebbe portato a casa la coppa di specialità. Forse innervosita da questo episodio, la svizzera ha poi perso la semifinale proprio contro la svedese. Alla quale sarebbe bastato un quinto posto in finale per artigliare la Coppa, cosa poi accaduta anche perché Emma Ribom le ha fatto da scudiera. Fähndrich ha poi commentato l’episodio con inaspettata lucidità: «Sono una squadra. Lavorano l’uno per l’altro e non l’uno contro l’altro. È una sua scelta, io non so cosa avrei fatto al loro posto».