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Mi ritorni in mente , Sci di fondo

Mi Ritorni in Mente – Un Tour vicino alla maggiore età, il passato racconta che è ora della maturità

Si sta avvicinando alla maggiore età, il Tour de Ski. E come tutti i percorsi di crescita, vicino alla maturità necessita forse più che mai di un cambio di visione, di tattica, di strategia.
Ma non è oggi il giorno giusto per questo tipo di discorsi, alla vigilia della partenza del Tour numero 17 che nel giro di una settimana o poco più decreterà i successori di Natalya Nepryaeva (naturalmente assente, come noto) e Johannes Klæbo, vincitori dodici mesi fa. Il norvegese potrebbe anche confermarsi sul trono (e risulta difficile pensare che la vittoria finale possa sfuggire ai Norge) per proseguire un “passo a due” che nelle ultime quattro edizioni l’ha visto imporsi due volte (2022 e 2019) al pari di Bolshunov (nel mezzo); altrimenti la Final Climb in Val di Fiemme dell’8 gennaio andrà ad incoronare un nuovo vincitore.
Al femminile invece Jessie Diggins ed Heidi Weng hanno saputo vincere in passato, la statunitense nel 2021, la norvegese nel biennio 2017 e 2018, precedendo una Ingvild Østberg (2019) che però non sarà al via mentre la connazionale ha scelto di rinunciare a Davos proprio per preservarsi in vista del Tour.

Se il futuro da maggiorenne del Tour de Ski sarà (è auspicabile?) da scrivere nei prossimi mesi, oggi l’obiettivo è rivolto al passato, a quello che nelle 16 edizioni sin qui disputate hanno raccontato, lasciato nella memoria. E molto è impresso – inevitabilmente – nel debutto, tra il 2006 ed il 2007 con un percorso disegnato sulla carta con partenza da Nove Mesto ma subito riscritto per mancanza di neve tra Monaco di Baviera, Oberstdorf, Asiago e la Val di Fiemme, con la prima assoluta di una Final Climb che sarebbe poi diventata momento iconico dell’inverno sugli sci stretti. Una novità che ha portato con sé critiche e polemiche, tanto diverso è il tipo di sforzo rispetto ad una “classica” gara stagionale. Ma se in questi anni c’è stata una scelta azzeccata nel mondo del fondo, è proprio l’introduzione della Final Climb, nonostante tutto. Una Final Climb che rappresenta forse l’unico appiglio oggi per attirare l’attenzione dei non addetti ai lavori su una gara di fondo. Fa male dirlo, ma è così. Certo, il contorno (inteso il resto della strutturazione del Tour) sarebbe da modificare, ma si torna al discorso fatto in apertura.

Tobias Angerer e Virpi Kuitunen furono i primi padroni del Tour de Ski e curiosamente nel tempo sono rimasti l’unico tedesco e l’unica finlandese (anche se si sarebbe ripetuta due anni dopo) nell’Albo d’Oro guidato a quota 4 da Dario Cologna (2009,11,12 e 18) e Justyna Kowalczyk (poker dal 2010 al 2013). 
Proprio alla presenza del fuoriclasse della Val Müstair (e domani si partirà proprio da casa sua) e della polacca sono legati i maggiori ricordi di un pubblico festante, numeroso, eterogeneo che specie nelle prime edizioni ha davvero invaso i tre chilometri di salita della Final Climb, con i 400 metri di dislivello che separano il fondovalle fiemmese dal Doss dei Laresi, sulle pendici dell’Alpe Cermis.
Anche I fans norvegesi non sono mai mancati, ma senza raggiungere il calore di svizzeri e polacchi, quel calore che specie nelle prime edizioni coinvolgeva con grande importanza anche i gruppi organizzati che seguivano i vari Di Centa, Follis, Longa, Clara e via dicendo.
Anche i tifosi italiani, nel corso degli anni, hanno ceduto un po’ il passo anche perchè invero di soddisfazioni il Cermis ne ha portate poche ai beniamini azzurri. Un periodo un po’ così, comunque ravvivato più volte da Francesco De Fabiani, spesso a podio sia in Val di Fiemme che ad Oberstdorf, un bottino che si spera possa incrementarsi nei prossimi giorni, nelle tre distance in classico proposte in ciascuna delle tappe del 2023, tra Svizzera, Germania e Fiemme.

Nessun italiano ha mai saputo andare oltre il terzo posto nella classifica generale e dal 2011 il tricolore manca sul podio finale dopo le presenze di Di Centa, Follia e Longa (2) negli anni precedenti. Un digiuno che a meno di clamorose svolte proseguirà anche quest’anno a favore di Norvegia (facile immaginare un dominio pressoché incontrastato al maschile), Stati Uniti (Diggins, of course) Svezia (Karlsson o magari Calle Halfvarsson) e magari Germania, se il new deal teutonico proseguirà a mietere ottime impressioni come nelle ultime settimane.

Potrebbero essere tante le vicende legate al Tour de Ski. Dal dominio assoluto del Bolshunov 2021 al tris di Sundby, dall’allergia di Peter Northug alla scalata sul Cermis (sei volte sul podio finale, senza mai vincere) alla prima volta dei russi, con Aleksander Legkov a vincere nel 2013 su un Cermis listato a lutto per l’incidente notturno che poco a monte del traguardo era costato la vita a diversi connazionali.

Da domani si ricomincia: sprint in tecnica libera, mass start in classico in Val Müstair, individuale in alternato ed inseguimento a skating ad Oberstdorf prima del trittico finale in Val di Fiemme fatto di sprint e mass start in classico prima dell’assalto al Cermis: l’8 gennaio sul Doss dei Laresi si concluderà una fatica importante, un mese e mezzo prima dei Mondiali di Planica. Quanto sarà “pesante” il pensiero iridato nella mente dei protagonisti?

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