«È fondamentale nei miei successi, perché nel nostro sport gli sci sono importanti ed è importantissimo lavorarci bene. Se c’è bisogno di testare i miei materiali dieci volte, Gianluca probabilmente lo fa trenta volte (ride, ndr). È un grande lavoratore e ha fatto questo lavoro per gran parte della sua vita, ha tanta conoscenza, ha imparato molte cose in nazioni diverse, è veramente una bella persona e fa tanto per supportare me e Tarjei. È veramente importante». A parlare è Johannes Bø, che dopo la vittoria dell’individuale ha celebrato attraverso Fondo Italia il suo skiman, Gianluca Marcolini.
Dopo aver risposto alle solite domande sulla gara, l’ennesimo grande trionfo da parte di un campione straordinario, Bø ha cambiato completamente espressione quando gli abbiamo chiesto di parlarci di Gianluca Marcolini, spiegandogli che volevamo scrivere un articolo sul suo skiman. Il sorriso del campione norvegese e la voglia di parlare rende bene l’idea di quanto sia stretto il legame tra gli atleti e coloro che si occupano dei loro materiali, ai quali riconoscono il grande impegno e i numerosi sacrifici. «Il nostro rapporto è un po’ strano – racconta con il sorriso e la solita calma il fenomeno norvegese – perché viaggiamo tanto insieme durante l’anno, ma ci vediamo pochissimo, in quanto gli skiman arrivano allo stadio prestissimo, ancora prima che noi facciamo colazione. Gli skiman lavorano sempre duramente per metterci a disposizione i migliori sci possibili prima del via e, se vinciamo, dopo festeggiano in cabina quando noi siamo qui a parlare con voi giornalisti. Fanno parte del team, siamo un unico team, e cerchiamo di goderci quella parte di tempo che possiamo passare insieme. Loro combattono per le medaglia come noi, perché per loro è importantissimo darci i migliori sci possibili. Gli skiman lavorano tanto ed è bello per noi condividere una medaglia d’oro con loro».
Quando abbiamo riportato queste parole a Gianluca Marcolini, l’esperto skiman italiano, che ha lavorato con grandissimi campioni nel corso della sua lunghissima carriera, è scoppiato a ridere, raccontandoci che Bø gli aveva anche riferito subito dopo la conferenza che sarebbe stato intervistato. Anche ciò fa comprendere la testa di un campione come il norvegese.
Originario di Frassinoro, in Emilia Romagna, località che ha una grande tradizione nell’ambiente della preparazione dei materiali, Marcolini ha lavorato nel corso della sua carriera con campioni come Stefania Belmondo, Petra Majdic, Dario Cologna e ormai da nove anni è passato al biathlon e alla nazionale norvegese, occupandosi degli sci di Johannes e Tarjei Bø. Lo skiman emiliano viene nel media centre di Oberhof in un giorno di riposo per parlare con noi, anche curioso per una volta di vedere dove il suo atleta si ferma praticamente dopo ogni gara per parlare, visto che lasciarlo giù dal podio è impossibile.
Ci può raccontare come siete organizzati all’interno della squadra norvegese?
«Abbiamo un responsabile, Tobias Dahl Fenre, che ci coordina. Quindi c’è un gruppo di persone che lavora solo su polveri, cere e basi, un altro che fa solo le strutture manuali. Poi ci sono altri skiman che si occupano principalmente degli atleti.
Ovviamente comunichiamo tanto tra noi. Il nostro punto di forza è proprio il gruppo, siamo un team coeso, parliamo molto, ci scambiamo opinioni. Io magari vado a sciare anche con sci di altri brand per capire a che livello sono con i miei e lo stesso fanno gli altri. È importante scambiare opinioni, farsi un’idea del lavoro dei tuoi colleghi, perché nse provi solo i tuoi sci non ti rendi conto se sei veramente performante o se ti manca qualcosa. Se vedi che in certe condizioni sei indietro, vai e chiedi all’azienda stessa di migliorare su un determinato aspetto e avere degli sci migliori.
In totale siamo in sette. Ci aiutiamo. Noi diamo una mano anche ai ragazzi che lavorano su polveri e strutture manuali, così come loro di conseguenza aiutano anche noi. Ognuno poi si occupa nello specifico di determinati atleti, io come sapete dei due Bø e Karoline Knotten».
