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Sci di fondo

De Fabiani a Fondo Italia: “Importante avere continuità con Cramer; credo in questo progetto, il livello della squadra può crescere”

Da Torsby a Oslo Holmenkollen, prosegue in Scandivania il lungo raduno del gruppo Cramer della nazionale azzurra. In Norvegia, Francesco De Fabiani sta sudando insieme ai compagni per preparare al meglio una stagione nella quale vuole proporsi tra i migliori e lottare per le medaglie, convinto di avere i mezzi per raccogliere più di quanto ottenuto finora.
Confermato Markus Cramer, De Fabiani sa di avere un vantaggio rispetto allo scorso anno, consapevole dei miglioramenti fatti ma anche dei propri errori e di cosa cambiare. Dal ritiro azzurro, il valdostano del CS Esercito ha affrontato questi argomenti nella seguente intervista rilasciata a Fondo Italia, dove ha anche parlato di Milano-Cortina 2026, Olimpiadi nelle quali De Fabiani vuole esserci ma solo se sente di poter puntare a un risultato importante, e del movimento dello sci di fondo italia.

Ciao Francesco. Innanzitutto come sta procedendo la preparazione?
«È stato un buon inizio, aver avuto continuità rispetto allo scorso anno è stato un vantaggio. Anche se il progetto con la squadra russa si è concluso, siamo seguiti ancora da Markus Cramer, che sta dirigendo tutta la squadra italiana. La preparazione è partita bene, mi trovo in un gruppo rinnovato e sta funzionando. Per me è un grande vantaggio poter proseguire il lavoro iniziato con Cramer, perché è fondamentale costruire un’esperienza condivisa con un allenatore, sapere cosa mi fa bene e cosa meno, ciò che devo evitare di fare. Nel corso della mia carriera ho imparato tanto, così come dall’ultima stagione. Sono felice di non essere quindi ripartito ancora da zero».
Come giudichi il tuo primo anno con Cramer?
«Ci sono stati sicuramente dei miglioramenti in tante cose, anche se sicuramente non mi ricorderò positivamente la mia stagione. Purtroppo c’è stata quella caduta nella 15 km che ha rovinato il miglior Tour che stavo facendo. Un vero peccato, perché senza quell’incidente, magari avremmo avuto una visione diversa della mia stagione. Anche alle Olimpiadi ero partito con il piede giusto, ma le ho chiuse in calando, quindi c’è il ricordo di una Olimpiade sottotono. Peccato, perché avevo disputato il miglior skiathlon della mia carriera, tanto che a un certo punto avevo anche iniziato quasi a credere nella medaglia. Io nella passata stagione ho visto dei miglioramenti e mi dispiace per la seconda parte delle Olimpiadi, dove sono mancato».

Quali sono i riscontri positivi che hai avuto dal primo anno con Cramer?

«Al di là di alcuni miglioramenti tecnici, mi sono reso conto che ci si può allenare con carichi superiori rispetto a quelli a cui eravamo abituati, l’importante è farlo nel modo giusto. Vedendo gli altri, ci siamo sempre posti la domanda se fosse possibile caricare di più. In passato ci avevamo provato e le cose non erano andate bene, così avevamo deciso di non farlo più. Lo scorso anno, quando mi sono trovato con i compagni russi, mi sono detto: se possono farlo loro e noi facciamo le stesse cose, perché non possiamo riuscirci? Abbiamo così visto che possiamo allenarci come fanno tutti al Nord, più quantità ma a basso regime».

Prima ci hai parlato anche di esperienza condivisa con l’allenatore. Cosa hai imparato dalla passata stagione? Quali errori non ripeteresti?
«Ho capito di dover fare più attenzione a non compromettere la forma. La mia esperienza passata già me lo aveva insegnato, ma quest’anno mi sono reso conto che l’allenamento in quota non va sottovalutato nemmeno da chi come me vive a 1400 metri. Bisogna fare molta attenzione quando ci si allena sopra i 1500 metri. Alla vigilia dei Giochi Olimpici ho forse commesso proprio questo errore, perché durante la preparazione in quota, ho avuto due o tre giorni nei quali non mi sentivo benissimo e anziché fermarmi, ho provato a perseverare, fermandomi solo il quarto giorno. Forse proprio questo mi ha fatto sentire stanco già dopo la prima gara delle Olimpiadi. Se oggi mi ritrovassi nella stessa situazione, correrei ai ripari, magari mi fermerei subito per riposare, oppure scenderei un po’ di quota. Starò più attento alle sensazioni quando mi allenerò in quota, al primo segnale di stanchezza ne terrò più conto rispetto a prima. Sono cose che in estate capitano spesso, ma in questo periodo è anche giusto sia così, perché se vai oltre tuoi limiti hai tempo per recuperare. In inverno, invece, certe cose che non puoi permettertele. Quando c’è un’Olimpiade non puoi perdere una settimana ed entrare magari in forma quando sono finite».

