Fino a pochi mesi fa erano abituati a vivere le sprint di Coppa del Mondo incoraggiandosi a vicenda in pista tra una batteria e l’altra. Venerdì scorso, invece, Federico Pellegrino e Greta Laurent hanno visto la gara assieme dal divano di casa davanti alla tv, mentre sono in attesa che arrivi un momento speciale delle loro vite, la nascita del primo figlio.
Tra l’emozione dell’imminente nascita del primogenito e gli allenamenti, perché ovviamente non si è fermato nemmeno in questo periodo, Federico Pellegrino ha avuto modo di osservare e festeggiare il bellissimo secondo posto di Simone Mocellini nella sprint di Beitostølen.
L’azzurro ha quindi commento questo bel risultato, contestualizzandolo anche nel momento che sta vivendo lo sci di fondo italiano.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa a Gressoney.
Ciao Federico. Intanto la prima domanda è obbligata: come sta Greta? Come procede?
«Greta sta bene. Siamo in attesa qui tranquilli a casa, pronti ad accogliere il nostro cucciolo, quando avrà voglia di arrivare tra noi. Lo aspettiamo. Per adesso è tutto tranquillo, lui è sempre pronto, diciamo ai nastri di partenza, ma per il momento continua a stare al suo posto, forse sta troppo bene lì (ride, ndr). Adesso che ha anche iniziato a fare freschino fuori, credo stia facendo la mossa giusta a stare al caldo».
Com’è stato seguire le gare dalla tv? Immagino ti abbia fatto un effetto molto particolare vedere una sprint da fuori.
«Si, diciamo che è stato molto particolare, anche perché nemmeno ricordo quando era stata l’ultima sprint che avevo guardato dal divano anziché essere al via. Credo siano passati tanti anni. Ovviamente, guardando le condizioni della neve e il tracciato, c’era tanta voglia di essere lì. Dall’altra parte, però, non mi ha pesato più di tanto, perché ho fatto una scelta e sono convinto fosse quella giusta.
È stato bello perché ho potuto fare il tifoso e sono stato felice di vedere Moce comportarsi così bene».
Partiamo proprio dalla prestazione di Mocellini. Da campione del format, sei rimasto sorpreso dalla sua prestazione e in particolare dall’intelligenza tattica che ha mostrato?
«In mattinata, mentre stavo sciando, ho tirato fuori il telefono e ho analizzato i risultati della qualificazione guardando i tempi sul live della FIS. Ho visto la sua bella prestazione e mi sono subito detto: “Vediamo come si comporta ora nel resto della gara”.
È stato subito molto bravo, perché già la scelta del terzo quarto è stata una bella mossa, anche perché alla fine sia il primo che il secondo classificato sono usciti proprio da lì.
Lui si è comportato benissimo fin dai quarti, poi ha tirato fuori una grande prestazione tattica, supportata da un gran fisico.
Che il Moce fosse forte a spinta non è una novità, lo sapevo già, perché in estate negli allenamenti di velocità in tecnica classica a spinta che abbiamo fatto assieme non c’è mai stata partita per me. Io solitamente punto sul fatto che la spinta da freschi è una cosa, ma da stanchi un’altra, però, vedendo come andava a Beitostølen, sembrava che anche la spinta da stanco fosse per lui efficace come da fresco. È stato proprio bello vederlo andare così forte».
Qual è il significato di questo risultato per l’Italia?
«Il suo risultato vale veramente tanto perché io penso che uno dei limiti più grandi che abbiamo in Italia sia il fatto che si cambiano troppo spesso gli allenatori, di conseguenza punti di riferimento importanti soprattutto negli anni giovanili, quelli di passaggio dalle categorie aspiranti, juniores, under 23 fino a senior. Lui, pur avendo cambiato, se non sbaglio, quattro allenatori in quattro anni, è riuscito ad abbattere questo muro e performare, facendo questo salto mentale nonostante questa difficoltà in più che è presente nel nostro sistema. Quindi tanto di cappello a Simone, perché era da tanto tempo che non si vedeva un giovane azzurro fare questo salto.
Ora è ancora un risultato, ma la solidità della prestazione fa pensare che ne possano arrivare anche altri. In ogni caso non ha alcun senso pretendere da lui che salga sul podio ogni settimana. Quello che si può pretendere da lui, e che io stesso pretendo da lui, è che continui a lavorare come gli ho visto fare questa estate e quello è l’unico modo per continuare a crescere e farsi trovare pronto nella prossima occasione in cui potrà di nuovo fare una grande prestazione, come accaduto venerdì».
Il secondo posto di Mocellini quale messaggio manda a tutto l’ambiente italiano?
«Il messaggio che manda è qualcosa che speravo da tanto tempo, perché purtroppo, in particolare negli ultimi anni, ormai era diventato troppo frequente il messaggio che arrivava ai giovani, o almeno che mi sembrava che percepissero, quel “eh ma tanto Pelle è Pelle, eh ma Defa è Defa”. Invece non è così. Adesso sfido chiunque a dire “ma Moce è Moce”. Si, sicuramente sappiamo che è fortissimo, ha grandi doti fisiche, ma come lui, me, o Defa, le hanno, o almeno sono vicini ad averle, anche tanti altri ragazzi italiani. Questo risultato fa quindi capire che Simone ha fatto soprattutto uno scatto mentale che lo ha portato ad esprimersi così bene.
In questo caso lo scatto mentale, cosa che tengo sempre a sottolineare, è stato veramente da applaudire. Penso che tutti gli altri possano vedere in questa sua prestazione un bell’esempio da seguire. Meno male, ce ne era proprio bisogno».