Le scelte che fa, quanto sono condizionate dalle caratteristiche dell’atleta che segue?
«Moltissimo, è determinante. La scelta dello sci va fatta in base alla caratteristica dell’atleta. Quando parlo con loro, mi danno indicazioni su quello che prediligono, vogliono e preferiscono, a seconda anche della condizione della neve o della pista. Alcuni tracciati possono essere più facili, altri più difficili, magari hanno particolari esigenze sugli sci per un determinato tipo di percorso».
Quando vede Johannes fare delle determinate prestazioni, come nell’individuale di Oberhof, è orgoglioso anche del lavoro da lei svolto?
«Sicuramente. Sono orgoglioso del mio lavoro e del fatto che il risultato aiuta tutta la squadra a crescere ulteriormente».
Ci puoi raccontare com’è lavorare con un atleta come Johannes?
«È una grossa responsabilità e un onore. È un atleta molto semplice, corretto e onesto quando ti dà i feedback. Quest’ultimo aspetto è fondamentale, perché ciò aiuta molto il lavoro che devo fare. Sa spiegare sempre bene cosa non va».
Lui ci ha raccontato che vi vedete poco durante i weekend di gara.
«Si, noi li vediamo quando arrivano prima della gara per scambiare due parole, perché anche loro vogliono essere tranquillizzati che tutto proceda bene, capire meglio come sono le condizioni della pista, ricevere certi feedback sul tracciato, magari se in discesa c’è ghiaccio o come interpretare certe curve, quali sono le linee più ottimali per loro».
Ha lavorato con tantissimi campioni. Dove colloca Johannes Bø in una virtuale classifica degli atleti con cui ha collaborato?
«È dura. Penso che con quello che ha sempre fatto e soprattutto che sta facendo negli ultimi anni, sia da mettere sul gradino più alto.
Mi colpisce la facilità con cui riesce a fare le cose. Al di là della prestazione in gara, sugli sci o al poligono, è una persona tranquilla, non lo vedi mai stressato, è sempre disponibile. È bello lavorare per lui, ma anche Tarjei è molto simile. Anche lui è un atleta in grado di uscire fuori sempre fuori quando conta, sa arrivare ai grandi appuntamenti nel modo giusto, sa cosa deve fare.
Tornando alla domanda iniziale, metto Johannes al vertice insieme a Stefania Belmondo, anche con lei sono riuscito a lavorare sempre molto bene, perché è una persona tanto sincera nei miei confronti, sempre corretta. Ci sentiamo ancora molto spesso. E come risultati anche, direi che posso metterli sullo stesso piano».
Parlando di lei. Dopo trent’anni che lo fa, cosa la motiva ancora a viaggiare tanto, stare lontano da casa e vivere in questo ambiente? È solo un lavoro o forse qualcosa in più?
«Non è l’aspetto economico, è la voglia che hai di fare questo lavoro, perché deve piacerti, se non è così è meglio non farlo. Mi rendo conto che ho 54 anni, ma più vado avanti e maggiori sono gli stimoli ogni volta che arrivo nello skiroom con l’obiettivo di cercare di trovare sempre qualcosa di meglio. Finché ho questa motivazione, non vedo il motivo di smettere».
È in questo ambiente da trent’anni. Ha ancora qualcosa di nuovo da imparare nel suo lavoro?
«Penso proprio di si. Tutto quello che riesci a recepire da altre persone, che siano giovani oppure più esperte di te, riesce a mettere nel tuo bagaglio tecnico qualcosa che può aiutare. Inoltre penso che si imparino tante cose quando parli con gli allenatori, che ti danno tantissimi feedback utili ad evolversi nel proprio lavoro».
Nel vostro team c’è una piccola comunità italiana.
«Siamo quattro. Patrick Oberegger, Fritz che è il fisioterapista, Nicola Cantoni e io. Ecco, Nicola mi dà una grossa mano perché mi aiuta a testare gli sci di Johannes, Tarjei e Karoline. Anche perché lui quest’anno purtroppo non ha Tiril (Eckhoff, ndr)».