Inizia il quadriennio olimpico che porterà a Milano-Cortina 2026. I Giochi che si svolgeranno in Val di Fiemme sono il tuo obiettivo principale oppure guarderai una stagione alla volta?
«Le Olimpiadi in casa sono un grande obiettivo e voglio poterci arrivare avendo però l’ambizione di una medaglia. Per questo motivo affronterò una stagione alla volta, quattro anni sono tanti e il mio obiettivo è essere ad alti livelli. Ci sono tanti obiettivi importanti prima dei Giochi, come i Mondiali a Planica e Trondheim, ma anche la Coppa del Mondo con il Tour de Ski e forse nel 2024 un altro Ski Tour scandinavo. Le prossime tre stagioni mi faranno capire cosa farò nel 2026, perché in Val di Fiemme voglio arrivarci con l’opportunità di lottare per vincere una medaglia e se dovessi faticare nelle prossime tre stagioni, non vorrei andare ai Giochi solo per partecipare, anche perché a quel punto magari nemmeno mi qualificherei. Quindi prima di dire che il mio obiettivo sono le Olimpiadi, dico che sono determinato a essere ad alto livello. A 33 anni è possibile partecipare ai Giochi da protagonista, ma in quattro anni possono cambiare tante cose e non è scontato arrivarci in forma. Se ci pensate Northug ha smesso prima».

Ti sei già posto degli obiettivi per la prossima stagione?
«Sarà un anno diverso dal solito in quanto sono cambiate le distanze e il sistema di assegnazione dei punti in Coppa del Mondo. In ogni caso, il calendario è stato già presentato e qualche idea ce la possiamo fare. Gli obiettivi saranno più o meno gli stessi. Diciamo che personalmente sono contento che si disputino le gare a cronometro su 10 km, nelle quali me la sono cavata sempre meglio rispetto alle 15. Al contrario, credo per me siano peggio le 20 a skating come avremo a Ruka, mentre mi piace l’idea di gareggiare nello skiathlon su 20 km. Insomma immagino che, come per tutti, da questi cambiamenti ci siano per me dei pro e dei contro. Ancora non ho un obiettivo principale, prima mi concentrerò su Ruka e Lillehammer, una tappa alla volta. Poi affronterò il Tour de Ski e da lì vedremo su quali gare concentrarci».

Citi spesso il Tour de Ski. È una competizione a cui tieni particolarmente.
«Si, perché ci sono tante gare che mi piacciono, anzi spesso le trovo solo lì. Le mass start sono gare che mi vengono meglio e ce ne sono sempre tante al Tour de Ski, quindi mi piace. Inoltre si chiude in Italia. Anzi, quest’anno sono contento che, oltre al finale del Tour de Ski in Val di Fiemme, avremo altre due tappe nel nostro paese, a Milano e Dobbiaco. Gareggiare in casa regala sempre delle emozioni particolari, inoltre, in Italia sappiamo di trovare sempre un’organizzazione di alto livello».

A Dobbiaco vi siete allenati assieme al gruppo Milano-Cortina 2026, formato da molti giovani. Senti la responsabilità di essere tra i più esperti? Dove può arrivare questa Italia?
«È bello avere giovani in gruppo e ritengo per me importante cercare di aiutarli a crescere. Sarebbe bello riuscire a formare una staffetta nuovamente competitiva sia subito per i Mondiali che in vista Olimpiadi. Dobbiamo alzare il livello medio della squadra e credo che con questo progetto sia possibile. Nell’ultimo periodo non siamo riusciti a restare al passo della Francia, capace di cogliere sempre la medaglia nei momenti importanti. Loro hanno un grande ricambio di atleti, che magari presi singolarmente non sono dei campioni, ma vanno forte. Non tutti sono Manificat, eppure molti di loro oggi hanno in bacheca medaglie mondiali e olimpiche. Io credo che alzare il livello medio della squadra per poter puntare, come loro, a una medaglia in un grande evento non sia impossibile in questi quattro anni. Se ci pensate, non sono molti i francesi con podi individuali in Coppa del Mondo, ma alla fine in bacheca hanno più medaglie di me, per questo è importante che si cresca anche come squadra. Dall’altra parte, mi auguro anche che nella nostra squadra possa esserci qualcuno in grado di emergere anche individualmente».

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