Bellissimo è stato l’abbraccio tra Simone Mocellini e i tecnici azzurri. Lo abbiamo visto tante volte con te protagonista. Non sei stato un po’ geloso? (ridiamo, ndr).
«Ahahah, assolutamente no, non sono stato geloso. Anzi, ero proprio contento, perché so che i nostri tecnici lavorano e vivono per questi momenti, che negli ultimi anni sono stati purtroppo rari. Penso sia importante che a dare gioie allo staff tecnico siano tanti e diversi atleti.
Abbiamo sempre avuto degli ottimi tecnici, soprattutto gli skiman. Mi ha impressionato vederli lavorare in questo lungo periodo al nord. Oltretutto anche loro si sono fatti ben cinque settimane consecutive di trasferta, è stato veramente tosto. Penso però che i frutti si sono visti, poiché il team è affiatato e la gestione dei materiali di ogni singolo atleta ci sta aiutando a essere sempre più performanti. Se arrivano poi delle forze nuove dall’Italia, come successo per Didi e Moce questo fine settimana, e riescono anche loro a essere prestanti, tanto di cappello, allora significa che qualcosa davvero sta funzionando
Ora non dobbiamo però pensare che ogni weekend sarà così, è un po’ troppo presto, diciamo».
Anche sabato nella gara individuale sono arrivate le belle prestazioni di De Fabiani, vicino al podio, e le top quindici di Nöckler e Ganz. Ti aspettavi questi risultati?
«Didi e Defa hanno fatto una bellissima gara, entrambi in grande spolvero. Defa è arrivato addirittura a una manciata di secondi dal podio. Sappiamo che con quelle condizioni, con neve più fredda e binario stampato, un po’ meno difficili per sciata e tenuta, si vede che a livello atletico non c’è così tanta differenza.
C’è quindi da lavorare tanto su tutti i tipi di neve, cercare di sfruttare al massimo i mesi di neve che abbiamo sulle Alpi, soprattutto la primavera, perché poi quando arriva la neve marcia sono dolori.
Si possono trarre tanti spunti interessanti da questo fine settimana. Ci tengo per esempio a sottolineare la prestazione di Caterina Ganz nella staffetta mista, dove ha mostrato carattere nell’ultima fase della sua frazione, quando si è portata davanti al suo gruppo. L’ho vista impegnarsi molto per tutta l’estate, sono sicuro che un miglioramento è già evidente ed andando avanti su questa strada i risultati si vedranno. Voglio anche far notare che pure coloro che non sono arrivati in posizioni di vertice, hanno fatto un passo avanti, lo dimostra che sono molto più vicini rispetto a Ruka. Credo sia interessante il fatto che si sia visto un miglioramento da parte di tutti».
Hai già citato la staffetta mista parlando della bella prova di Ganz. Cosa pensi di questo format?
«Secondo me è stata una gara molto bella ed entusiasmante, anche perché il tracciato era selettivo. È stata una competizione piacevole da guardare in televisione. Purtroppo resto dell’idea che non possono esistere due staffette della stessa nazione. Infatti ci siamo persi lo spettacolo di uno sprint finale tra Halfvarsson e Iversen per la vittoria della gara, perché davanti c’era Krüger di Norvegia II. Continuiamo a rimetterci tutti come sci di fondo per questa scelta e mi auguro che qualche federazione avanzi alcune proposte come si deve in FIS su questa problematica e sui contingenti dei gruppi nazionali che sono sicuramente da rivedere».
Un bel segnale anche il fatto che a mettersi in evidenza siano stati atleti provenienti da tre gruppi differenti: quello della nazionale di Cramer, il gruppo Milano-Cortina 2026 e la squadra di sede delle Fiamme Oro nel caso di Didi.
«Penso ci sia tanto merito anche in quella che sembra essere la strada percorsa da tutto il sistema oggi: meno polemiche e più lavoro. Che si lavori di più è sotto gli occhi di tutti, basta confrontare la quantità di lavoro fatta da ogni singolo gruppo di allenamento fino all’anno scorso e confrontarla con quella di quest’anno. Io parlo per le squadre FISI e della Polizia, che sono i gruppi che conosco meglio, dove le quantità sono aumentate. Già solo il fatto che l’anno scorso io e Defa avessimo cambiato il trend, esplorando questa nuova frontiera della tanta quantità, ma facendo molta attenzione ai ritmi, avevamo già dato un input di un certo tipo a tutto il sistema. Adesso, con l’arrivo di Markus e la sua red line, come la chiama lui, questo è un aspetto che, secondo me, sta dando i suoi frutti, anche se ovviamente ci sono alcune cose da limare, però è ciò che si auspicava da tanto tempo: mettere un po’ più il focus su allenamento e prestazione piuttosto che su tante chiacchiere».
Tornando a te: cosa stai facendo in questi giorni? È possibile rivederti a Davos?
«In questi giorni mi sto preparando al meglio. È molto probabile che gareggi nelle competizioni di Coppa Italia e gare FIS di Gressoney il prossimo weekend. Fortunatamente, quando sono rientrato a casa è arrivata la neve, ho un bel giro da 15 km. Ho fatto bei lavori di resistenza su un tracciato che mi sono fatto preparare con certi dislivelli che possono far immaginare di correre su piste di Coppa del Mondo.
Quindi, restiamo con le antenne drizzate giorno per giorno per vedere se qualcosa si muove e non vediamo l’ora che arrivi questo lieto evento. Nel frattempo io faccio il mio lavoro, mi alleno al meglio, per fare in modo di farmi trovare al centodieci percento il giorno che tornerò».