Tocco forse un tasto dolente. Ci può descrivere quanto sia stata difficile anche per lei la giornata di Le Grand Bornand, quando Johannes Bø e altri atleti Fischer faticavano a stare in piedi?
«È stata molto difficile, ma noi non potevamo fare altrimenti. Abbiamo cercato di tirare fuori la soluzione migliore per gli sci, però sicuramente non c’erano sci adatti per quel tipo di condizione estrema, che magari potremo ritrovare tra dieci anni. Però, alla fine non puoi mai saperlo, quindi magari può capitare anche il prossimo anno e devi essere pronto ad avere gli sci adatti a quel tipo di neve. Stiamo lavorando su questo insieme alla Fischer e loro stanno facendo un ottimo lavoro. Speriamo di riuscire a tirare fuori qualcosa di buono».
Lei è di Frassinoro, come altri skiman della Coppa del Mondo di biathlon. La vostra è praticamente una scuola. Com’è nata questa vocazione della vostra località dell’Emilia-Romagna per questo tipo di lavoro?
«Siamo tanti, Simone Biondini con l’Italia, poi ci sono anche Ferrari e Fontana con gli Stati Uniti. Penso sia nato tutto per pura passione. Quando ero piccolo, facevo le gare e i nostri allenatori ci insegnavano anche come preparare gli sci. Poi abbiamo avuto anche un grande skiman che purtroppo oggi non c’è più, come Paolo Manfredini. Ecco, abbiamo preso da loro.
La nostra è una zona centrale dell’appennino modenese in cui c’è lo sci di fondo, che è l’unico sport praticato per tradizione. Noi cerchiamo di portarla avanti e mi auguro che in futuro i giovani continuino a interessarsi e seguano le nostre orme, che abbiano amore, voglia e piacere di fare questo mestiere. Zone come Frassinoro Piandelagotti e Lama Mocogno non hanno nulla da invidiare alle località alpine».
Stiamo vivendo un periodo di passaggio da prodotti fluorurati ad altri che saranno privi di fluoro. Questo periodo di transizione e incertezza, nel quale si è più volte annunciato il divieto totale ai prodotti fluorurati per poi tornare indietro in autunno, in quanto non vi è ancora modo per controllare se qualcuno non rispetta le regole, complica il vostro lavoro?
«Sicuramente per noi è sempre un problema non riuscire mai a sapere prima dell’autunno, se nella stagione successiva si potranno utilizzare o meno prodotti fluorurati. Ciò complica anche la programmazione e la preparazione dei budget per la stagione successiva. Al momento, noi non riusciamo a capire se potranno veramente fare controlli nella maniera corretta, fin qui le cose non hanno funzionato. Ciò preoccupa, anche se adesso per esempio c’è già meno differenza tra i prodotti vecchi con PFOA e quelli nuovi, che ne sono privi, ma logicamente se togli completamente il fluoro, bisogna ripartire da zero, aprire un capitolo nuovo. Per me sarebbe una nuova esperienza da fare e già da diversi anni stiamo testando prodotti privi di fluoro. Abbiamo già un database, quindi diciamo che oggi nemmeno partiremmo da zero. Sicuramente anche per gli atleti stessi fare delle gare in condizioni come quelle dell’individuale di Oberhof, non avendo nemmeno prodotti fluorurati, diventerebbe molto più impegnativo».
Ovviamente lavorate tanto nel corso della stagione invernale. Ma cosa fa uno skiman durante l’estate?
«In primavera, estate ed autunno cerchiamo di collaborare molto con le aziende degli atleti che seguiamo, andare nelle località dove ci sono condizioni di neve naturale. Ad aprile andiamo già a fare test con nuovi materiali, poi cerchiamo di andare a testare anche nello ski tunnel di Oberhof e Oslo. Oltre a ciò, manteniamo rapporti, visitiamo le aziende e cerchiamo di testare i nuovi sci che vengono lanciati. Lo stesso vale anche per i prodotti con cui li lavoriamo».
Un’ultima domanda. Pensa di andare avanti fino al 2026 o vuole proseguire anche oltre?
«Io per adesso penso anche oltre, poi vedremo. Fino a quando ho questa passione, non vedo perché non continuare».